CINEMA

GINO CERVI

Beppe Valperga

Ero Maigret, potrei dire sono Maigret, univo la bonomia alla serietà, al rigore, all’abilità investigativa.

Intervista immaginaria

Gino Cervi è stato, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi attori italiani del Novecento. Pensando a lui si affollano un mare di ricordi e, tra tutti, primeggia Maigret, il suo Maigret dagli occhi vivissimi, gli umori variabili tra la dura severità e la bonomia. Devo intervistare Gino Cervi e, riflettendo sul da farsi, ho riesumato una pipa francese che acquistai al tramonto degli anni Sessanta. Una pipa carina che sembra agitarsi tra le mie mani, come desiderasse sfuggirmi.

Cervi – Cosa fai con quella pipa? La mia pipa era molto più bella, parola del commissario Maigret.

È la sua voce, bella, profonda, ben impostata e indimenticabile, la voce di Gino Cervi che mi troneggia davanti, accanto a lui Fernandel, con il suo sorriso tra l’ironico e la posa.

Sono immobile, senza parole, i due cominciano a dialogare come in Carosello nel quale, infine, brindavano sereni e decisi con un noto brandy italiano che, pare, a quei tempi aumentasse il fatturato grazie a loro.

Cervi – Bene, ti basta come intervista? Ce ne torniamo al riposo eterno… Tranquillo, ti do il tu come è l’uso tra chi è nell’arte.

  • Sono onorato, ma desidero parlare con te e ringrazio Fernandel per averti accompagnato.

A quelle parole Fernandel si dissolve con un arrivederci sornione.

Cervi – Siamo stati una coppia, qualcuno dice vincente, abbiamo avuto successo e favore del pubblico, ancora oggi quando qualche televisione programma i nostri film.

  • Come è iniziata la tua carriera?

Cervi – Sono diventato attore non credo per vocazione, forse ero destinato, forse per passione, molto, moltissimo ha contribuito l’ambiente familiare essendo figlio di un critico teatrale de Il resto del Carlino. In casa si mangiava alle otto di sera, anche prima, quando papà doveva andare a teatro. Talvolta, bambino, insistei perché mi portasse con sé.

  • E ti portava?

Cervi – Talvolta è accaduto.

  • E dunque amavi il teatro.

Cervi – Certo ho sempre amato il teatro, amo il teatro. Vedi, il teatro è mio, il cinema è degli altri.

  • Bene, riprendiamo da quando Luigi Cervi, nato a Bologna il 3 maggio 1901, un giovane di bella presenza alto 1 metro e 77, comincia a calcare il palcoscenico spinto dal fuoco della passione teatrale, diventando Gino Cervi.

Cervi – Recitai con i filodrammatici. Poi, avevo 23 anni, parlai con Nevio Bernardi che mi disse “Perché non vieni in arte?” e andammo in compagnia con Alda Borelli; prendevo 15 lire al giorno nel 1924, non era molto, ma era già una cifra rispettabile che mi permetteva di vivere. Debuttai con Alda Borelli nella “Vergine folle”. La critica mi diede il pungolo: “Bene il Cervi” scrisse qualcuno. Fu l’inizio della mia carriera. Alda Borelli è stata con me affettuosa, da lei ho imparato moltissimo.

  • E dopo?

Cervi – Dopo questa un’altra grande occasione. Nel 1925 venni chiamato come primo attor giovane da Luigi Pirandello nella compagnia del Teatro d’Arte di Roma, accanto ai primi attori Marta Abba, Lamberto Picasso, Ruggero Ruggeri, interpretando successi come “Sei personaggi in cerca d’autore” in cui avevo la parte del figlio.

  • Pirandello, un grande!

Cervi – Certo, un grande, amava il teatro e come lui Renato Simoni. Loro hanno contribuito moltissimo alla mia formazione artistica. Essere in arte dura per sempre, si impara sempre qualcosa anche se si ha già una lunga esperienza. In quegli anni ero giovane e imparavo dai maestri.

  • Sei diventato un maestro.

Cervi – Sì, può darsi.

  • Come no, hai primeggiato in tutti i generi dello spettacolo: teatro, cinema, radio, televisione, star della pubblicità.

Cervi – Star no, facevo Vecchia Romagna.

  • Bene, cambiamo discorso, hai fatto 114 film, mi pare.

Cervi – Al cinema ho debuttato con “Frontiere” nel 1934, diretto da Cesare Meano.

  • Hai lavorato con Blasetti, grandi film.

Cervi – Sono stato “Ettore Fieramosca” nel 1938, un bel successo, ho girato “Un’avventura” di Salvator Rosa nel 1939 e, nel 1941, “La corona di ferro”. Piacquero al pubblico e, in parte, alla critica di quegli anni, ma, ci tengo a dirlo, non erano film di regime.

  • Non dimentichiamo “Quattro passi fra le nuvole” (1942) sempre diretto da Blasetti. Un film struggente, quasi strappalacrime, che poneva in luce un confronto tra città e campagna.

Cervi – Così ti è piaciuto. Bene. Interpretavo un commesso viaggiatore, oppresso da un matrimonio infelice, che accetta per un giorno di fingersi marito di una ragazza sedotta e abbandonata che tornava a casa dai suoi, timorosa di non essere accolta. Rimanevo affascinato dalla vita contadina, dalla sua famiglia semplice e onesta. Un film dai tanti significati, da capire.

  • Hai lavorato con Mario Soldati, ricordiamo “Le miserie del signor Travet” (1945) e “Daniele Cortis” (1947).

Cervi – Sì, Travet era Campanini, molto bravo. Ero un borghese alto funzionario statale che apprezzava le grazie e le attenzioni della signora Travet. Anche questo un film dai tanti significati. L’impiegato regio lasciava l’impiego dal presunto prestigio per andare a guadagnare molto di più alla cassa di una panetteria.

  • Sei stato il Cardinale Lambertini (1954), regista Giorgio Pastina, parlando con qualche frase in bolognese e proteggendo una Virna Lisi ragazzina e bellissima.

Cervi – Vero, c’erano pure Nadia Gray, Arnoldo Foà e Sergio Tofano che faceva il canonico conservatore… Il Cardinale Prospero Lambertini di Bologna che diventerà papa con il nome di Benedetto XIV, dopo un conclave durato sei mesi.

  • Già, era una bella interpretazione: abilità, simpatia, ironia e umanità e avevi una folta capigliatura chiarissima… Indimenticabile, ne “La lunga notte del ’43” (1960) di Florestano Vancini, la tua interpretazione del gerarca fascista, una figura malvagia, torbida, senza scrupoli, che ricompariva nello stupore del finale come uomo di potere amabile, sereno, pacato, inossidabile impunito.

Cervi – Non era eccezionale a quei tempi, un personaggio non difficile da rendere.

  • E poi tutta la serie di Peppone e don Camillo.

Cervi – Al contrario. Don Camillo e il sanguigno comunista Peppone, due amici veri, rivali sinceri che, in una sequenza esemplare si trovano insieme a mungere e accudire le vacche sofferenti per lo sciopero.

  • Un grande successo, ogni anno si replicano quei film.

Cervi – Un grande successo. Inimitabile.

  • Volevo intervistarti perché c’è un nuovo Maigret, interpretato da Depardieu.

Cervi – Depardieu è un bravo attore. All’epoca ci fu chi disse che il mio Maigret era meglio di quello di Jean Gabin.

  • Tra il 1930 e il 1972 Simenon scrisse 75 romanzi con Maigret. Gabin, Bruno Cremer, Jean Richard e altri hanno fatto Maigret, anche Sergio Castellitto. Eppure le tue Inchieste del commissario Maigret (in televisione, dirette da Mario Landi) sono indimenticabili.

Cervi – Ero Maigret, potrei dire sono Maigret, univo la bonomia alla serietà, al rigore, all’abilità investigativa. Un uomo maturo, un’autorità, che veniva talvolta trattato come un bambinone dalla signora Maigret, Andreina Pagani, lei veramente indimenticabile. Questa normale umanità di Maigret piaceva a tutti. A me piaceva la zuppa di cipolle che mi imbandiva la signora Maigret. E fumavo volentieri la pipa, il mio emblema. Ero più convincente di Gabin e non solo.

  • A proposito della pipa, Camilleri ricordò che “Gino Cervi non studiava mai la parte. Tutte quelle stupende pause del Commissario Maigret che carica la pipa in realtà gli servivano per leggere i gobbi”.

Cervi – Vero in gran parte. Non si dimentichi che avevo una lunga esperienza nell’arte.

  • Il tuo ultimo film è “I racconti romani di una novizia” del 1972 in cui eri Papa Leone X.

Cervi – Sul film nulla da dire. In quello stesso anno mi sono ritirato dalle scene. Ti saluto.

Scompare tra il fumo di tabacco. L’irreprensibile Gino Cervi si ritirò nella sua casa toscana di Punta Ala dove si spense il 3 gennaio 1974.