EMOZIONI

IL NUDO, FOTOGRAFIA IMPOSSIBILE

Enrico Borla

Non sono nudi, sono la recita di nudi.

Che il nudo fotografico sia una pratica costante ed abusata lo testimoniano la storia e una semplice ricognizione del WEB. Per farci un’idea di come si sia articolato il discorso nudo in fotografia basta dare uno sguardo a siti ultrapopolari come Instagram, dove si può osservare che i due grandi temi evidenziati dalla storia del nudo in fotografia si rincorrono anche oggi: da una parte il nudo pornografico, dall’altra quello ‘artistico’. Mi spiego meglio, il primo filone è un rigurgito di pezzi di carne e pelle, in posizioni provocanti che hanno come unico scopo l’eccitazione del pubblico. Una fotografia pornografica che può essere più o meno curata ma che è un mezzo per un unico fine: alimentare l’attività voyeristica. Dall’altra parte, sia nella storia della pittura che della fotografia, il corpo femminile è stato usato come simbolo di bellezza, con modelle e posizioni spesso rarefatte che riprendono gli stilemi neoclassicik, in cui il corpo femminile diventa semplice  oggetto, manifestazione di un’idea iperuranica. Siamo certi che queste fotografie siano dei nudi? Le prime ovviamente no! Le modelle sono rodate, esperte, i loro corpi anche se nudi sono vestiti da posizioni ed atteggiamenti che ne fanno attrici in scena. Analogamente i fotografi sono professionisti del nudo, esperti nell’arte di inventare pose provocanti per la loro platea. Similmente nella foto ‘artistica’ siamo nuovamente davanti a professionisti e modelle che hanno lavorato sul loro corpo trasformandolo, vestendolo con le loro forme pneumatiche fatte di esercizi fisici e diete anoressizzanti. Non sono nudi, sono la recita di nudi. Concretamente si possono ammirare corpi nudi ma in realtà sono rappresentazioni di questi, in un ideale dettato dalla moda. Siamo in un circolo vizioso e per uscirne dobbiamo ricorrere alla scrittura di un grande: Balzac e il suo racconto ‘Il capolavoro sconosciuto’ e alla trasposizione di questo in un film del ‘91: ‘La bella scontrosa’. I punti in comune sono semplici. ‘La belle noiseuse’ è il titolo del quadro incompiuto che ha spinto il grande pittore Edouard Frenhofer a smettere con la pittura; ritiratosi dal mondo in una crisi creativa, dedica ormai ben poco tempo alla moglie, sua ex modella, ormai appassita. Un giorno arriva in visita un ammiratore, pittore della nuova generazione, con la sua bella compagna, che fa rinascere in Frenhofer la voglia di ricominciare a dipingere. Tra il pittore e la modella, si instaura un complesso rapporto fatto di violenza, di desiderio di plasmare e trovare quella verità che l’arte promette ma spesso non mantiene o mantiene troppo.

Nel film di Rivette, quando Frenhofer, interpretato da Michel Piccoli, ritrova la capacità di dipingere e la ragazza scopre attraverso il suo ritratto delle verità su se stessa che è doloroso sapere, per supremo dispetto o autodifesa, senza mostrarlo allo spettatore, Frenhofer mura il suo capolavoro finalmente compiuto. Quello che conta non è il risultato, ma il processo di scoperta che lo ha prodotto. Alla mercantile curiosità dei terzi verrà offerto un quadro qualsiasi dipinto lì per lì. Quasi analogamente nel racconto di Balzac, il pittore morirà nella notte, dopo aver bruciato tutti i suoi dipinti. In entrambi i casi la conseguenza è evidente. Quando il nudo interessa due ‘amanti’, quando ha un’anima, quando coagula dolore e desiderio, diventa impubblicabile. Per pudore, per ritrosia ma soprattutto perché un fiocco di neve esposto alla luce del sole non può che sciogliersi. In altre parole: possiamo pensare ad un fotografo così abile che, pur preso dal desiderio, ritrae la compagna nei preliminari dell’amore? Ovviamente l’obiettivo della macchina fotografica creerebbe una barriera fra i due, impedendo un vero nudo. Ma se anche questo accadesse ed un fotografo riuscisse a fotografare se stesso nudo e l’oggetto del suo amore esposto, questo scatto potrebbe essere mostrato? Il tema riporta direttamente alla mia materia, ovvero cosa accade durante una seduta analitica. Il mondo è pieno di romanzi che raccontano psicoterapie, di setting, dove la tensione amorosa, trattenuta o no, diviene perno del discorso analitico. Ma sono narrazioni fantastiche, invenzioni, elaborazioni a tavolino. Analogamente gli archivi delle scuole analitiche sono colmi di relazioni ‘verosimili’ portate dall’analista in formazione al proprio didatta. Reportage ad usum delphini, espurgati da ogni tensione, per ottenere un’approvazione. E anche quando questo non avviene, quanti neoanalisti hanno la capacità di raccontare efficacemente la ‘nuda’ realtà? La tensione erotica fra analista ed analizzando in un setting analitico è riproducibile? Ovviamente no! La nudità, del corpo e dell’anima necessita di affidamento, ha bisogno della certezza del segreto, dell’intimità, del reciproco affidarsi, dell’unicità dell’evento. Ha bisogno di uno sguardo o di un orecchio unico, non condivisibile, pena la scomparsa del miracolo amoroso per tradimento. Cito a memoria quanto disse il celebre analista Cesare Musatti: “Se durante una seduta analitica entrasse un carabiniere, questi arresterebbe entrambi gli occupanti della stanza”. La nudità assoluta è, per citare ancora Musatti: “uno sport che presuppone la costante incombenza del rischio e della morte.”