CINEMA
LINA WERTMÜLLER: LA VERA REGISTA DELLA COMMEDIA ALL’ITALIANA
Patrizia Foresto
L’importante era avere carattere e lei ne aveva da vendere, con la sua riconosciuta vena anticonformista.
In tutta la sua lunga vita di regista, scrittrice, sceneggiatrice e donna Lina Wertmüller non passò mai inosservata. Nemmeno da bambina quando, per il lato allegro e vivace del suo spirito inquieto, forte e ribelle, venne cacciata da ben undici scuole. Lo ripeteva spesso, quasi fosse per lei un vanto, un fiore all’occhiello, una caratteristica tutta sua da tener ben presente ed esternare essendo riuscita a mantenere intatto quel suo spirito indomito iniziale e spontaneo. Di carattere deciso e sicuro sapeva ciò che voleva e come raggiungerlo, lei artista a tutto tondo che non si curava di apparire simpatica e compiacente ma piuttosto ligia alle sue scelte artistiche ed umane facendo sempre trasparire senza veli né piaggerie ciò che aveva nel cuore attraverso la franchezza del suo pensiero tradotto in parole e con quell’ ironia sua fedele compagna. Anche chi sapeva poco di lei la riconosceva sempre attraverso le ardite montature bianche dei suoi occhiali, l’immancabile sigaretta, i lunghi interminabili titoli di alcuni dei tanti suoi film di successo, la scelta dei colori contrastanti per gli abiti classici ed essenziali, senza fronzoli che indossava con una predilezione costante per il nero spesso con un accessorio rosso scarlatto in un stile tutto suo, con le sue immancabili lunghe collane in pietre dure, le sue tante interviste sincere e sopra le righe, le sue risate aperte e vere. Meritatamente incoronata regina della commedia all’italiana, era nata nel 1921 a Roma, città da lei amata di cui incarnava perfettamente lo spirito allegro e solare e proprio nella città eterna che sentiva così tanto sua si è spenta all’età di novantatré anni in una fredda giornata di dicembre del 2021, nella sua casa a pochi passi da Piazza del Popolo. È sempre stata dotata della rara e difficile capacità di essere maestra per i suoi attori che per ogni suo lavoro cinematografico e teatrale andava a cercare con pazienza ed attenzione al ruolo, ben sapendo cosa voleva da ognuno di loro, da tutto il cast, non ultimo il senso dell’umorismo, una qualità per lei importante, quasi essenziale. Forse proprio quel suo nome incredibilmente lungo e variegato, proveniente dalle sue aristocratiche e nobili origini svizzere, Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, per tutti soltanto Lina Wertmüller, le resero facile la scelta di quei titoli infinitamente lunghi ed articolati di alcuni dei tanti film intramontabili ed indimenticabili che portano la sua firma. Da ricordare a questo proposito “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto“ del 1974 e “Film d’amore e d’anarchia: ovvero – Stamattina alle ore 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza “ del 1973, che la vide madrina e maestra di due allora giovani attori italiani, Giancarlo Giannini e Mariangela Melato che, come è tipico di ogni grande maestro, fece crescere in talento e sicurezza e che con lei raggiunsero i massimi livelli di interpretazione. Di lei Giannini, protagonista di otto dei suoi film tra cui “Pasqualino Settebellezze”, ha detto: “Senza la Wertmüller avrei fatto poco. È stata la mia vera maestra sul campo. Conosceva il mondo dello spettacolo a trecentosessanta gradi. Mi ha aperto la mente e mi ha fatto capire cos’è la fantasia.” La ricorda sul set come una regista molto determinata ed energica che rasentava a volte l’aggressività, non sempre di facile convivenza. “Bisogna sapersi imporre – diceva – dirigere significa tenere in mano le fila di tutto”, evocando con queste parole il suo trascorso da giovane burattinaia, lei artista completa che aveva anche recitato. Sapeva costruire di volta in volta il personaggio su coloro che erano chiamati a dargli vita in un continuo scambio di energie creative. Fine conoscitrice e psicologa dell’animo umano sapeva cogliere l’essenza di ognuno e trarne il meglio. Scopritrice di talenti, non era un volto particolarmente bello e classico quello che cercava ma piuttosto interessante ed unico.
Era essa stessa un talento formatasi con tenacia all’Accademia Teatrale romana, facendosi in seguito le ossa all’ombra di grandi registi quali Garinei e Giovannini e De Lullo oltre al suo ruolo di aiuto regista di Federico Fellini in “La dolce vita” del 1960. Esordì come regista nel 1963 con “I basilischi”, una storia di vita del sud in un film drammatico girato in un paese della Murgia pugliese con cui vinse La Vela d’argento, ambito riconoscimento al Locarno Festival. Sono gli anni in cui conobbe Enrico Job, un artista ed apprezzato sceneggiatore che sposò nel 1968 e con cui visse un profondo legame, una grande intesa nella loro vita privata e lavorativa, un intenso amore, culminato nella gioia per la loro figlia Maria Zulima. Della loro storia diceva che è stato un miracolo ed i miracoli non si raccontano, un uomo il suo che lei definiva come luminoso, un grande artista, un fine intellettuale, un pezzo raro. Tanti i premi ed i riconoscimenti alla sua carriera: è stata la prima donna ad essere candidata al prestigioso premio Oscar quale miglior regista nel 1977 con il suo Pasqualino Settebellezze. Nel 2020 ha ricevuto a Los Angeles l’Oscar alla carriera, accolta sul palco da una emozionatissima e sempre affascinante Sophia Loren mentre nel 2010 le è stato conferito il David di Donatello alla carriera. In televisione, oltre ad aver curato la prima edizione di Canzonissima nel 1956 per la RAI come autrice e regista, è indimenticabile il suo “Giornalino di Gian Burrasca” del 1964/5, la versione televisiva di un noto libro per ragazzi in otto episodi. Fu la stessa Wertmüller a volere come protagonista in abiti maschili una giovanissima, spumeggiante Rita Pavone, la ragazza pel di carota per il colore dei suoi capelli che tutti conoscono per essere una delle più grandi voci italiane di sempre e che caratterialmente ben si avvicinava a Lina, giovane regista in ascesa. Nel mondo della lirica ha dato il suo contributo con la regia della Carmen di Bizet, per citare un suo lavoro, nel 1986 per la prima al Teatro San Carlo di Napoli, città di cui è stata insignita della cittadinanza onoraria. E’ stata recentemente omaggiata sulla Hollywood Walk of Fame con una prestigiosa piastrella stellata a lei dedicata. Ha spaziato dal cinema al teatro, alla televisione, alla lirica raccogliendo un ricco intreccio di esperienze uniche e difficilmente raggiungibili. È stata indubbiamente un esempio molto importante per le giovani registe, tra cui Jodie Foster, che stavano intraprendendo la non facile carriera che proprio lei, grazie al suo talento innato, aveva tracciato con determinazione, senza lasciarsi scoraggiare e con un pizzico di immancabile ironia. A chi le chiedeva se fosse stato difficile essere una regista donna del suo tempo rispondeva che è stata la passione il motore della sua carriera, la determinazione e che non è importante essere uomo o donna ma avere talento e questo, sottolineava, non ha sesso. L’importante era avere carattere e lei ne aveva da vendere, con la sua riconosciuta vena anticonformista. Un personaggio femminile del nostro tempo che ogni donna avrebbe dovuto conoscere per carpirle quel segreto di fermezza decisionale mista ad una leggerezza d’animo e ad una libertà che non prevede schemi, lei appassionata ed appassionante che sapeva scherzare con le parole ma mai con i concetti , una donna senza rimpianti ma con tante realizzazioni importanti per sé e per quanti hanno avuto la fortuna di lavorare e crescere con lei che fino alla fine non si stancò di ripetere che la gioia di vivere è fondamentale insieme alla voglia di farne costante esperienza come ha sottolineato nell’ incipit della sua autobiografia in una frase presa da un film di felliniana memoria, “ la mia vita è una festa, viviamola insieme”.