POLITICA
IL GOVERNO DRAGHI E IL TRASFORMISMO
Giuseppe Mazzei
Nel caso del Governo Draghi potremmo parlare di “trasformismo di necessità”.
Il Governo Draghi mettendo insieme forze politiche avversarie segnerà il trionfo del trasformismo? “Trasformista” è un termine usato in senso spregiativo per qualificare negativamente chi cambia facilmente opinione e, in politica, chi lo fa con spregiudicatezza, cinismo e mero calcolo opportunistico. In realtà la pratica del trasformismo politico italiano ha una storia un po’ più complessa e forse nobile. A partire dal 1882, questo termine fu usato per indicare la convergenza tra Destra e Sinistra in maggioranze parlamentari costruite-come dice il dizionario Treccani- non sulla base di stabili e generali programmi, ma intorno a problemi contingenti e, soprattutto intorno a personalità singole di grande prestigio come Agostino Depretis e Giovanni Giolitti, “ le quali attuando di volta in volta combinazioni tra i vari gruppi, finivano per essere il solo elemento stabile della politica”. A Stradella, l’8 ottobre del 1882, il leader della Sinistra Storica Depretis così rispondeva a coloro che lo accusavano di aver stipulato un accordo con la Destra moderata di Marco Minghetti: ”Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?” Gli storici discutono se poi sia stata la Destra ad andare sulle posizioni della Sinistra o viceversa. Fatto sta -come affermò Rosario Romeo- che il trasformismo segnò la nascita di una classe dirigente centrista in un Paese, come l’Italia postunitaria, in cui non esisteva la tradizione del bipolarismo anglosassone. Al di là del trasformismo di comodo, di chi cambia casacca per interessi di bottega, esistono varie forme di trasformismo, tra cui quello politico e quello programmatico
“Trasformismo politico” è quello di chi cambia alleato per poter attuare lo stesso programma; “trasformismo programmatico” è quello di chi cambia programma per poter mantenere il potere. Nel caso del Governo Draghi potremmo parlare di “trasformismo di necessità”: la politica non è riuscita ad esprimere una maggioranza e il Capo dello Stato, per non mandare alle urne un Paese in piena pandemia e crisi economica, ha chiesto a tutti di fare un passo di lato e lavorare insieme sotto la guida autorevole di un outsider dei partiti. Le forze politiche potevano accogliere l’appello di Mattarella con sobrietà senza dover fare capitomboli e piroette per giustificare la loro decisione. Invece abbiamo assistito ad uno spettacolo degno delle commedie di Aristofane, a continui cambiamenti di maschere e correzioni di rotta di 180° decisi in 24 ore. Così Salvini è diventato europeista, Grillo ha smesso di aver paura delle grandi banche, il Pd che aveva giurato di essere indisponibile a qualsiasi governo di unità nazionale ha smentito se stesso.
Berlusconi era l’unico che non aveva bisogno di dare spiegazioni, avendo candidato Draghi prima alla Banca d’Italia e poi alla Bce, ma anche lui ha dovuto mandare nell’oblio le innumerevoli dichiarazioni “mai con i 5 Stelle”. Renzi se l’è cavata con astuzia: si è intestato la titolarità dell’operazione Draghi trasformando un gesto tattico, la crisi aperta per mandare a casa Conte e spaccare Pd e 5 stelle, in una geniale operazione strategica. E vabbè. Ci sono due gravi anomalie nel comportamento dei partiti verso il governo Draghi. La prima. Per evitare di trovarsi nell’ imbarazzo di sedere insieme ad esponenti di forze avversarie avrebbero dovuto rinunciare a chiedere ministeri per politici e lasciare che Draghi scegliesse la sua squadra liberamente e senza destinare ai partiti due terzi dell’Esecutivo. La seconda anomalia è ancor più imbarazzante. Tutti i partiti, eccetto Fratelli d’Italia, si sono dilungati a raccontare quello che avevano detto a Draghi durante le consultazioni annunciando entusiasticamente che Draghi aveva accolto le loro proposte, senza conoscere il programma del Governo. Molto più coerente e serio sarebbe stato se tutti i partiti che sostengono Draghi avessero semplicemente detto: accogliamo l’invito di Mattarella, non chiediamo poltrone, ci fidiamo di Draghi al quale abbiamo dato dei suggerimenti, saremo leali verso il nuovo governo qualche che sia. Queste due anomalie non saranno indolori nel prosieguo delle attività del Governo e Draghi dovrà sfoderare tutta l’abilità e la determinazione di cui è capace per tenere a bada ministri politici e segretari di partito in crisi di astinenza da polemiche. Ogni partito cercherà di difendere i propri ministri e di attaccare quelli delle forze avversarie cercando di sgomitare e di seminare zizzania. Così il passo di lato chiesto da Mattarella si rivelerà una finzione e ognuno si sentirà libero di avviare la campagna elettorale proprio mentre sostiene un governo di unità nazionale. Un’assurdità assoluta. Draghi che potrà far leva sul discredito generale che ha investito la classe politica nel suo complesso e rimettere tutti in riga. Ha cominciato bene raccomandando ai ministri di parlare delle cose realizzate e non di quelle da fare e di comunicare senza esagerare. Sulla politica generale del Governo nessun ministro è titolato, per legge, a parlare. Sulle politiche di propria competenza i ministri devono seguire comunque le indicazioni date dal Presidente del Consiglio. Quanto ai partiti non sarebbe male se per un po’ tacessero e si dedicassero a risistemare le cose in casa propria e a capire come fare meglio il proprio mestiere di strumento della partecipazione democratica e non di oligarchia autoreferenziale.