EDITORIALE
IL FANTASMA DELLA LIBERTA’
Guido Barosio
Contro non abbiamo solo il virus, ma la peggiore classe politica italiana (nazionale e locale, governo e opposizione) dall’Unità d’Italia ad oggi.
Una mia amica, giovane imprenditrice, Alessandra di Pasquale, ieri ha scritto su Facebook: “Ma quale dei condottieri nella storia dei secoli dell’umanità, che guidava centinaia di migliaia di soldati alla vittoria o alla morte, marciando con miseri sandali di cuoio, attraverso montagne, foreste, deserti sconosciuti, usando mappe disegnate a mano e il sole e le stelle come unico riferimento, cambiava strategia ogni tre giorni? E fatemi capire. Abbiamo tecnologie che possono inviar persone su altri pianeti, localizzare un ananas sul tavolo di un rifugio sotterraneo blindato nel deserto iracheno e non si riescono ad avere soluzioni strategiche sensate, se non quella di – chiudiamo tutti in casa?”. Sono parole che illuminano con luce ironica una pagina di storia nazionale impossibile ad accettarsi. A meno che non si sia già ‘bolliti’ come le rane di Chomsky. Passivamente pronti a farsi sottrarre, pezzetto dopo pezzetto, quella libertà che la nostra Costituzione ostenta con parole esemplari. Zygmunt Bauman, profeta della ‘società liquida’, ci anticipò che – tramontate le narrazioni del 900 – l’uomo avrebbe affrontato: la crisi dello stato (ideologie e partiti), la comunità vissuta come estetica del consumo, l’indignazione ma senza progetti, il prevalere delle identità digitali sulle persone, la cultura della sorveglianza, lo smantellamento delle sicurezze e della certezza del diritto. Risultato del combinato composto: la perdita della libertà di azione di scelta. E oggi ci siamo, mentre raffiche di DPCM stringono il nodo scorsoio, le norme restrittive oscurano la cultura, l’intrattenimento, la ristorazione e gli spazi destinati al benessere e allo svago, persino le piscine, più asettiche di una navicella per Marte. Il coprifuoco sembra uno scherzo maligno: passi per il fine settimana nelle grandi aree urbane, ma chi volete che passeggi, brindando, per le vie di Alessandria nottetempo? Ristoranti e teatri si erano sottoposti con millimetrica precisione a norme durissime. Non basta, zac, chiuso tutto. La regola dei ristoranti chiusi dalle 18 fa più incazzare che sorridere. Innanzitutto perché alle 18 e non alle 16? Me li vedo i clienti cenare (cenare?) nel pieno del pomeriggio, per poi accucciarsi soddisfatti a casina. I numeri dei frequentatori serali – disposti in piena sicurezza – quale contagio avrebbero mai causato? L’alcool e il cibo notturno (ma solo consumati fuori dalle mura domestiche) sono il veicolo prioritario degli untori? Oggi ho ascoltato con irritazione quasi epidermica un Giuseppe Conte mascherato (provvedimento essenziale, visto che le telecamere stavano ad almeno 5 metri…) che disquisiva con eloquio sereno, privo di pudore ammoniva offrendo anche qualche contentino (se siete bravi passerete un buon Natale…) e non si è sognato, neanche un momento, di fare autocritica sul troppo poco fatto da maggio fino ad ora. Poi ho anche pensato che quella parlata soave era indotta da un senso di serena impunità, dalla certezza che nessuno avrebbe alzato la voce più di tanto. Così si è anche permesso di varare il concetto di ‘raccomandazione’: vi raccomandiamo di non uscire senza ragioni essenziali, di evitare gli spostamenti, in sostanza vi raccomandiamo di starvene a casa, ma senza ricevere ospiti. E se io la raccomandazione (che fa rima con intimidazione) non l’ascolto? Che cosa mi capita? Parte la delazione? Mi accade qualcosa di brutto come nelle lande dove i ‘consigli’ li esterna un mammasantissima? Avvocato ineffabile o Johnny Stecchino? Non ho trovato consolazione neppure (ma forse era prevedibile) nei media mainstream. Poco prima di Conte da Milano ha parlato la giornalista Gaia Mombelli per Sky Tg24. Osservando i milanesi a passeggio in piazza Duomo (tutti regolarmente mascherati) li ha duramente becchettati per il loro comportamento poco consono: ma cosa ci facevano lì? Ma non si rendevano conto della ‘situazione critica’? Ecco, il paese di coloro che vivono del proprio lavoro (e che se non escono semplicemente non vivono), delle partite IVA, dei piccoli e grandi imprenditori, dei professionisti, dei ristoratori, dei negozianti, degli operatori dello spettacolo è di nuovo chiuso in un angolo. Ma adesso è peggio di prima, perché è la seconda volta, perché non sappiamo quando finirà, perché contro non abbiamo solo il virus, ma la peggiore classe politica italiana (nazionale e locale, governo e opposizione) dall’Unità d’Italia ad oggi, perché contro questa Italia in sofferenza – accusandoli di proverbiali evasioni fiscali o di semplice irresponsabilità – si è compattato il mondo dei garantiti, dei dipendenti a reddito fisso, dei redditi di cittadinanza, dei poltroni del lavoro a distanza ad ogni costo. Chi rischia poco o nulla contro chi per la seconda volta rischia tutto. E, badate, non sono e non sarò mai un negazionista: la pandemia esiste, morde tutti, morde ovunque, morde anche nei paesi che non hanno un governo circense. Ma fatemi dire ancora una volta che i ‘positivi’ non sono malati, e probabilmente non lo saranno mai; che su 100 contagiati i pazienti ‘severi’ sono il 5%; che l’82% (a marzo era l’80%) dei deceduti ha più di 80 anni e che il 67% di loro ha altre patologie gravissime. Se l’economia (e la psiche) degli italiani salta, salta anche il nostro sistema sanitario (che in 5 mesi andava potenziato, già…), se l’esasperazione cresce non sarà certo questo governo, frutto di alchimie e trasformismi, a controllarla. La risposta può essere la piazza? Forse, anche se la piazza fa paura a tutti, e la storia recente insegna. Ricordiamoci che il mondo immediatamente pre- Covid ha visto rivolte in Francia, a Hong Kong, in Cile, a Beirut…dove non ci sono risposte la gente si prende le strade. Ma, amici benpensanti, rane bollite di Chomsky, rammentatevi che non c’è piazza giusta o sbagliata. Troppo facile applaudire gli eroi di Hong Kong e del Cairo per poi indignarsi quando sono gli italiani a dire che ‘non ci stanno’. La storia è come l’agricoltura: assicura sempre il raccolto che il contadino, o il governante, ha saputo meritarsi.