CINEMA
Incontro con Vittorio Gassman, intervista immaginaria
Beppe Valperga
“L’attore è uno che finge sentimenti che non prova, è uno che riveste idee e sentimenti altrui.”
Venti anni fa moriva Vittorio Gassman e ora devo incontrarlo in un’intervista immaginaria. Francamente mi sembra ieri che se ne è andato, che non è più qui. Lo sento vivo, vivissimo, infatti è vivo nella sua arte, nei suoi film, in tutti i teatri che lo hanno conosciuto. Lui, il mattatore, come in parecchi lo definivano, dopo l’omonimo spettacolo che condusse in televisione nel 1959. Per incontrarlo, questa volta, lasciando in pace Wells, ho chiesto aiuto a un’aristocratica amica, dotata di poteri non comuni, abile ed esperta in evocazioni. E così, in un caldo pomeriggio estivo, nella frescura di una vecchia casa di famiglia, la mia amica ha invitato Gassman che tardava a giungere. Poi, all’improvviso, eccolo tra noi, con barba e rughe e l’intensa espressione forse dei suoi ultimi mesi di vita. Sereno, pacato, dice che ci ha messo un po’ a venire, perché stava ricordando un’altra intervista che Pippo Baudo fece a lui e al suo giovanissimo figlio Alessandro. L’ho rivista di recente e mi ha commosso, Vittorio Gassman, con il pudore del sentimento paterno, guardava il figlio dicendo che l’aveva superato, era di un centimetro più alto (lui era un metro e ottantasette), e voleva far l’attore. Alessandro confermava e, affettuoso, affermava “con un padre come lui…” Già, buon sangue non mente e Alessandro Gassman è un grande attore.
Lei non era figlio d’arte?
“No, mio padre Heinrich era un ingegnere di Karlsruhe, morì nel 1936, quando avevo quattordici anni. Mia madre, Luisa Ambron, di origine pisana, prima casalinga, fece poi la maestra elementare”.
Voleva fare l’attore?
“Non ci pensavo troppo a far l’attore. Volevo scrivere quando ero ragazzo. È stata mia madre a spingermi a far l’attore, mi ha quasi obbligato a diventare attore. Potevo fare in teatro, quello che mi piaceva, e lì è nata la passione vera e propria. Facevo il cinema solo per pagarmi il teatro. Il teatro è un’arte alchimistico-rituale. Il cinema racconta la vita com’è, è narrativa. Il teatro cerca di migliorare la vita, è simbolico. In questo senso sono opposti. Nel cinema ci divertivamo e questo ci teneva su, il set può essere faticoso, però, sempre meglio che lavorare (infatti non ho mai avuto il senso di lavorare), questo era il nostro motto”.
Come vede il cinema italiano?
“Non manchiamo di problemi, su tutti i piani; ma io sono abbastanza ottimista e, in fondo, credo che negli ultimi anni si possa trovare qualche traccia di risorgenza, certo, non da paragonare alla fioritura enorme degli anni Cinquanta, Sessanta e di parte degli anni Settanta”.
Cosa intende per essere ottimista?
“È confermato che i nostri registi, anche giovani, hanno talento. Quello che ci manca è un po’ il respiro internazionale.
Abbiamo perso molti mercati, li avevamo, che devo dirle, spero che sapremo riconquistarli. Anche se ora sono i giovano che devono spingere, io ho fatto la mia parte. E poi c’è la mancanza di scuole, soprattutto per il teatro, che spiega la nostra crisi, ma speriamo che i tempi cambino”.
Lei è stato uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana. È importante.
“Importante, certo. Il cinema, oltre a essere un fatto industriale, è un fatto artistico e culturale. Penso non si debba generalizzare, ma il cinema è una professione temporanea per un attore. La commedia italiana è un’etichetta che significa e non significa”.
Chi è l’attore?
“L’attore è uno che finge sentimenti che non prova, è uno che riveste idee e sentimenti altrui. Si tratta di farlo senza prendersi troppo sul serio”.
E lei che attore è?
“Un attore che si considera essenzialmente un attore di teatro. Credo di dovere molto al successo che ebbi con l’Amleto. Il teatro popolare mi ha dato degli arricchimenti. Il teatro è un modo di essere dell’uomo. Un uomo cerca se stesso facendo l’attore. Il teatro è un rito sociale”.
Nel suo grande impegno artistico ha pure conosciuto la depressione…
“Mi mancava la voglia di ributtarmi in teatro. Dopo anni e anni di successi furibondi si varca fatalmente la soglia dei giochi circensi. Il pubblico ti viene a vedere anche per l’inconfessabile aspettativa che tu stia per tirare le cuoia, o almeno per vedere se ti reggi ancora bene in piedi. Chi pratica e lavora con le zone dell’emozione si espone di più e rischia di scaricarsi come una pila”.
Un grande attore, una vita intensa, un impegno artistico documentati in fiumi di fotografie e carta stampata.
“Sono un accanito raccoglitore di documenti a cui sono affezionato”.
Tutta la sua vita?
“Sì”.
Si accende una sigaretta e, in una volata di fumo, scompare. Ringrazio la mia amica, che mi intima di non citarla “perché – dice – altrimenti i rompiscatole mi chiederebbero di evocare la vecchia zia defunta, per sapere dove ha nascosto i gioielli”. Il suo sguardo mi dice molte cose e resta nei miei occhi, mentre torno alla bellezza dei colori di luglio.
(le parole di Gassman sono tratte da sue interviste)