POLITICA

Liberalismo e progresso

Tito Giraudo

Il Dopoguerra, con il contrasto clericali-comunisti, mise politicamente ai margini non solo le forze liberali, quanto soprattutto il socialismo riformista.

Se oggi chiediamo al migliaio di parlamentai italiani se sono liberali oppure progressisti, l’80% si dichiarerà liberale e il 100% progressista, anche coloro che da anni predicano la decrescita felice e denunciano i complotti scientifici. Qualche cosa quindi non torna se ci fermiamo sui termini, ma, se andiamo alla sostanza, ci accorgiamo che il liberalismo progressista ha ben operato nel nostro Paese fin dall’Unificazione dell‘Italia. Chi scrive, apprese con piacere la fine delle ideologie otto-novecentesche, non perché di per sé quelle ideologie non avessero valore (il Socialismo è stato determinante nell’emancipazione dei popoli), quanto perché non rappresentavano più il contesto sociale ed economico del tempo, principalmente avevano esaurito la loro carica vitale. Prendiamo il liberalismo, naturalmente mi riferisco all’Italia: nato come espressione della borghesia colta e produttiva, tra un compromesso e l’altro con la monarchia, si trasformò in conservatorismo, non sapendo cogliere le novità della rivoluzione industriale e la nascita del movimento operaio organizzato. Naturalmente ci furono grandi eccezioni, due fra tutte: Cavour e Giolitti Camillo Benso conte di Cavour fu l’esempio lampante di come si possa coniugare il progressismo con il contesto del tempo. Il giovane Cavour, grazie alle fortune del padre che non ebbe certo lombi nobiliari, essendo solo un oculato amministratore terriero, sfruttò l’ingente patrimonio ereditato. Dopo un breve periodo di vita militare, viaggiò verso la Francia ma soprattutto in Inghilterra. Insomma, se i rampolli inglesi facevano il ‘gran tour’ in Italia, Camillo fece il percorso inverso soggiornando nel Regno Unito in piena rivoluzione industriale, dove apprese nuove tecniche in agricoltura, che applicò nei suoi poderi diventando ancora più ricco, soprattutto respirò quel progressismo britannico in cui parlamento e monarchia coesistevano senza troppe scosse. Vittorio Emanuele II, senza quel suo Primo Ministro, difficilmente sarebbe diventato Re d’Italia, ne avrebbe potuto concepire quelle infrastrutture, canali e ferrovie, che avvicinarono il Piemonte all’Europa, favorendo quella che in seguito diventerà la rivoluzione industriale italiana. Solo la morte prematura dello statista consentirà al sovrano di riprendere nelle sue mani la politica, scegliendo personalmente capi di governo più malleabili, con risultati che saranno palesi. Quello che Cavour avrebbe potuto dare a questo Paese è facilmente immaginabile, contrapposto a quanto diedero altri cosiddetti liberali, i quali fecero concludere il XIX secolo con le cannonate di Bava Beccaris. Giovanni Giolitti, detto ‘l’uomo di Dronero’ (suo paese natale alle porte della Val Maira), fu il politico liberale storicamente più importante del ‘900, come Cavour lo fu per l’800. Partito male nel suo primo governo, che durò poco più di un anno lasciandogli solo la nomea di ‘Ministro della malavita’, si riprese e per oltre un ventennio sarebbe stato protagonista assoluto della politica italiana. Non sono molti anni che la sua figura è stata rivalutata, poiché la Storia (quella con la S maiuscola) prima o poi fa giustizia sulla propaganda politica. Quel ventennio fu sicuramente riformista, accompagnando con piglio progressista, sia pur con moderazione, la modesta e ritardataria rivoluzione industriale del nostro Paese. Con Giolitti cambiò radicalmente il rapporto con le sinistre ma, soprattutto, con il movimento operaio organizzato, che stemperò la violenta contrapposizione ottocentesca, culminata con il regicidio umbertino. La corona passò a Vittorio Emanuele III il quale (checché se ne dica), fece da utile sponda allo statista piemontese. Se gli storici hanno rivisto la figura di Giolitti, credo si debba riconsiderare la grande occasione persa dal socialismo, che non seppe cogliere le novità di quei governi. E’ pur vero che ci fu un tentativo di collaborazione con i socialisti riformisti, che però diede pochi frutti, un po’ per le incertezze del loro leader, ma soprattutto per la radicalizzazione delle posizioni della maggioranza socialista, sempre più sterilmente massimalista.

Resto convinto che la fine della democrazia liberale avrà pure tanti padri ma la madre fu la sinistra, sempre in ritardo nel cogliere i cambiamenti della società e sempre pronta ad ascoltare il canto delle sirene demagogiche, velleitarie e fondamentalmente astratte. Questa esposizione storica introduce il tema del “liberalismo progressista”, inesistente fino ad ora sul piano della politica italiana, ma presente in alcune grandi personalità, appunto come Cavour e Giolitti. Il Dopoguerra, con la contrapposizione clericali-comunisti, mise politicamente ai margini non solo le forze liberali, quanto soprattutto il socialismo riformista. Eppure ci furono delle eccezioni, una di queste fu il settimanale ‘Il Mondo’ diretto da Mario Pannunzio, coadiuvato dagli ‘Amici del Mondo’, che furono in qualche modo un suo braccio politico. Ne parlo per sottolineare le difficoltà di questo Paese nel far vivere una forza politica liberale e progressista, due parole che non vogliono essere i soliti slogan vuoti, ma un auspicio realistico e concreto. Certo, nell’immediato Dopoguerra esistevano politici capaci, e il fatto che non si sia riusciti a superare i vecchi schieramenti, occorre riconoscerlo, fu provocato dalla guerra fredda. Solo con il primo Centro-Sinistra, si tentò di rimescolare le carte. La conversione di Nenni consentì finalmente una politica di riforme che tuttavia ebbe due grandi limiti: il primo che gran parte di esse furono ancora di stampo socialista, anzi direi azionista, perché il maggior teorico fu appunto l’ex Riccardo Lombardi, che con le sue nazionalizzazioni, se placò l’ormai esigua base socialista che aveva subito la scissione dei Carristi, convertì gran parte degli alleati Democristiani a quello statalismo che ancora ci affligge. Il mondo liberal era uscito elettoralmente marginale, in quanto la DC seppe occupare un vasto schieramento ideologico che andava dai vecchi popolari fino ai monarchici. Ad aggravare la situazione liberale furono proprio le divisioni e le scissioni che colpirono anche gli amici del Mondo, costringendo in qualche modo anche Pannunzio a schierarsi. Insomma, il mondo liberale italiano divenne marginale e marginalizzato. Lo stesso Malagodi che dirigeva il Partito, pur dicendo cose sagge rispetto alla demagogia delle riforme socialiste, non colse che molte istanze di quel Partito erano anche moderno riformismo, come dimostreranno in seguito le leggi sui diritti civili, l’urbanistica e la riforma sanitaria. Sta di fatto che, quando nel 66 il Mondo cessò le pubblicazioni, nel Paese andò sempre più consolidandosi la diarchia DC-PC, fino alla quasi alleanza, che culminerà nella santificazione del Compromesso Storico di berlingueriana memoria. In campo liberale, al Partito ufficiale si contrapporranno i radicali. Quei radicali che per alcuni di noi, transfughi socialisti, rappresenteranno un’ancora destinata però, se non alla marginalizzazione politica, a quella elettorale. Quando con ‘mani pulite’ si fece piazza pulita (appunto) di tutti i Partiti – anche i Liberali, che con i Repubblicani non furono certo tra i maggiori spartitori tangentizi, ne fecero le spese – defunsero due forze politiche che avrebbero potuto dare una risposta di tipo liberal progressista. Per concludere: cosa intendo veramente per Liberalismo progressista? Anche se alcuni mostrano di non aver compreso, il crollo del socialismo reale, non solo in URSS ma in tutti i Paesi dove è stato applicato, costrinse, prime fra tutte le sinistre, a definire le diverse posizioni. Tra le tante stupidaggini predicate dai Grillini, una ha un qualche fondamento: destra e sinistra non esistono più, lasciando spazio però ad ancora più vecchie ideologie, come il sovranismo e addirittura il Governo delle plebi, teorie che non sono ne di destra ne di sinistra, ma, aimè, sempre presenti nella storia politica di questi schieramenti. Ridefinire il concetto di destra-sinistra appare molto arduo di questi tempi. Meditare sul Liberalismo progressista quale possibile alternativa, secondo me è necessario.