POLITICA

LIBERALI NEL FUTURO E SENZA PADRI

Guido Barosio

I polverosi padri del liberalismo dignitoso e integerrimo ci hanno purtroppo offerto un destino minoritario.

Nella tragedia di Sofocle Edipo uccide il padre e sposa la madre: prima del capolavoro, il mito, più tardi, molto più tardi, Sigmund Freud. Difficile trovare nella cultura occidentale qualcosa di più persistente. Proviamo a metterla in politica. Sovente i padri annichiliscono, mettono in scena confronti imbarazzanti e insostenibili, così – se metaforicamente non li uccidiamo – qualsiasi progresso ci appare sogno irraggiungibile nel mare in tempesta. Se oggi pronunciamo la parola ‘liberale’, ci definiamo ‘liberali’, auspichiamo una società ‘liberale’, ci troviamo da un lato protesi verso un futuro utopistico – ma indefinito – e dall’altro tirati per la giacca da signori granitici e autorevoli, integerrimi e giudicanti, qualche volta noiosi, inevitabilmente inadeguati a quella giungla contemporanea nella quale siamo stati chiamati a vivere. Lo stallo di questa posizione è drammaticamente frustrante mentre – delusi e infiacchiti dal presente – vorremmo afferrare l’utopia che può diventare sfida, l’unica alternativa a quei tanti qualcosa che dalla politica ci allontanano perché indigeribili e indigesti, fastidiosi e sicuramente inaccettabili. E allora ‘uccidiamo’ questi padri nobili, guardiamoli ancora una volta con rispetto e poi consegniamoli alle austere biblioteche, perché possano dormire il sonno dei giusti. A noi toccano altre navi, altre vele e altri mari da affrontare. Lasciamo agli storici Croce, Einaudi, La Malfa, Matteucci, Sartori, Malagodi, Zanone e tanti ancora che non ricordo, ma teniamoci ben stretto Pannunzio, perché uomini come lui – giornalista dalla schiena diritta, interprete ineguagliabile dei tempi che seppe vivere da mentore – sono nati per essere contemporanei sempre. Bene, celebrato il funerale e chiusa la cripta, facciamo come Edipo e sposiamo nostra madre: l’Italia, la Patria (che bella parola), la Nazione, la Bandiera (che bella bandiera). Agli inizi della storia ‘liberale’ voleva dire semplicemente ‘generoso e nobile d’animo’ (come ci ricorda la Treccani) e fu già un buon inizio; con John Locke, nel XVII secolo, che scoprì il proprio DNA, ma fu solo nel 1812 in Spagna, che la parola ‘liberale’ incontrò la politica. Per il pensatore e rivoluzionario inglese erano essenziali – come legge naturale – il diritti alla vita, alla libertà e alla proprietà. Com’era inalienabile il diritto di resistenza per ottenerli e difenderli. Ecco, sbarazziamoci dei padri, ma adottiamo almeno un nonno che aveva già capito tutto. I polverosi padri del liberalismo dignitoso e integerrimo, che abbiamo felicemente soppresso, ci hanno purtroppo offerto un destino minoritario: assai ben considerate briciole di nulla, autorevoli locuzioni per  un partito piccolo piccolo, che ad un certo punto si è dissolto senza che nessuno se ne accorgesse.

 Quelli della mia generazione si ricordano l’icona con la bandierina tricolore del PLI, che, quando andava bene, raggiungeva il 3%. Poco più di una spezia a decorare la balena bianca del centrosinistra. Così, inevitabilmente, con quell’estinzione sembra essere morta anche l’idea, che invece è bellissima, perché strettamente legata all’anima dell’uomo e alle sue più intime esigenze. Libertà, libertà dallo stato invadente e usurpatore dei diritti, libertà dalla burocrazia, libertà dall’invadenza della finanza, libertà dagli inutili e dai corrotti, libertà dall’ignoranza. E ancora sacralità della proprietà, dei propri guadagni, dei propri interessi, della propria capacità di espressione, della propria cultura. Ma siamo poi così sicuri di voler continuare a cedere una parte di noi stessi, magari la più preziosa, a chi vuole imporre regole e regolamenti politici, legislativi, economici ed ora anche sanitari? Noi siamo arretrati, ci siamo nascosti in soffitta, ma loro sono arrivati e campeggiano nel nostro giardino presumendo di volerci governare. Il liberalismo.zero (o punto.quattro, perché oggi si corre) deve scendere in campo riportando i migliori a scegliere e decidere, con regole del gioco chiare ed efficaci, dove l’ultima regola sia quella di non scriverne altre, possibilmente. Ma il nuovo liberalismo se nasce – e può nascere – non deve essere uno scricciolo del 2%, deve candidarsi a governare, raccontarsi e convincere. Capire che siamo nell’età della comunicazione e oggi, senza la rete ed i suoi strumenti, non si governa. Il liberalismo di oggi e di domani deve essere giovane, coraggioso, transnazionale, deve saper parlare all’anima dell’uomo che non può non definirsi liberale. E la prima battaglia deve essere la selezione delle élite, il coinvolgimento dei migliori, l’allontanamento dal panorama nazionale dei populisti, dei negazionisti, degli incapaci, degli invasori fiscali e dei banali improvvisatori alla guida della cultura e dell’istruzione. Il destino minoritario lasciamolo agli altri. Nel 2004 Antonio Martino scriveva: “Essere liberale oggi significa saper essere conservatore, quando si tratta di difendere libertà già acquisite, e radicale, quando si tratta di conquistare spazi di libertà ancora negati. Reazionario per recuperare libertà che sono andate smarrite, rivoluzionario quando la conquista della libertà non lascia spazio ad altrettante alternative. E’ progressista perché senza libertà non c’è progresso”. Poche righe e un manifesto. Quando si è convinti della propria ragione la sintesi diventa essenza. Altro non ci serve.