EMOZIONI
LA REALTÀ COME FINZIONE FOTOGRAFICA
Enrico Borla
Il nostro occhio è soggetto alle medesime aberrazioni di un obiettivo e spesso esse sono molto più serie.
È frequente che chi si trovi a fotografare, commetta un inconsapevole peccato di presunzione: quello di ritenere che lo scatto abbia che fare con la ‘realtà’. La fotografia è assunta da sempre a titolo di verità, circoscritta nel tempo e nel luogo, testimonianza inconfutabile poiché si presume che l’unico intermediario fra essa e l’oggetto fotografato sia un meccanismo inerte: la macchina fotografica. Questo errore si è perpetuato nel tempo. Oggi, ‘fotografi adulti’, siamo consapevoli che una serie di errori fotografici distanziano la fotografia dalla realtà: aberrazioni ottiche, viraggi e tool per la correzione delle immagini, manipolazioni da camera oscura e camera bianca e così via. Tuttavia il fotografo continua ad assumere atteggiamenti improntati alla correttezza riproduttiva: la posizione frontale rispetto al soggetto, la simmetria degli spazi gestaltici, l’equilibrio formale di chi non vuol disturbare, persino l’assenza di un soggetto specifico al fine di sostenere con maggior forza che non si è voluto omettere niente, che si dice tutta la verità. L’onesto fotografo è un prestigiatore che si impegna a rendere invisibile il suo trucco al pubblico. È così che si compie l’errore fatale: quello di ritenere che la fotografia riproduca la realtà, mentre, nel migliore dei casi, essa è semplicemente verosimile. L’illusione documentaristica non è scomparsa, per quanto scettici con il WEB, tutti noi abbiamo una fede assoluta: Google Earth e la sua emanazione, Street View. Questa applicazione, utilissima per altro, sviluppata nel primo decennio di questo millennio possiede tutte le pretese e gli errori della mappa. Appare palese come il mappaggio della terra effettuato da Google, pur nelle migliori intenzioni, è un falso assoluto. Infatti la scelta descrittiva di Google Maps è basata su una variante della proiezione di Mercatore. Sarebbe esatta se la Terra fosse perfettamente sferica, ma così non è. Inoltre Google Maps usa le formule della proiezione sferica di Mercatore, ma le coordinate di Google Maps sono basate sui dati del sistema geodetico mondiale WGS84. La differenza tra una sfera e l’ellissoide WGS84 è la causa di una proiezione non precisa, percepibile in modo particolare su rappresentazioni a grande scala. Pensiamo poi che in Street View le persone sono cancellate da un algoritmo, le targhe delle auto offuscate, le stagioni bloccate ad un tempo ed un’ora ben precise, eppure riteniamo questo strumento rivelatore di verità assoluta. La fotografia, anche la più tecnicamente imparziale, è dunque un falso. Ma la fotografia, anzi il fotografo, sono dei bugiardi onesti. Chiunque non sia ingenuo, può comprendere la manipolazione della realtà compiuta dalla tecnica. Sia in buona che in cattiva fede.
Non è quindi la fotografia che attiene al reale, ma il fotografo che si relaziona con il contingente. Il reale che allora ne emerge non è quello del materico riprodotto, ma la conoscenza dell’autore. Come fotografi non possiamo che fotografare sempre e solamente noi stessi, o meglio quello spazio immaginario di rappresentazione del mondo che abbiamo in noi. Il falso che riproduciamo per lucro o per passione non è altro che il vero che ci attraversa, o che pensiamo attraversi l’altro in un infinito rimando di specchi. Tuttavia, se gli artifici della fotografia sono in fondo bonari, come i trucchi di un prestigiatore che diverte ingannandoci e che può imbrogliare solo bimbi e sprovveduti, assai più gravi sono i trucchi dei nostri sensi. Il nostro occhio è soggetto alle medesime aberrazioni di un obiettivo e spesso esse sono molto più serie. Ciò che vediamo è poi mediato dalla nostra mente. Predisposizioni innate, sviluppo cerebrale acquisito, (si pensi alle capacità visive dei nativi informatici), propensioni culturali modificano la nostra vista. Ad esempio, gli antropologi Berlin e Kay hanno dimostrato che in diverse culture esistono da un minimo di 2 a un massimo di 11 nomi utilizzati per identificare i colori. La cosa sorprendente è che tra questi nomi esiste una gerarchia ben definita: prima vengono il bianco e nero, segue il rosso poi il verde, il giallo, il blu, il marrone, l’arancio, il viola, il rosa e il grigio. In altre parole, se una popolazione possiede un nome per il colore rosso lo avrà sicuramente anche per il bianco e nero, ma non viceversa. Ma se non posseggo il nome di una cosa o colore difficilmente potrò vederla e riconoscerla. La vista è differente nel tempo, nello spazio, nella cultura, nei sessi, nei ceti sociali e nell’età del uomo. Purtroppo non possediamo un controllore interno e nessuno ci è uguale e questo ci condanna alla totale incertezza circa la realtà. Fotografando un medesimo soggetto nel medesimo istante, con la stessa inquadratura, con un obiettivo e corpo macchina uniformi ed una elaborazione identica potremmo ottenere due fotografie uguali. Due soggetti invece che fissano insieme un oggetto non potranno mai sapere se vedono la medesima cosa e se ricevono una percezione identica. La verità è che la finzione fotografica è molto più realistica della realtà che speriamo di condividere.