SPORT

CALCIO ANNO ZERO: DAL BUIO AL MIELE

Darwin Pastorin

L’Achille del nostro pallone ci ha insegnato che si può vivere, benissimo, senza calcio.

Il calcio, lentamente, sta uscendo dalla sua crisi. Una crisi –  dettata dalla pandemia -sociale, finanziaria, emotiva, storica. Gli stadi vuoti (adesso, soprattutto per gli Europei, ci saranno ingressi contingentati), una Superlega durata il lampo di uno sbadiglio, per il bene di un pallone ancora ancorato alla meritocrazia e al sentimento, i conti in rosso, una sensazione di vuoto, di assenza, in una vertigine di disillusione e di rimpianto. L’anno scorso se ne sono andati amati campioni, alcuni profondamente cari al mio cuore: penso a Pietro Anastasi idolo della mia giovinezza e poi mio grande amico, a Pablito Rossi, un altro fratello, il goleador capace di riportare, al Mundial di Spagna del 1982, l’Italia al centro di un amore universale, a Diego Armando Maradona, in più grande di tutti, il mio Borges della pelota, lo scugnizzo ribelle sul prato verde e fuori. Il football si è ritrovato smarrito, in lacrime, senza i suoi beniamini più celebrati. E, in questi giorni, è ritornato a parlare, in una bellissima intervista di Emanuela Audisio per il Venerdì di Repubblica, Roberto Baggio, un numero 10 di assoluta e lucente bellezza. L’Achille del nostro pallone ci ha insegnato che si può vivere, benissimo, senza calcio: coltivando la terra e i sogni, senza perdersi nei meandri di panchine da conquistare, di partite da commentare, di un mito continuamente da rispolverare. Il Divin Codino ha scelto la natura, un’altra vita: ed è profondamente e meravigliosamente felice. E questo nel tempo del ritorno di José Mourinho in Italia, alla Roma. Ecco il calcio rifarsi fenomeno mediatico: i tifosi giallorossi hanno salutato l’ingaggio dell’allenatore portoghese con espressioni di autentico giubilo, è arrivato, per loro, il profeta atteso da anni, il motivatore che riuscirà, sono pronti a scommettere, a riportare la Roma, così come fece con l’Inter nelle stagioni del ‘triplette’, ai fasti dello scudetto, di una rinnovata gloria. Mou è, indubbiamente, un personaggio, oltre che un tecnico vincente (anche se i suoi ultimi campionati sono stati deludenti): saprà, ancora una volta, vedrete, diventare un protagonista da prima pagina. Ecco: dai ‘silenzi’ di Baggio al ‘rumore’ di Mourinho: il football è anche questo. Un contenitore di passioni segrete e di umori densi. La poesia e la prosa.

Una fantastica metafora dell’esistenza. Noi abbiamo voglia di recuperare gli spalti, di vivere la magia del pallone da vicino, di quando il campo, come poetava Maurizio Cucchi, “era la quiete e l’avventura”. E ci sovviene il meraviglioso Eduardo Galeano: “Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: ‘Una bella giocata, per amor di Dio’. E quando il buon calcio si manifesta, rendo grazie per il miracolo e non mi importa un fico secco di quale sia il club o il paese che me lo offre”. Ecco: vogliamo, con tutte le nostre forze, passare, chiedendo venia a Giovanni Arpino, dal buio al miele. Perché il pallone, anche quando sostituisce il dribbling con il marketing, anche quando i grandi club mostrano i muscoli, rimane la nostra felicità e la nostra consolazione, ‘il recupero settimanale dell’infanzia’, per citare Javier Marías, scrittore di qualità e immenso sostenitore del Real Madrid. Al fischio d’inizio dell’arbitro ritorniamo fanciulli. E rimane un abbaglio l’ingresso delle squadre dal tunnel degli spogliatoi, la festa sulle gradinate: perché prima o poi questo maledetto virus se ne andrà, definitivamente. E noi, nei giocatori di oggi, recuperiamo i nostri assi di ieri. Riecco, come per incantamento, Pietruzzu, riecco Furia, riecco Dino. Riecco la nostra adolescenza ripresa per mano: le figurine Panini, le partite giocate sul prato vicino a casa e terminate soltanto con il richiamo delle madri per la cena, gli autografi, la curva, i ritagli dei quotidiani sportivi. E Tino Castano e Cinesinho, Anzolin e Leoncini erano, per noi, come gli eroi salgariani: giovani, belli e invincibili. Sì, sta ritornando la speranza. E non vediamo l’ora, citando Umberto Saba, di festeggiare un gol: “La folla – unita ebbrezza – par trabocchi / nel campo. Intorno al vincitore stanno, / al suo collo si gettano i fratelli. / Pochi momenti come questo belli, / a quanti l’odio consuma e l’amore, / è dato, sotto il cielo, di vedere”.