La bersagliera, la fata turchina, la donna più bella del mondo, la ciociara simbolo della bellezza mediterranea, l’incarnazione della diva per eccellenza del cinema italiano, la testimone dell’Italia della rinascita ha concluso la sua lunga vita dalle molte sfaccettature nella sua Roma, dove sempre tornava nella sua bella dimora sull’Appia Antica dai tanti viaggi in giro per il mondo nel corso degli anni.

Come forse qualcuno ricorda, conosco una sensitiva molto dotata, che ha dimestichezza e varie frequentazioni con il mondo – c’è chi dice parallelo al nostro – dell’aldilà, luogo brulicante di spiriti e ombre dei trapassati. Quindi mi sono incamminato verso il suo domicilio e, dopo una lunga passeggiata confortato da una calura piacevole, stavo per suonare alla porta che era accostata.

Gino Cervi è stato, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi attori italiani del Novecento. Pensando a lui si affollano un mare di ricordi e, tra tutti, primeggia Maigret, il suo Maigret dagli occhi vivissimi, gli umori variabili tra la dura severità e la bonomia. Devo intervistare Gino Cervi e, riflettendo sul da farsi, ho riesumato una pipa francese che acquistai al tramonto degli anni Sessanta. Una pipa carina che sembra agitarsi tra le mie mani, come desiderasse sfuggirmi.

In tutta la sua lunga vita di regista, scrittrice, sceneggiatrice e donna Lina Wertmüller non passò mai inosservata. Nemmeno da bambina quando, per il lato allegro e vivace del suo spirito inquieto, forte e ribelle, venne cacciata da ben undici scuole. Lo ripeteva spesso, quasi fosse per lei un vanto, un fiore all’occhiello, una caratteristica tutta sua da tener ben presente ed esternare essendo riuscita a mantenere intatto quel suo spirito indomito iniziale e spontaneo.

Si è conclusa la lunga maratona del Cinema, iniziata ben prima a dir il vero della ufficialità del 27 novembre. Torino è stata la prima capitale della celluloide, dopo che tutto venisse trasferito a Cinecittà, che a dispetto degli studios americani, resta la più bella e spettacolare cittadella della cinematografia del mondo. Venezia, come ho ricordato nel mio articolo precedente, quasi per caso o meglio per i motivi legati alle giuste ambizioni imprenditoriali del conte Volpi di Misurata, diventò un festival importante.

Un qualcosa di impossibile, meglio molto molto difficile: è scomparso da poco, il 6 settembre 2021, e pare non risponda, non vorrà? non potrà? Nel dubbio mi sono rivolto a un sensitivo potente che conosco, a lui di solito basta darti uno sguardo per dire cose importanti. Ci tiene all’anonimato e quindi non dirò chi è né dove sta. Quando gli ho detto di Belmondo, mi ha sorriso, abbracciato e, con la sua usuale serenità, mi ha mandato a casa: “Vai e aspetta”.

Sapevo che c’era, sapevo che nel mio archivio riposava un’immagine inconsueta di Marylin Monroe che, come recitava la didascalia, era “immersa nella lettura dell’Ulisse di Joyce in un parco di Long Island nel 1955”, seduta su una giostra girevole, scalza, con una maglietta dai tanti colori, lo sguardo sul libro, le labbra semiaperte, in una posa tra la scolaretta diligente e la pin up non ammiccante, ma semplice e attraente.

Il film della regista cinese, trapiantata negli Stati Uniti, Chloé Zhao, prodotto ed interpretato da Frances McDormand è riuscito a vincere tanto il Leone d’oro a Venezia, quanto l’Oscar ad Hollywood come miglior film, oltre ad una quantità di altri premi. Per recensirlo allo spettatore italiano, è necessario però sgomberare il campo da frettolosi e facili pregiudizi, chiarendo bene cosa Nomadland non è e non vuole essere, prima di capire cosa sia e dove ci voglia portare.

Da giorni penso a Romy Schneider, a come poterla intervistare e, con gli occhi della memoria, ho rivisto tanti suoi film. Rosemarie Magdalena Albach Retty – questo era il suo vero nome – è stata un’attrice di grande talento, una donna sensibile e infelice con un tragico destino, impegnata socialmente e di bellezza straordinaria.

Come per caso, mentre cercavo un libro, mi è capitato in mano il catalogo di una mostra di Nino Za – ovvero Giuseppe Zanini, tra i più grandi pittori caricaturisti del secolo scorso – ho riletto con piacere la sua dedica “A Valperga con tanta simpatia. Za, Torino 27 – 9 – 1986” e rivisto la mia caricatura che tracciò in quel momento.