EMOZIONI

TRA LE MURA DOMESTICHE,

LA FOTOGRAFIA DEL UNHEIMLICH

Enrico Borla

Una parola tedesca ambigua, tradotta come il raccapricciante, l’inquietante, lo strano, lo spaventoso, il sinistro.

Le fotografie scattate in casa, fra le mura domestiche pongono problemi quasi insolubili. Il primo è quello dell’imitazione delle foto di AD o d’ interni paramuseali. Al di là della stucchevolezza del tema, è ovvio che il set fotografico necessiterebbe in primo luogo di una location degna di nota. La gran parte dei fotografi vive, invece,  in appartamenti di ottanta cento metri quadrati, arredati da mobili Ikea, spesso rabberciati con qualche pezzo un po’ più pregiato, magari anche ereditato, ma comunque discordante dall’  idea purista di un arredamento scandinavo se pur di basso prezzo.

E poi che dire dei sopramobili, che come cantava il poeta :

Loreto impagliato e il busto d’Alfieri, di Napoleone

i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!)

il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti,

i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro, …

figure sognanti in perplessità,

il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone

e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,….

Il lampadario che nel quarzo riflette e moltiplica a migliaia le buone cose di pessimo gusto, è l’amico che ci ammonisce dai rischi della fotografia domestica. Impossibilitato la precisione glaciale della rivista e l’orrore che tracima dagli oggetti accumulati nelle nostre case, il dito che scatta viene paralizzato. Una tanatosi dettata dall’orrore, in un domestico che non è domestico anzi spesso è una belva assassina che ci chiude nell’angolo. E nell’ipotesi di vincere la paralisi, lo scatto potrebbe solo svelare algidi e patinati arredamenti (se il buon gusto e il denaro ce lo consentono) oppure ambienti asfittici, soffocati da una moltitudine di oggetti inutili. La fotografia non perdona, rivela senza pietà, svela inchiodandoci all’eccesso che ci circonda. Credo, a mia conoscenza, che forse solo quel genio di Salgado si sia salvato. Quando era in Francia, già sposato con un figlio, acquistò la prima macchina fotografica e tornato a casa fotografò nel letto sfatto la moglie e il figlio, per provare l’apparecchio fotografo. Il miracolo del genio trasformò quelle pose nella avvisaglia dei capolavori che avrebbero costellato la sua vita. Ma è un dono raro fra gli esseri umani. L’altro errore in cui si incorre nella foto fra le mure domestiche è quello di attendere le feste in famiglia: bambini piangenti, amici distratti o ammiccanti, nonni assopiti, piatti sporchi, candeline stentate, bicchieri semivuoti, volti stravolti dalla noia. Fotografie che hanno come contenitore le mura domestiche ma hanno come principale funzione essere archiviate per essere poi ricuperate decine di anni dopo al fine di constatare il declino irrimediabile dei presenti, che da una festicciola all’altra si sono rattrappiti sotto il peso della vita. Cosa rimane allora al fotografo chiuso in casa in una giornata di pioggia o di lock down? A mio parere non rimane che cercare il nascosto nel palese ed esplicito delle mura da sempre abitate.

È l’unheimlich. Una parola tedesca ambigua, tradotta come il raccapricciante, l’inquietante, lo strano, lo spaventoso, il sinistro ma per noi italiani frequentatori della psicoanalisi la parola magica è il perturbante, di freudiana memoria. Nel vocabolario della lingua tedesca di Daniel Sanders troviamo alla parola heimlich le indicazioni seguenti: appartenente alla casa, non straniero, familiare, domestico fidato e intimo; ma anche nascosto, tenuto, celato, in modo da non farlo sapere ad altri o da non far sapere la ragione per cui lo si intende celare. Come dice Schelling: “E’ detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare […] segreto, nascosto, e che è invece affiorato”. Siamo avvisati che questo termine: heimlich non è univoco ma appartiene a due aree di rappresentazioni che, senza essere antitetiche, sembrano tuttavia parecchio estranee l’una all’altra: quella della familiarità, dell’agio, la seconda quella del nascondere, del tener celato. Nell’uso corrente, unheimlich è il contrario del primo significato e non del secondo. Heimlich è quindi un termine che sviluppa il suo significato in senso ambivalente, fino a coincidere in conclusione con il suo contrario: unheimlich. Freud stesso, partendo da una delle opere più angosciose di Hoffmann, L’uomo della sabbia, descrisse con tocchi magistrali la regressione psicologica che riporta in vita gli incubi infantili del protagonista, scrivendo quel capolavoro intitolato Il Perurbante. D’altronde in questo tipo di considerazioni Freud era già stato in qualche modo anticipato in ambito ontico da Schelling, come già scritto prima. Io sono solito metaforizzare ai miei analizzanti tale concetto con questo esempio “Vado in cantina a prendere marmellate o vino, il posto più goloso e familiare del mondo. Poi improvvisamente manca la luce e tutto intorno diventa spaventoso e perturbante”. Allo stesso modo la fotografia delle mura domestiche, anche se guidata da mani esperte, nella crudele oggettività dell’obbiettivo, può svelare quei ricordi, quei modi, quelle abitudini spaventose che abitano le mura che circondano, ma che non riconosciamo se non in ricordi grotteschi e alle volte spaventosi della nostra infanzia o del nostro rimosso.  Noi cerchiamo di adornare la nostra casa di oggetti e mobili accoglienti, che ci rispecchiano nella speranza vana di rappresentare il nostro status. In verità ci riempiamo di ciarpame, magari di lusso, ma che comunque non può che riprodurre l’inferno che ci abita. Un inferno non certo epico come quello di Dante, ma un Inferno ben più crudele: fatto dalla banalità e soprattutto un inferno museale che ricorda gli anni e la vita trascorsa. Crudele espiazione del nostro agire.  Attenti allora a fotografare le mura domestiche, potremmo immortalare lo squallido destino di noi mortali. La macchina fotografica è un mezzo spudorato che, come evidenzia ogni ruga ed imperfezione nei nostri corpi, può svelare il carattere più intimo della nostra psiche, proprio nella tana ove ci sentiamo sicuri. Parafrasando Capareza: “Sono fuori dal tunnel del divertimento, …. quando esco di casa e mi annoio, sono molto contento” ed aggiungerei: quando sono in casa e mi annoio, sono molto più contento. Buon Lock Down.