ATTUALITA’

I REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA

Salvatore Vullo

La giusta autonomia e indipendenza della magistratura è diventata totale irresponsabilità …

In questi ultimi tempi, torna prepotentemente alla ribalta il tema della “Giustizia” e della sua riforma. Il nuovo governo Draghi lo ha posto tra i suoi obiettivi prioritari, anche perché ce lo impone la Commissione Europea se vogliamo l’approvazione, e i fondi, del Recovery Plan. Nel contempo era stata lanciata la campagna referendaria sui temi della giustizia, promossa dal Partito Radicale e sostenuto dalla Lega. Come abbiamo visto, si tratta di 6 referendum che riguardano:

1)    La Responsabilità civile dei magistrati. 2)     La separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici.  3)   Limitazioni sulla custodia cautelare. 4)    Abolizione di alcune norme della legge “Severino”. 5) Requisiti per la candidatura dei magistrati al CSM. 6) Modifiche ai “consigli giudiziari”, organi che hanno il compito di valutare l’operato dei magistrati.

I referendum sulla giustizia (se n’è parlato, il 5 luglio scorso, in un incontro on line promosso dal Centro Pannunzio, con la partecipazione di Anna Chiusano, Mario Barbaro, Pier Franco Quaglieni, Mara Antonaccio), hanno animato e infuocato il dibattito politico, suscitando grande entusiasmo, come si vede e da come procede a gonfie vele la raccolta delle firme, ma anche polemiche e ostilità da parte soprattutto dei settori più “politicizzati” della magistratura e da quelli ad essa legati. Ostilità e polemiche che riguardano principalmente il primo, e sicuramente il più importante, dei quesiti referendari: La responsabilità civile dei magistrati.  E su tale responsabilità e sulle relative polemiche, mi viene subito in mente di dire: “Nulla di nuovo sotto il sole; è tutto antico!” E il mio pensiero corre indietro nel tempo, nel 1983 quando nacque il caso Enzo Tortora, con il suo spettacolare, terribile calvario giudiziario; l’incriminazione (associazione camorristica e traffico di droga, venne definito cinico mercante di morte), l’arresto, il carcere, la gogna mediatica, la sua “espulsione” dalla società civile; 7 mesi di custodia cautelare, poi la condanna al processo di primo grado, quindi assoluzione nel processo d’appello; assoluzione confermata dalla Cassazione nel 1987. Il “caso Tortora” divenne subito il caso simbolo di quella serie di casi definiti di “malagiustizia”. Tra i tanti soggetti ed esponenti politici e della società civile, fu lo scrittore Leonardo Sciascia (in quel periodo era anche deputato eletto nel partito Radicale), tra i primi a intervenire fermamente, denunciare e condannare quel terribile esercizio della giustizia (sul quale tante volte in precedenza era intervenuto e aveva scritto); e che il caso Tortora, clamorosamente, confermava quello che lui aveva sempre sostenuto: “ … Che i magistrati potevano fare quello che volevano, distruggere una persona innocente nella reputazione e negli averi e soprattutto privarlo della libertà …”. Un potere enorme, terribile, che i magistrati (stiamo parlando soprattutto dei magistrati inquirenti, i pubblici ministeri) esercitavano con grande disinvoltura e con una pressoché totale irresponsabilità, penale e civile. Aveva esplicitamente detto che: La giusta autonomia e indipendenza della magistratura è diventata totale irresponsabilità …” Possiamo dire che partì da qui la campagna referendaria sulla responsabilità civile dei magistrati (assieme ad altri quesiti referendari), promossa dai Radicali e fatta propria dal PSI e dal PLI. Si votò nel novembre del 1987: sul quesito della responsabilità civile votarono il 65% degli elettori e i Sì raggiunsero l’80,2%. Risultato clamoroso che venne però vanificato dalla relativa legge attuativa (la legge del guardasigilli Giuliano Vassalli) che, in caso di accertata responsabilità, prevede che sia lo Stato a farsi carico dei risarcimenti monetari, che può poi rivalersi, per una quota parte, nei confronti del magistrato coinvolto (rivalsa che lascia il tempo che trova). Risultato referendario di grande valore simbolico, ma che, anche per tale legge attuativa, non cambiò la situazione, anzi negli anni peggiorò.

Infatti la rivoluzione giudiziaria che pose fine alla prima Repubblica e alla distruzione di gran parte dei partiti e della migliore classe politica che abbia avuto questo Paese, non poteva che portare a una classe politica residuale (impunita o sostanzialmente salvata, che, assieme a quella formatasi sull’onda giustizialista degli anni seguenti, non poteva che essere debole e subalterna. Debolezza e subalternità della politica (conseguentemente dei poteri legislativo ed esecutivo) rispetto ad altre caste e corporazioni e soprattutto rispetto a quello giudiziario, già potente e terribile di suo, tanto che oggi si parla di “Giuristocrazia”. Tale subalternità della politica, in questi ultimi decenni, lo abbiamo visto con la sequela di leggi e norme approvate che affidano sempre più prerogative improprie e sempre più potere discrezionale alla magistratura, soprattutto a quella inquirente. Con quella cultura che “non ci sarà mai sufficiente giustizia”, e che ogni problema, ogni male sociale non potrà che essere curato da nuove leggi penali, nuovi reati che solo le procure sapranno e dovranno perseguire. E così il potere dei magistrati, e dei PM in particolare, aumenta a dismisura, un potere totalizzante e terribile, comunque salvifico, da ultimo o solo baluardo che può dare giustizia e persino redenzione.  Ma la realtà è completamente diversa, e lo abbiamo visto in questi ultimi tempi con lo strapotere, la corruzione, il male che opprime questo potere dello Stato, che il caso Palamara ha fatto emergere in modo plateale (anche se da tempi lontani tutti sanno che il re è nudo, ma sempre in pochi lo hanno detto). E questo significa anche Giustizia lenta, ingiusta, negata, malagiustizia, invadente; l’invadenza della giuristocrazia che blocca ogni attività, la lunghezza infinita dei processi, penali e civili, e tanto altro sono i problemi all’ordine del giorno del governo Draghi, come già ricordato prima, in relazione alle riforme che ci impone l’Unione Europea, e non solo per far partire il Recovery Plan, ma per garantire il buon funzionamento dell’Italia, bloccato o malfunzionante da decenni.  Qualcuno dice che il governo Draghi, con la ministra della giustizia Cartabia, sta ponendo mano alle riforme della giustizia; certo non si può dubitare delle loro buone intenzioni, ma i limiti sono costituiti da una forte componente parlamentare (Grillini soprattutto, ma anche PD e altri) che sull’uso politico della giustizia, sul giustizialismo ci hanno costruito le loro fortune politiche. Ed è così che, pur confidando in Draghi, è sicuramente utile e opportuno perseguire anche l’azione referendaria, specie per quel che riguarda la responsabilità civile, sulla quale proseguiamo e concludiamo il discorso ricordando qualche dato sulla carcerazione e sul sovraffollamento delle carceri e su quelle carceri (sempre di drammatica attualità) che qualcuno ha definito “discariche umane”. Ebbene, i dati dicono che il 35% della popolazione carceraria è costituita da detenuti in attesa di giudizio finale, di cui la metà di essi non ha avuto neanche il processo di primo grado. L’Italia è uno dei Paesi democratici a più alto uso della carcerazione preventiva, e per questo sanzionata e condannata ripetutamente da organismi internazionali per i diritti dell’uomo e dalla corte di giustizia europea. Persone tenute in carcere per mesi o per anni, per i quali scatta il “non luogo a procedere” o l’assoluzione al primo processo. Basti pensare che i dati ufficiali del 2017, dicono che nei precedenti 25 anni sono stati 25.000 le persone risarcite dallo Stato italiano per ingiusta detenzione, per un esborso complessivo di 700 milioni di euro. E allora, sperando che sia la volta buona, ben vengano i referendum, specie quello sulla responsabilità civile, ma non solo; perché sono importanti anche gli altri quesiti, anche come forma di sensibilizzazione e di pressione per l’attuazione di quelle tanto attese riforme per una giustizia giusta e funzionante; i soliti riluttanti attaccano i referendum perché li ritengono un attacco alla indipendenza della magistratura, ma la vera minaccia all’indipendenza arriva dalla stessa magistratura, come dimostrano i fatti.