Pietro Nenni nasce in Romagna, una generazione politica dopo quella di Filippo Turati. Come a volte accadeva all’epoca, poté studiare grazie all’interessamento di una contessa, in rapporti di amicizia con la madre; egli infatti era orfano di padre e saranno i preti in cerca di vocazioni, a permettergli di completare gli studi fino al diploma magistrale.

Il calcio, lentamente, sta uscendo dalla sua crisi. Una crisi – dettata dalla pandemia -sociale, finanziaria, emotiva, storica. Gli stadi vuoti (adesso, soprattutto per gli Europei, ci saranno ingressi contingentati), una Superlega durata il lampo di uno sbadiglio, per il bene di un pallone ancora ancorato alla meritocrazia e al sentimento, i conti in rosso, una sensazione di vuoto, di assenza, in una vertigine di disillusione e di rimpianto.

Scrivere questo articolo è stato un vero parto e il mio editore lo sa bene. La ragione è che il gioco è un affare serio. Serio e complicato. “Da che parte inizio?”. Questo è stato il problema. Il gioco è un bene ma in alcuni casi, quando diventa ludopatia, diventa un male. Il gioco è divertimento ma anche un business colossale, oggi più che mai. Il gioco è fantasia, ma anche logica, creatività, matematica, filosofia, psicologia.

Fu senza ombra di dubbio il fondatore del Socialismo gradualista, quello che nonostante i tempi, siamo nel 1892, porterà il partito nel gioco parlamentare. Turati apparteneva alla classe sociale di molti altri intellettuali protagonisti della fondazione, in massima parte borghesi: avvocati, professori, medici, il loro socialismo fu sicuramente più teorico rispetto a quello di altri Paesi europei, dove fu di chiara origine sindacale.

Da tempo, è sotto gli occhi di tutti lo strapotere che ha acquisito la magistratura, soprattutto quella inquirente, quella delle procure, che hanno il più terribile dei poteri: quello di togliere la libertà agli uomini e di devastarli nei loro beni, nei loro affetti, nella reputazione. Un potere che è diventato sempre più terribile, totalizzante e soprattutto sempre più irresponsabile; un potere che detta l’agenda politica, che decide i destini dei politici e con essi quello dei governi locali e nazionali, entra a gamba tesa nei problemi economici e sociali, ne influenza o ne surroga le leggi.

(a proposito di occupazione della Jugolsavia e delle foibe)
“Memoria condivisa” è una formula suggestiva ma vuota: sarebbe sicuramente positivo se i popoli (o le comunità, i gruppi, gli stessi singoli individui) approdassero ad una comune lettura del passato che li coinvolge. La realtà è diversa: le “memorie”, proprio in quanto tali, non sono uniche ma plurali, ogni popolo ha la propria, radicata in un sentire sofferto e, insieme, geloso.

La Boemia è un territorio circondato da montagne che ne definiscono i confini e ne determinano il carattere degli abitanti, orgogliosi ed indipendenti. Non è un caso che a Praga sia stato assassinato nel 1942 Reinhard Heydrich, numero due delle SS. In tempi più recenti, il turista vi troverà molti uffici di cambio, perché nessun commerciante accetta pagamenti in Euro, cosa che, invece, altrove è assai diffusa, creando di fatto una doppia circolazione della moneta.

Immaginatevi uno di quei vecchi saloon polverosi di Sergio Leone: vociare sopra le righe, espressioni non propriamente da collegio svizzero, ballerine appassite e disponibili, whiskey tanto e soldi pochi, unti e stropicciati. Sbattendo le porte fanno il loro ingresso dodici riccastri protervi, tipo Rockerduck (Paperone no, in fondo è simpatico) oppure Ebenezer Scrooge, ma prima della notte di Natale.

In questo centenario della nascita di Leonardo Sciascia (1921-20121), sono tante le iniziative celebrative programmate, ancorché limitate dalla pandemia, e davvero tanti i libri pubblicati per l’occasione sullo scrittore, morto nel 1989. In questa sede ne propongo alla attenzione uno uscito nelle settimane scorse dal titolo “Dalle parti di Leonardo Sciascia – I luoghi, le parole, la memoria”, di Salvatore Picone e Gigi Restivo, Zolfo editore.

“La bellezza è un’attitudine, non c’è nessun segreto. Perché tutte le spose sono belle ? Perché il giorno del loro matrimonio si preoccupano di come appaiono. Non esistono donne brutte, esistono solo donne che non si curano o che non credono di essere attraenti”. Quindi un segreto c’è ed è racchiuso proprio in questi concetti nuovi, soprattutto nel periodo storico in cui furono espressi, gli anni Trenta del nostro Novecento, parole che fanno riflettere ancora oggi e che aprono scenari inesplorati che vale la pena scoprire.