In queste settimane sta diventando virale, non solo in Italia, Squid Game (2021) una serie televisiva sudcoreana, prodotta a distribuita da Netflix, che ci dà modo di riprendere alcuni temi già affrontati. In primo luogo la serie, in nove puntate, è marcatamente sudcoreana non solo nell’ambientazione e negli attori, ma anche nei temi trattati, a cominciare dal gioco del calamaro (squid game) a cui deve il titolo che, personalmente, non ricordo di aver mai visto in Italia.

In questo momento molto delicato della nostra storia, quella umana intendo, ovunque impazza la pets-mania, cioè l’esposizione, l’esaltazione, l’antropizzazione insomma degli animali, la tendenza a considerarli umani e spesso a sostituirli agli umani stessi. I Social sono pieni di profili che hanno foto di cani e gatti, nonché altri animali di uno zoario molto nutrito, come immagini di copertina; innumerevoli sono i post che lanciano campagne di sensibilizzazione per adozioni, ricerche di bestiole smarrite e auguri di morte e sofferenze terribili verso chi si è macchiato di violenze sui poveri animali.

Per ragioni di anagrafe (classe 1952) e di ambienti frequentati (la cosiddetta “sinistra extraparlamentare”) ho vissuto alcuni degli aspetti più arrabbiati del femminismo anni Settanta: la polemica contro “il maschio in quanto maschio”, la destrutturazione della coppia, la critica feroce di tutto ciò che rinviava a ruoli di genere. Sul piano personale, sono stati anni difficili per chi era femmina e per chi era maschio: c’era assoluta chiarezza su ciò che non si voleva essere, e altrettanta confusione su ciò che si voleva diventare.

Sto camminando in una via del Centro, passo davanti alle vetrine dell’ennesimo fast food, “non luogo” per eccellenza; è metà mattina, un orario non canonico per consumare un pasto di carne, patate e condimenti grassi; dentro qualche avventore, studenti, pochi, il resto, gente sola, con nella mano sinistra il panino, nella destra un cellulare, sembra di ultima generazione… “Incredibile”, penso, nell’era digitale, della connessione totale, continua, assoluta, del villaggio globale, della rete integrata e integrante, la gente sta sola.

Scrivere questo articolo è stato un vero parto e il mio editore lo sa bene. La ragione è che il gioco è un affare serio. Serio e complicato. “Da che parte inizio?”. Questo è stato il problema. Il gioco è un bene ma in alcuni casi, quando diventa ludopatia, diventa un male. Il gioco è divertimento ma anche un business colossale, oggi più che mai. Il gioco è fantasia, ma anche logica, creatività, matematica, filosofia, psicologia.

“La bellezza è un’attitudine, non c’è nessun segreto. Perché tutte le spose sono belle ? Perché il giorno del loro matrimonio si preoccupano di come appaiono. Non esistono donne brutte, esistono solo donne che non si curano o che non credono di essere attraenti”. Quindi un segreto c’è ed è racchiuso proprio in questi concetti nuovi, soprattutto nel periodo storico in cui furono espressi, gli anni Trenta del nostro Novecento, parole che fanno riflettere ancora oggi e che aprono scenari inesplorati che vale la pena scoprire.

Si sta facendo strada una convinzione che identifica le donne come un popolo sottomesso, solo in parte liberato da una modernità che continua, magari in modo occulto, a discriminare le femmine, definirle esclusivamente o quasi secondo canoni estetici, per poi ucciderle quando non ubbidiscono o si sottraggono ai propri doveri.

Occuparsi della questione femminile non dovrebbe essere prerogativa delle sole donne, ma essere posto in cima alle priorità dell’agenda politica italiana. Non si tratta, infatti, di una mera rivendicazione di diritti , peraltro sanciti dalla Costituzione, o di una elitaria discussione teorica, ma riguarda la crescita e lo sviluppo del nostro paese nella sua interezza. Non c’è sviluppo se metà della popolazione non è giustamente valorizzata.

Sono nata in Italia agli inizi degli infuocati e dirompenti anni ’60, sono una “boomers” di diritto e ho vissuto da bambina prima, e adolescente dopo, l’epopea del Femminismo moderno. Ricordo le immagini della protesta con cui le femministe americane si liberarono platealmente di reggiseni, tacchi a spillo, corsetti, che consideravano gli strumenti di tortura delle donne, andata in scena ad Atlantic City il 7 settembre del 1968, simbolicamente durante l’elezione di Miss America, manifestazione considerata anti-femminista per eccellenza, che venne mandata sui telegiornali dell’epoca.

Oggi Biden si insedia alla Casa Bianca come nuovo Presidente della nazione ancora oggi più potente al mondo: gli Stati Uniti d’America. Fa una certa impressione soltanto a scriverlo. E il buon Trump fa le valigie (forse). E si beccherà pure il secondo impeachment della sua carriera, unico in tal senso nella storia di quella nazione, per “incitamento all’insurrezione”, a causa delle sue esternazioni veicolate con forza e continuità principalmente sui suoi canali social.