EDITORIALE
L’ESTATE DELLA MALAINFORMAZIONE
Guido Barosio
Tutti possono commentare tutto, tutti possono avere una opinione su tutto ed esternarla liberamente.
Tra qualche anno non ricorderemo l’estate 2021 solo per i suoi aspetti sanitari – legati alle vaccinazioni, alle varianti, alle riaperture sempre più tenaci – oppure politici: il ritorno al potere dei talebani, la fuga degli occidentali dall’Afghanistan. Ma quello che dovremo studiare con cura è l’evoluzione, se non piuttosto l’involuzione, della comunicazione nei suoi vari aspetti: interpersonale, mediatica e, in particolare legata ai social media. Quelli che non sono cambiati, almeno negli ultimi anni, sono gli strumenti. Ma tutto il sistema ha subito uno stress test legato alla pandemia che ha clamorosamente fallito la prova. Abbiamo detto, ed io ho più volte scritto, che stiamo vivendo l’era della comunicazione. Mai così tanti i mezzi, mai così a buon mercato, mai così veloci ed invasivi. Se la carta stampata tradizionale continua a patire una forte contrazione – quotidiani in discesa verticale, settimanali scomparsi – la televisione tiene lo scenario e si è rafforzata con le piattaforme web e satellitari. Ma dove la crescita si è rivelata esponenziale è nel nuovo far west dell’informazione, dove gli utenti dei social media hanno sempre la pistola carica e sparano prima di pensare, quando ancora sono in grado di pensare. I numeri sono da brividi: oltre il 60% degli italiani dispongono di uno smartphone e utilizzano quotidianamente un social media: Facebook e Instagram per lo più. Il cambiamento si è rivelato epocale non solo per il numero degli utenti, ma perché oggi l’informazione non è più un canale a senso unico, bensì uno strumento concepito per essere binario. Fino all’inizio degli anni Duemila il lettore, il telespettatore o l’utente di internet riceveva notizie, comprava i giornali, fruiva delle trasmissioni, ascoltava la radio per poi reagire, commentare, rilanciare a propria volta i contenuti. Ma dove? In famiglia, con gli amici, sul lavoro, al bar prendendo un caffè. Uscivano da questo stretto ambito relazionale i professionisti: giornalisti, docenti e insegnanti, stakeholder a vario titolo. Oggi (e ormai da qualche anno) quel bar ha allargato i propri confini, anzi quei confini li ha proprio cancellati. Un post su Facebook può essere invasivo, deleterio, offensivo, può raggiungere migliaia di sconosciuti, può creare opinione, può modificare la realtà e la verità rendendole confuse. Tutti possono commentare tutto, tutti possono avere una opinione su tutto ed esternarla liberamente. Nell’Italia degli Anni Ottanta/Noventa (quindi non troppo tempo fa) se volevi informarti su un tema tecnico o sanitario compravi un libro, lo leggevi, ti facevi una idea tua e poi entravi in azione, coi limiti che la tua notorietà ti permetteva. Oggi prima ti fai un’idea – spesso frutto del bombardamento mediatico che subisci – dopo vai sul web e sui social per cercare qualcuno che confermi la tua opinione, trovandolo senza troppa difficoltà. E il gioco è fatto, fortifichi le tue convinzioni, vai a comporre una squadra, ti schieri senza neanche ascoltare voci eventualmente più autorevoli, magari maggioritarie, che facilmente bollerai come ‘pensiero unico’ e dominante. Questo scenario non è nato col covid 19, c’era già prima ed i segnali premonitori non mancavano, ma la pandemia, come segnalavo in precedenza, si è rivelata uno stress test drammaticamente efficace, quanto inatteso. A distanza di cento anni dalla famigerata Spagnola l’umanità ha riscoperto una malattia globale, insidiosa, inafferrabile e ambigua: quanti sono (e saranno) i contagiati? Quante le vittime realmente attribuibili al virus? Quali sono (e saranno) le cure migliori? Quante (e quanto letali) le varianti? Quale sarà l’efficacia dei vaccini? Quali i problemi sanitari causati dai vaccini stessi? E, soprattutto, quando finirà questa maledizione? Tante domande per una sola risposta, al momento non lo sappiamo. Colpa della scienza ‘ufficiale’ attaccata dai negazionisti di ogni paese? Certo che no. Anzi, è sotto l’occhio di tutti lo sforzo eccezionale intrapreso da medici, virologi, case farmaceutiche e strutture sanitarie. Qualcuno ha remato conto? Sciocca follia il solo pensarci, per un elemento semplice quanto inconfutabile: a nessuno serve un mondo malato, perché un mondo malato non produce e non consuma, perché un mondo malato mette in crisi prima l’economia e poi la finanza. Piuttosto qualcuno può aver colto l’occasione per agire sul fronte della ‘manutenzione sociale’: qualche restrizione alle libertà personali di qua, qualche provvedimento fiscale e sociale di là. A ben guardare sono passaggi che abbiamo avuto modo di osservare (e subire) in particolare durante la prima fase, quella più dura e sorprendente, quella che in poche settimane ha modificato le nostre vite quotidiane. Ma collegare tutte le vicende con la logica del complotto, ma considerare i vaccini uno strumento di reclusione sanitaria, questo no, questo è frutto di puro negazionismo che mescola, senza scrupoli, i poteri occulti e più segreti al tentacolare dispiegarsi dell’esercito di Big Farma.
Ed eccoci di fronte all’irrazionale che si afferma, che dilata le sue schiere, che, in questa estate della mala informazione, diventa alternativa, perché lo stress test ha dato un risultato che rischia di cambiare le regole del gioco. Il primo rischio che non dobbiamo correre è quello della legittimazione di questa minoranza, solo perché prima la minoranza era del 5% e adesso, gradino dopo gradino, è salita al 20, e forse anche di più. Prima del covid i negazionisti esistevano già, anzi sono sempre esistiti. Erano quelli che ‘tanto io la so lunga e non mi fregano’, erano quelli che ‘vogliamo vedere cosa c’è dietro’, erano quelli che rifiutavano i vaccini, che vedevano complotti ovunque, in qualche caso pensavano che la Terra fosse piatta e che non fossimo mai andati sulla Luna. Poco più di una spezia in un una portata che prevedeva la loro presenza ma li teneva ai margini. Erano inoffensivi fino a quando la malasorte ha messo in campo la grande occasione per affermarsi, qualcosa di davvero grosso dietro il quale mettersi in marcia sventolando di fronte a tutti una bandiera seducente, perché alimentata dal vento della paura. Il set dei social media ha offerto il palcoscenico ideale, dove operare senza regole o quasi, in formidabile rapidità, dove stringere alleanze e lanciare proclami, dove diffondere fake news a volte efficaci come sentenze. La crescita esponenziale del movimento poggia sullo zoccolo duro di chi negazionista è sempre stato, ma trova terreno fertile nei confusi, negli ignoranti, nei mediocri alla ricerca di affermazione, nei semplicemente spaventati, i più facili a convincersi perché alla costante ricerca di nemici e soluzioni. La personalissima crociata dei mediocri è assolutamente trasversale, ma evidente nelle motivazioni: uomini di scienza finiti al margine (medici, virologi, ricercatori del perenne cercare senza nulla trovare), comunicatori e giornalisti espulsi dal sistema, falliti invidiosi del successo altrui. Per loro la ricerca di una verità alternativa e sensazionale offre una nuova insperata chance. Purtroppo a questo armata Brancaleone si affianca, ed è l’elemento forse più inquietante, la schiera di coloro che non ti aspetti: amici fino a qualche mese fa assolutamente razionali, professionisti che nulla avrebbero da guadagnare con certe teorie scombinate, giornalisti che, inseguendo la notizia, dilatano e diffondono le azioni di coloro che si oppongono al vaccino e al green pass. Sicuramente è giunto il momento di segnare il confine, di non concedere la ‘parità di opinione’ che vorrebbe il confronto tra due teorie parimenti degne, da un lato la scienza ufficiale, dall’altro le soluzioni alternative. Come si discutesse tra liberali e socialisti. No, non è così, e non solo perché i negazionisti equiparano l’uso del green pass alle leggi razziali, massima scemenza. Non è così perché la pandemia non è una zona franca, ma si affronta con gli strumenti sanitari adeguati, come le altre patologie. Chi è colpito da infarto, o anche da semplice bronchite, si rivolge al medico, accetta le sue prescrizioni e si cura. Non esiste che un malato di tumore esordisca dicendo ‘caro dottore lei ha la sua idea e io la mia, sono contrario a Big Farma e adesso mi curo come voglio’. Quindi non sono in campo due scelte di vita, due filosofie politiche. Accettarlo è un errore di comunicazione che ci porta alla stasi e alla regressione ideologica. La linea del fronte deve essere tenuta alta, confutando con pazienza, la nutrita serie di bufale riguardanti il vaccino: non si sa che cosa c’è dentro, non è stato abbastanza sperimentato, il vaccino può modificare il DNA… Con una rapida ricerca ogni dubbio può essere affrontato e ogni risultato messo in evidenza. Ma facciamolo! Perché altrimenti rischiamo di doverci opporre a sciocchezze sempre più grandi, a semplificazioni (fasulle!) che diventano verità scientifiche. Noi ragazzi degli Anni Sessanta e Settanta siamo cresciuto con il mito della scienza, si volava nello spazio e Barnard faceva i primi trapianti. La scienza ha cambiato la nostra vita, ha migliorato la nostra salute, ci fa vivere più a lungo e meglio. Dobbiamo tenerci stretto questo patrimonio, ma, oggi, non possiamo più far finta di niente. Oggi la salute va difesa non solo nei laboratori ma sui media e sui social. I vaccini sono il frutto di uno sforzo colossale e non possiamo permetterci che vengono attaccati con l’ignoranza cialtronesca che questa estate abbiamo visto conquistarsi spazi insperati oltre che immeritati. Ma in uno scenario dove il tone of voice si è pericolosamente alzato occorre rispondere senza concessioni: lucidi, competenti e determinati. Tutti. Non pensiamo che la comunicazione sia un lavoro per i soli comunicatori: lo stress test ha rivelato che il sistema è fragile, consegnandolo agli ignoranti e ai violenti, che hanno fatto proseliti, anche inattesi. La partita è lunga, la scienza – pur ampiamente maggioritaria nei consensi – ha fallito l’impatto con comunicazione. Ma quando hai le carte vincenti, se fai le scelte giuste, se spieghi e ti spieghi, l’armata Brancaleone ripiega disordinatamente. Per spazzare via la nebbia basta un solo soffio di vento, ma che sia ben forte.