Pubblicati da Enrico Borla

LA FOTOGRAFIA DA VIAGGIO

Esiste un attimo magico nella vita di ogni fotografo: si parte! È il momento tanto atteso, soprattutto dopo questi mesi di costrizione della libertà- Finalmente ricomincia la vita errabonda dell’esploratore. La voglia di avventura che attraversa in modo adrenalinico il corpo di ogni cacciatore. L’inquietudine ci pervade, il tempo sarà buono? I paesaggi suggestivi? Riuscirò a fare foto non solo belle ma soprattutto originali?

L’ULTIMA FOTO POSTATA: IPOTESI PER UNA FOTOMANTICA

Esiste una categoria fotografica dai risvolti inquietanti: l’ultima foto postata nel profilo social. L’essere l’ultima immagine con cui vuoi essere visto, riconosciuto, porta con sé una serie di effetti collaterali. Innanzitutto l’attesa sia da parte di chi l’ha postata sia da parte del follower di turno. Il postante ovviamente ha degli scopi: farsi riconoscere, oppure mimetizzarsi, oppure trasmettere dei messaggi ben precisi.

TRA LE MURA DOMESTICHE, LA FOTOGRAFIA DEL UNHEIMLICH

Le fotografie scattate in casa, fra le mura domestiche pongono problemi quasi insolubili. Il primo è quello dell’imitazione delle foto di AD o d’ interni paramuseali. Al di là della stucchevolezza del tema, è ovvio che il set fotografico necessiterebbe in primo luogo di una location degna di nota. La gran parte dei fotografi vive, invece, in appartamenti di ottanta cento metri quadrati, arredati da mobili Ikea, spesso rabberciati con qualche pezzo un po’ più pregiato, magari anche ereditato, ma comunque discordante dall’ idea purista di un arredamento scandinavo se pur di basso prezzo.

LE CITTÀ VISIBILI

“Partendosi di là e andando tre giornate verso levante, l’uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole d’argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d’oro che canta ogni mattina su una torre. Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre città.

FOTOGRAFARE IL NATALE

Cercare di fotografare il Natale è cosa assai complessa in quanto la parola nasconde infinite declinazioni: possiamo fotografare la riproduzione della nascita di Gesù, immortalando presepi, angioletti, decorazioni e alberi carichi di orpelli tra pacchi, pacchettini, bambini urlanti, nonni attoniti, madri trafelate, oppure possiamo dedicarci all’invenzione del Natale moderno fra file di luci colorate, vetrine decorate, costruzioni luminose poste nelle piazze di paesi e città.

IL NUDO, FOTOGRAFIA IMPOSSIBILE

Che il nudo fotografico sia una pratica costante ed abusata lo testimoniano la storia e una semplice ricognizione del WEB. Per farci un’idea di come si sia articolato il discorso nudo in fotografia basta dare uno sguardo a siti ultrapopolari come Instagram, dove si può osservare che i due grandi temi evidenziati dalla storia del nudo in fotografia si rincorrono anche oggi:

IL RITRATTO FOTOGRAFICO

Della prima donna di cui mi sono innamorato ricordo solo le trecce bionde e gli occhi azzurri. Avevo credo 10 o 11 anni e lei si chiamava Rebecca Thatcher. Mi preferì Tom Sawyer e le sue Avventure: questa fu l’esperienza primaria del leggere e dell’innamorarsi di un ritratto sconosciuto. Lo scrittore narra, descrive, riassume un personaggio, eppure questo rimane sfocato e la nostra immaginazione è chiamata a completarlo.

LA REALTÀ COME FINZIONE FOTOGRAFICA

È frequente che chi si trovi a fotografare, commetta un inconsapevole peccato di presunzione: quello di ritenere che lo scatto abbia che fare con la ‘realtà’. La fotografia è assunta da sempre a titolo di verità, circoscritta nel tempo e nel luogo, testimonianza inconfutabile poiché si presume che l’unico intermediario fra essa e l’oggetto fotografato sia un meccanismo inerte: la macchina fotografica. Questo errore si è perpetuato nel tempo.

L’anima della fotografia

Quando si introduce la parola Anima immediatamente il terreno sotto i nostri piedi si fa scivoloso, fragile come una faglia di dolomia pronta a franare. La parola Anima in Occidente si è guadagnata nei secoli una valenza spirituale, ma non bisogna dimenticare che nelle antiche culture l’anima era pensata come qualcosa di corporeo: il φρήν (diaframma) sede del pensiero e della contemplazione.