LE INTERVISTE

MARIO PANNUNZIO

INTELLETTUALE NON REPLICABILE

Mara Antonaccio

Il senso del futuro appartiene ai profeti, non appartiene agli storici, che debbono limitarsi al passato. 

Professor Quaglieni, è da poco in libreria il suo ultimo lavoro: Mario Pannunzio – La civiltà liberale, edito da Golem, che porta avanti una collana ideale di libri che narrano figure eminenti dell’Italia culturale e politica degli ultimi due secoli.

Che cosa l’ha spinta a fare una monografia su Mario Pannunzio, solo l’eredità culturale che giustamente lei può rivendicare, come Direttore del Centro Pannunzio, o la modernità della figura dell’intellettuale?

“Mi ha spinto l’idea di offrire al lettore una panoramica storica su Mario Pannunzio, riprendendo i giudizi su di lui scritti nel corso di circa cinquant’anni, da quando morì nel 1968 ad oggi. Molti si sono misurati con il fondatore del Mondo, ma non tutti lo hanno fatto in modo equilibrato. Parecchi lo hanno elogiato acriticamente, facendone un’icona laica, un vero e proprio ossimoro, altri  lo hanno criticato con asprezza. Pochi hanno saputo approcciarsi a lui con senso storico. Il mio tentativo è in questa direzione.  E alla fine prevale, secondo me, il grande giornalista sul politico acuto e intelligente, prevale soprattutto il grande organizzatore di cultura che fece del Mondo una straordinaria fucina intellettuale, aperta anche ai giovani, non solo alle grandi firme. Un giornalismo ineguagliabile, legato però inesorabilmente a quei tempi. Certo mi ha spinto anche il fatto di ricordarne la figura intellettuale, sulla quale ho scritto incessantemente dal 1971 in poi. Non parlerei di modernità della figura di Pannunzio, di cui oggi evidenzierei la classicità rispetto ad un giornalismo odierno, molto lontano da lui e dal suo stile. Se pensiamo che adesso viene celebrato il centenario della nascita di Enzo Biagi, grande maestro di giornalismo, abbiamo chiara l’antitesi rispetto a  quello di Pannunzio, di un giornalismo prepopulista, in cui il moralismo e il buonismo all’emiliana prevalgono sulla riflessione rigorosa sui fatti. L’unico vero continuatore di Pannunzio sono stati Alberto Ronchey e in parte Maurizio Molinari. Pannunzio guardava alto, alla grande lezione di Tocqueville e di Benedetto Croce. Si potrebbe dire proprio un altro mondo”.

Nella scena culturale italiana c’è ancora posto per figure come quella di Mario Pannunzio?

“Non so se ci sia ancora posto sulla scena culturale per figure come quella di Pannunzio. Oggi la cultura italiana sta vivendo una crisi profonda di identità, parlerei di eclissi della cultura. I maitre à penser alla Pannunzio non ci sono più. Siamo nel buio di una foresta rimasta senza luci. E consideriamo come  uomini e donne di cultura delle piccole persone che si agitano in televisione parlandoci di Covid 19. Il tono del confronto politico è molto basso, il ruolo di protagonista è riservato a comici in disuso, ragazzetti chiaramente inadeguati, avvocati di provincia, ex funzionari della F.G.C.I. All’orizzonte non ci sono uomini di pensiero e di azione. L’Italia civile in cui credeva Pannunzio e che ha contribuito a costruire dopo la II Guerra Mondiale, è stata dilapidata. Pannunzio resta attuale se volessimo risorgere, riscoprendo i grandi valori della cultura liberal-democratica, che insieme a quella socialdemocratica e a quella cattolica, ci avvicina all’Europa dei grandi. Quindi ci sarebbe posto per Pannunzio, se volessimo risorgere dalla tabula rasa di valori liberali in cui siamo finiti”.

I giovani di oggi cosa possono trovare di affascinante e moderno nel direttore del ‘Mondo’?

“Nella lezione di Pannunzio  i giovani d’oggi possono trovare i valori di altri tempi, quelli futuri, come disse Marco Pannella. Nell’era del nihilismo e del relativismo è difficile essere attuali, se si pratica la scomodità della dissidenza di una vita intera come ha saputo fare Pannunzio, un liberale duro e puro che non amava le mezze verità e i compromessi, pur essendo aperto alla tolleranza. Direi che anche il metodo della tolleranza sia un altro insegnamento che deriva da Pannunzio, che significa il rispetto verso tutte le idee”.

Trova la situazione sociale e culturale di oggi così malata da non avere futuro, o pensa che ci sia la soluzione all’imbarbarimento intellettuale?

“Temo che stiamo vivendo il punto più basso di una democrazia malata che ha perso il senso della sua storia. Più che di imbarbarimento intellettuale parlerei di vuoto di idee ed anche di confusione di piccole idee dal fiato corto. E’ il risultato ultimo di una crisi iniziata nel lontano 1968, quando noi giovani del Centro Pannunzio cominciammo  la nostra battaglia contro il facilismo e il permissivismo, in difesa della cultura e dell’Università, del merito contro l’egualitarismo. Quella crisi non è ancora finita. Le scorie sono evidenti anche oggi. Uno uguale uno è un modo per manifestarlo  e praticarlo. Almeno i giovani contestatori alla Capanna avevano un po’ di cultura. I  rimedi non sono facili da trovare, perché la crisi è profonda e non ci sono i maestri. La barca è finita sugli scogli e nessuno ha saputo indicare la rotta. Occorre un forte ripensamento individuale e collettivo, una cosa molto difficile da realizzare. Ma credo sia possibile farcela, andando oltre i cattivi maestri e soprattutto i maestrini che hanno la cattedra, ma non hanno l’autorevolezza di essere maestri”.

Ci tracci i tratti dell’intellettuale del terzo millennio

“E’ impossibile tracciare i tratti dell’intellettuale del terzo millennio, anche perché è impossibile storicamente trarre un bilancio sereno sul primo ventennio del nuovo secolo, figurarsi sul Millennio appena all’inizio. La rapidità dei mutamenti temporali portano a vedere con prudenza i cambiamenti che sono repentini e spesso contraddittori. Il senso della storia appartiene ai profeti, non agli storici che debbono limitarsi al passato. Io non ambisco a riflettere sul futuro, ma mi limito a studiare il passato. C’è chi ritiene questa posizione una visione arretrata del tempo, come la si guardasse dallo specchietto retrovisore di un’auto. Ma lo storico non può trasformarsi in filosofo, non deve farlo, pena tradire la sua funzione, che è quella di studiare il passato, prima di giudicarlo, come ci insegnava Bloch. Quindi tento una risposta sull’intellettuale non del passato millennio, che sarebbe un discorso troppo lungo, ma del secolo scorso. Il suo limite è stato quello di aderire alle ideologie che hanno squassato il Novecento, portando con sé rivoluzioni, dittature, guerre mondiali. Solo pochi intellettuali nel secolo scorso hanno saputo reagire andando controcorrente. Sono stati pochi e li cito in ordine sparso: Aron, De Madariaga, Popper, Berlin, Russell, Sartre, Croce, Gentile e pochi altri. Gli ultimi in Italia sono stati  Bobbio e Del Noce. La nostra generazione ha fallito, ha preferito la cattedra rispetto ad un lavoro che richiedeva la genialità che non avevamo. Non abbiamo saputo denunciare con fermezza la tempesta che stava arrivando, in parte non siamo stati ascoltati, ma soprattutto siamo stati inadeguati ai tempi di fuoco che abbiamo vissuto”.

Pannunzio fu definito “grande organizzatore di cultura”, capace di mettere d’accordo personalità diverse e ingombranti, chi pensa possa ricoprire oggi questo ruolo tra gli intellettuali italiani?

“L’occasione storica di Pannunzio è stata quella di far scrivere insieme sullo stesso giornale personalità diverse, che in precedenza erano state in  polemica una con l’altra. Croce, Einaudi, Salvemini, Ernesto Rossi. Oggi c’è poco da mettere d’accordo perché, come ho detto, mancano quasi totalmente  gli intellettuali e mancano le idee. Io mi accontenterei anche di idee sparse e di idee in contrasto. Chissà che, come diceva Gobetti, dallo scontro delle vecchie,  non nascano anche nuove idee. La storia non si ripete mai”.