ARTE

CARLA FRACCI, UNA VITA NEL SEGNO DELLA DANZA

Patrizia Foresto

Era ed è stata un’eterna fanciulla danzante dal cuore senza età.

“Carla Fracci è Giulietta, Giselle, Medea, Cenerentola… Carla, eterna fanciulla danzante” e con loro tante altre, ognuna riportata in vita tante volte ed ogni volta simile ma mai uguale da vera artista quale lei è stata, sempre capace di andare oltre sé stessa, di interpretare, sempre nuova anche se su un copione costruito ad arte per essere rappresentato più e più volte. In quelle parole il poeta e critico musicale Eugenio Montale aveva saputo riassumere la vera essenza della grande étoile, icona della danza del Novecento, che ha terminato di danzare sulle note della vita un giovedì di primavera, 27 maggio 2021, lei che era capace di calarsi nei suoi tanti personaggi al punto da diventarne ogni volta leggenda vivente. Era ed è stata un’eterna fanciulla danzante dal cuore senza età, con il garbo di chi ha fatto del movimento un’arte, della musica la sua compagna quotidiana, di Tersicore la sua inseparabile amica e musa ispiratrice, della bellezza e della perfezione la sua ricerca assoluta. Il primo, il più assiduo ammiratore della grande étoile milanese nata nel 1936, è stato papà Luigi, impiegato nell’azienda tranviaria meneghina, ben conosciuto all’ombra della Madonnina del capoluogo lombardo, per essere stato uno di quei rari casi di padre che ha brillato di notorietà a fianco della figlia e non viceversa. Le sue aspettative, le sue speranze di padre iniziarono a farsi realtà quando la sua Carlina a nove anni, fu accettata alla Scuola di ballo del Teatro La Scala, esile e minuta, con i suoi capelli corvini sempre raccolti e divisi da una scriminatura perfetta in due parti esattamente simmetriche sul suo visino e sui suoi occhi intelligenti ed arguti. Fu lì che iniziò a capire che quello studio e quella costanza l’avrebbero portata a vivere di arte, per l’arte, nell’arte. Prima ballerina della Scala a ventidue anni, dopo essersi diplomata nel 1954 ed aver debuttato in quella Cenerentola del 1955 che la fece conoscere, iniziò un ben noto percorso inarrestabile, costellato di successi in tutto il mondo. Vestì oltre duecento personaggi che la Fracci, fine psicologa ed attenta attrice, sapeva portare in scena comprendendone l’anima. Altro suo infaticabile ammiratore fu il marito Beppe Menegatti che sposò nel 1964, con cui visse anche la sua dimensione di madre, regista di quasi tutte le sue interpretazioni teatrali. Accanto ad un innato talento la vita di Carla Fracci è stata costellata, sin dagli inizi, di duro lavoro, di ore ed ore passate alla sbarra, di ferrea disciplina, di sacrifici ed impegno costante, quello vero, quotidiano, senza soste che la catturò interamente per tutta la vita: anima, corpo e mente. Lavoratrice infaticabile e tenace, fino all’ultimo non si è risparmiata prendendo parte pochi mesi prima del decesso, quale coach d’eccezione, ad una masterclass alla Scala andata in streaming sui profili del Teatro e disponibile anche su Raiplay, con i protagonisti di Giselle, suo cavallo di battaglia, che lei interpretò magistralmente anche con Rudolf  Nureyev nel 1980 al Teatro dell’Opera di Roma, di cui fu in seguito direttrice del Corpo di ballo oltre a quello dell’Arena di Verona, tra i suoi tanti impegni di insegnamento.

“Lascia più libertà a ciò che senti, in scena si crea, un giorno è in un modo, un giorno in un altro, sii più vera, mai studiata”. Sono le sue recenti parole all’allieva, ultima interprete della Giselle che la vide impegnata ed applaudita nei più grandi teatri del mondo, lei che ben conosceva il profumo dei fiori lanciati sul palcoscenico, a poca distanza dalle sue scarpette, oltre gli interminabili applausi di platee in ammirazione. Pur nella classicità, nell’eleganza che la sua arte le aveva trasmesso in un vicendevole scambio mai conclusosi, è sempre stata una donna moderna, capace di precorrere i tempi e vedere nella tecnologia più avanzata nuove interessanti prospettive per portare la danza a tutti ed in ogni ambiente, senza volerla lasciare confinata in spazi elitari e difficilmente raggiungibili. “Ho danzato nei tendoni, nelle chiese, nelle piazze – sono parole sue – sono stata una pioniera del decentramento. Volevo che questo mio lavoro non fosse d’élite, relegato alle scatole d’oro dei teatri d’opera ed anche quando ero impegnata sulle scene più importanti del mondo sono sempre tornata in Italia per esibirmi nei posti più dimenticati e impensabili. Nureyev mi sgridava per questo ma a me piaceva così ed il pubblico mi ha sempre ripagata”. Mai troppo studiata ma sempre vera, con oltre sessant’anni di carriera, amica dei potenti della Terra ma anche vicina ai giovani che ambivano a danzare, insegnante capace e psicologa dell’animo umano, la Fracci è stata Milano, è stata il suo Teatro La Scala, è stata l’Italia della danza nel Mondo. Sapeva muovere i sentimenti del pubblico in un legame sottile tra l’artista e l’intero teatro, tra il palcoscenico e la platea grazie alla sua capacità di interpretare a fondo l’essenza intima dei suoi personaggi, facendoli rivivere sotto i loro occhi. Sicuramente una nota dolente l’ha accompagnata: constatare, soprattutto in questo ultimo imprevisto periodo della storia dell’umanità, sono sue queste considerazioni, che “un Paese senza cultura e arte, senza i mezzi per fare cultura e arte, è un Paese che non si rinnova, che si ferma, negandosi così ad un futuro vero, autentico, soprattutto libero”. Ci sono artisti, alcuni dei quali fanno parte del nostro secolo, di quel tempo che ci è concesso, altri invece che ci hanno preceduti, il cui mito, la cui leggenda, la cui fama mondiale non muoiono con loro ma li rendono immortali perché anche se si chiude il cerchio terreno continuano a vivere nei loro personaggi e nella storia. Carla Fracci è uno di questi e vive nella danza, nell’Olimpo che appartiene per merito alle grandi étoiles della storia di quest’arte la cui dimensione profonda si incontra al di là del tempo e dello spazio.