EDITORIALE

EUROVISION, IL SUCCESSO ED IL MALE NECESSARIO

Guido Barosio

La vittoria, annunciatissima dell’Ucraina, è stato un male necessario che purtroppo non poteva essere evitato.
Ma fino a qualche anno fa chi si interessava ad Eurovision? Per i non molti che la vedevano, o la intercettavano per caso, il contest era una sorta di Festivalbar in ‘versione Carpazi’, dove l’Italia recitava un ruolo da comprimaria. Poi vennero i Maneskin e tutto cambiò: per loro (che divennero uno dei gruppi più popolari al mondo) e per noi, con l’approdo a Torino della più spettacolare (e vista) edizione all time. I numeri non dicono molto, dicono tutto: 250 milioni di telespettatori (in Italia quasi il 50%) che salgono a 550 calcolando il web e i social. Per la città e la nazione intera un biglietto da visita formidabile (da spendere bene, lo vedremo poi…), per tutti il vero evento della ripresa dopo la pandemia. Con tanta gente vicina – finalmente – ad abbracciarsi e a stare insieme, come non mai dal 2019. Quei filmati realizzati col drone (brava RAI|) hanno raccontato con efficacia spettacolare ‘La Bella Italia’, in una campagna di visibilità turistica semplice e formidabile. Tutto bene allora? Si e no. La vittoria, annunciatissima dell’Ucraina, è stato un male necessario che purtroppo non poteva essere evitato. Perché Eurovision non ha fermato la guerra, ma ha fatto vincere chi, altrimenti, non avrebbe vinto mai. Sono i numeri a dirlo. I voti delle giurie ‘di qualità’ avevano delineato un’altra classifica, dominata da UK, Spagna e Svezia, evidentemente le migliori. Gli Ucraini erano finiti nelle posizioni di rincalzo, lontani dalla vetta. Però appena il voto non è stato più ‘professionale’, ma emotivo, tutto si è ribaltato. Facile pensare che i due mesi di martellamento mediatico a senso unico abbiano creato una coscienza popolare che ha risposto, compattamente, a messaggi semplici quanto efficaci: l’Ucraina innocente aggredita senza ragione, l’eroica difesa di una nazione contro un nemico feroce e potente, il popolare Zelensky che arringa il mondo dal suo bunker, insomma, il debole da valorizzare attraverso un forte messaggio mediatico. Una lettura dominata dalla stampa mainstream che, per esprimere una condanna assoluta (dove le conseguenze sono le uniche a contare, mentre le cause contano assai meno) non ha neanche bisogno di un equo processo per andare in sentenza. Così la vittoria all’Eurovision era già scritta prima ancora di cominciare e la Kalush Orchestra poteva affermarsi anche senza cantare, con tre minuti di silenzio. Non si sarebbe perso tempo a calcolare i voti e non avremmo subito quella finta suspense. Fra poche settimane nessuno si ricorderà più di loro (altro che Maneskin) e ascolteremo – giustamente – solo Sam Ryder, la sensualissima Chanel e la formidabile Cornelia Jakobs, vera vincitrice morale del Contest. C’è anche chi – come il conduttore RAI Gabriele Corsi – ha negato ogni imparzialità, affermando apertamente, pochi minuti prima della proclamazione, che “si poteva finalmente dire, noi vogliamo la vittoria dell’Ucraina”. Ecco, il brutto ricordo di questa edizione sarà proprio quello di un successo ottenuto dalla geopolitica dell’informazione. Per il resto l’edizione 2022 di Eurovision è stata tra le migliori in assoluto per la levatura degli artisti, per quella emozionante scatola magica che era il palco del Pala Olimpico, per le tante coreografie elettrizzanti, praticamente un musical per ogni artista in scena. I tre conduttori hanno fornito performance diseguali: troppo bamboleggiante Cattelan, che ormai interpreta sempre il medesimo personaggio (con le medesime facce) ad ogni trasmissione, formidabile nella voce e nelle interpretazioni Laura Pausini, la migliore cantante al mondo?

Forse sì. Ma il ruolo di presentatrice non è esattamente il suo, e si è visto. Mi piacerebbe anche molto che Laura fosse ‘liberata’ dai sarti e dai parrucchieri che si sono accaniti su di lei, imponendole mise da matrimonio nazionalpopolare. Per Mika solo applausi, bravo in tutto, elegante, simpatico, interprete internazionale a tutto tondo, ha dominato la scena, ancora più del previsto. E veniamo a Torino, la capitale di Eurovision 2022. Diciamolo subito: la città ha fatto un figurone, ha saputo accogliere, ha creduto nell’evento, ha sempre affollato l’Eurovillage, dove sono passate 250mila persone, ha convinto i media italiani e stranieri, ha ottenuto visualizzazione sui social vicine al milione. Questo è il tesoro su cui investire. Come? Innanzitutto restituendo il centro aulico ai grandi eventi, e facendolo senza paura. Basta coi complessi legati alla tragedia di piazza San Carlo. Ricordiamoci invece la Medal Plaza olimpica, forse il luogo più bello d’Europa nell’ultimo ventennio. Poi magari evitiamo di impacchettare i palazzi gioiello proprio nella settimana dell’evento, quando milioni di foto fanno il giro del mondo. Erano interventi urgenti? Non ho dubbi, ma quei palazzi hanno aspettato 500 anni e si poteva attendere ancora una settimana… Anche perché sapevano delle date dal giugno scorso. Ma la cosa più importante su cui lavorare è l’idea, anzi le idee, che devono essere forti, nuove, strategicamente concepite. Torino ha saputo inventare il Salone dell’Auto, quello del Gusto, quello del Libro, ha creato le più belle Olimpiadi invernali di sempre. Ma è troppo tempo che non si concepisce qualcosa di nuovo e di grande. Io mi permetto di lanciare un’idea, visto che abbiamo, giustamente, l’ambizione di essere la città della musica. Mettiamo in cantiere un grande ‘Salone del Suono’, che per una settimana porti a Torino il meglio del rock, del jazz, della classica, dell’etnosoud. Gruppi, orchestre ed esibizioni, ma anche tecnologie, incontri professionali, tanta trasversalità. Le location le abbiamo, le risorse vanno trovate. Torino ebbe un bel Salone della Musica al Lingotto, ma lo fece morire dopo due edizioni. Colpa grave, riproviamo. E poi candidiamoci sempre, candidiamoci a tutto, perché Eurovision e ATP Final (per fare solo due esempi) portano già il contenuto, a noi non resta che mettere in scena (bene) il contenitore. Il turismo non è un orpello, il turismo è una scienza che unisce l’economia al sogno. Ma il turismo si studia, si impara, il turismo ha bisogno di una crescita culturale collettiva che dobbiamo imparare a fare nostra, perché non c’è ancora. Ultima nota: e se Eurovision 2023 fosse di nuovo a Torino? Una provocazione? Forse no. Mi sembra impensabile che tra un anno il Contest possa essere celebrato in Ucraina, lo sconsigliano politica, tempistica, sicurezza e la logistica. Allora presto si penserà ad una nuova sede. E perché non a Torino? Abbiamo fatto benissimo e abbiamo già tutto pronto, a partire dalla venue, che è la migliore d’Europa. Ripetere l’Eurovision a Torino sarebbe una garanzia per tutti, e forse anche la soluzione più semplice. Ma la prima parola spetta alle amministrazioni. Vedremo, per ottenere grandi risultati servono innanzitutto tre doti: ambizione, concretezza e coraggio. La seconda certamente ce l’abbiamo, le altre due vanno cercate. Presto.