EMOZIONI

FOTOGRAFARE IL NATALE

Enrico Borla

Come passare dal particolare personale ad una comunicazione universale che doni una immagine nuova ad un rito ancestrale?

Cercare di fotografare il Natale è cosa assai complessa in quanto la parola nasconde infinite declinazioni: possiamo fotografare la riproduzione della nascita di Gesù, immortalando presepi, angioletti, decorazioni e alberi carichi di orpelli tra pacchi, pacchettini, bambini urlanti, nonni attoniti, madri trafelate, oppure possiamo dedicarci all’invenzione del Natale moderno fra file di luci colorate, vetrine decorate, costruzioni luminose poste nelle piazze di paesi e città. O ancora possiamo gettarci in cocacolaland ricalcando l’iconografia americana fatta di Babbi Natale di rosso vestito, renne, buone intenzioni, fiocchi di neve, cani scodinzolanti. Altrimenti possiamo andare in contro tendenza, cercando i visi di barboni gelati, o volti piangenti dalla solitudine nel giorno di festa, o ancora le periferie desolate dalle geometrie interrotte da polverosi pupazzi di Babbi natali che si arrampicano come ladri su balconi disordinati. Addirittura potremmo metterci a spiare le finestre illuminate, rubando immagini di stelle di carta della tradizione nordica, di calze appese alla moda britannica con tanto di Teddy Bear, di candele austriache o di berrettini rossi sulle assolate spiagge australiane.  Le occasioni di una fotografia sono infinite, alcune volte a ricordo famigliare, spesso a scopo pubblicitario, raramente come ricerca di un istante magico. Tuttavia il tema del Natale è quanto mai sdrucciolevole perché aperto all’inflazione, al già visto, al già raccontato. L’invenzione del Natale, in Occidente, è relativamente recente. San Francesco nel 1223 fece una prima performance con una messa in una grotta di Greccio con una mangiatoia al centro. A quel tempo ogni rappresentazione sacra era proibita, per cui il Papa Onorio III concesse questa variante in una grotta. Solo nel 1283 il primo presepe con le statuette fu fatto per opera di Arnolfo di Cambio. Il Natale è un archetipo di rinascita, forse legato ai culti solari prima che al cristianesimo, ma è anche un rituale codificato nei secoli che ormai appartiene al conscio collettivo. Il declino della fede e la fame mercantile affacciatasi alla storia dopo Adam Smith, hanno reso il Natale una preda prelibata. Ingoiato dal leviatano consumistico è stato risputato in un codificato rituale commerciale che, come tutti i riti privi di sacralità, è stato incarcerato in convenzioni ripetute all’infinito. Ecco la difficoltà, cosa fotografare nel già detto? Nello stravisto?

Come passare dal particolare personale ad una comunicazione universale che doni una immagine nuova ad un rito ancestrale? La ricorsività del rito obbliga a cercare la differenza. Forse bisognerebbe fotografare il Natale con l’anno accanto. In altre parole una fotografia con etichetta come il vino, per percepirne le mutazioni. I bimbi neonati che diventano genitori, gli anziani che si fanno decrepiti e poi scompaiono, le case che mutano o si ammuffiscono diroccandosi lentamente. Oppure si potrebbe cogliere il Natale all’esterno, il Natale che vaga sottobraccio alla storia: sotto i bombardamenti, mentre si esce nel dopoguerra, nelle vetrine del boom economico, nell’accartocciarsi della cristianità sotto il timore islamico, forse nella desolazione del prossimo Natale “covidiano”.

Nella fotografia natalizia siamo imprigionati fra la diaristica personale o storica e il conformismo parapubblicitario. Natale è un “limen”, un confine, un antico anelito affinché la divinità della luce torni dopo i giorni bui. Forse per fotografare il Natale occorrerebbe fotografare la speranza. Ma questo ci farebbe ricadere nel concettuale se va bene, molto più probabilmente precipiteremmo nel più melenso New Age. Il conformismo fotografico consigliato su riviste e siti WEB è infinito: addobbi, luci, light painting, timelapse, città e luoghi pubblici, cibo, regali, ritratti rubati e no, foto di gruppo ed altre innumerevoli oscenità. Temo, nei miei limiti immaginativi, che a Natale la macchina fotografica vada riposta oppure, ancor meglio, regalata o ricevuta in dono. Fotografare il sacro è pericoloso, si può profanarlo perdendolo per sempre. Il Natale è sacro ed è nello scorrere del tempo. Così non potremo che unirci alle parole di C. Dickens, consci che il Natale è un evento interiore che scandisce il tempo e dal Tempo viene scandito:

I will live in the past, the

present, and the future.

The spirits of all three

shall strive within me.”