EDITORIALE

IDEE PER L’AUTUNNO

Guido Barosio

Wanderlust significa letteralmente ‘desiderio di vagabondare’, passione irrefrenabile per il viaggio e per tutto ciò che al viaggio si collega.

L’Italia è una nazione accoglista e non accogliente, che fa una bella differenza. La comprensione del primo termine è legata ad una progressiva perdita di identità e di valori, un fattore di estrema rilevanza che si manifesta nella politica, nella cultura, nell’economia, nella religione e nella vita civile. Se si osserva questo depauperamento in prospettiva storica tutto appare molto più grave, perché l’Italia è sempre stata fortemente identitaria. Lo era ai tempi dell’impero romano, durante le signorie e nel Rinascimento, epoca formidabile nonostante il frazionamento politico. Col Risorgimento l’identità si fece processo di unificazione. Per gran parte del secolo scorso non fu mai messa in discussione, e l’ultima ‘vera Italia’ fu quella del boom economico, che ci riscattò pienamente dalle macerie della guerra mondiale. Dopo il destino mutò direzione ed i nostri valori fortemente identitari entrarono in crisi, vennero messi in discussione ma senza essere rinnovati o sostituiti. Osservando le sfide di questo autunno 2020, la nazione sembra avere un esercito senza armi, anzi non sembra neppure possedere un esercito. Il problema è culturale nel senso più ampio del termine. A partire dalla scuola. Gli italiani – pur con infiniti distinguo – ne celebrano la riapertura. Ma la riapertura di cosa? La nostra scuola, la nostra istruzione, per secoli tra le migliori del continente, è inadeguata ai tempi sotto ogni punto di vista: strutture datate e spesso fatiscenti, corpo insegnante mal pagato e di scarso profilo, i concetti di meritocrazia e di giudizio abbandonati perché politicamente scorretti, mentre è solo su questi elementi che la cultura diventa un patrimonio trasmissibile. Si salva qualche eccellenza universitaria, un troppo poco che arriva troppo tardi nel ciclo formativo. Da tempo, quando si forma un governo, la casella ‘istruzione’ è l’ultima ad essere assegnata, quasi sempre a politici di seconda fascia. Di peggio si fa solo con la cultura, cosi il quadro è completo. Si riapre la scuola, evviva, ma non si comprende che la scuola va rifondata. Nell’autunno 2020 siamo chiamati alla riduzione dei parlamentari. Ma anche questo è un quesito sbagliato, perché il problema non sta nel numero ma nella qualità dei rappresentanti, nella selezione delle élite. I grandi imperi della storia, le nazioni più autorevoli, si sono sempre segnalati per la loro capacita di selezionare i quadri di governo: politico, civile, militare. Una selezione che non è mai avvenuta a caso, ma attraverso regole e meccanismi di ben calcolata efficacia. Ci poniamo le domande sbagliate perché siamo diventati ‘accoglisti’: di fronte alle emergenze, al mutare degli scenari, alle sfide della storia subiamo le novità senza governarle, e senza conservare la nostra identità. L’Italia non è un paese omofobo o razzista, ma è una comunità che ha accolto il nuovo senza un progetto, senza una riflessione adeguata, senza mantenere la schiena diritta. Le istanze delle comunità LGBT, la libera espressione della sessualità individuale, possono essere una mina vagante se non ci si interroga sui valori maschili e femminili (oggi più che mai in evoluzione), se si omette la bellezza e il patrimonio dei valori maschili e femminili. E anche della famiglia. Il rischio di questo atteggiamento è quello di lasciare sconfinate praterie alle forze più reazionarie e antistoriche, che difendono a spada tratta questi valori inscenando battaglie goffamente becere. Mentre, in parallelo, i concetti di maschile, femminile e famiglia diventano ‘valori fascisti’, e, in quanto tali, da mettere al bando.

La prima conseguenza di questa polarizzazione nefasta è già arrivata: sono molti i giovani che crescono con una identità sessuale confusa, che non è fatta di scelte, ma piuttosto di crisi con sbocchi diversi, quasi mai funzionali ad uno sviluppo sereno. Gli accoglisti più estremi difendono come battaglia morale l’immigrazione in qualsiasi forma – perché giusta e naturale – lasciando la tutela dei confini nazionali e dell’ordine pubblico ancora una volta alle destre proterve. L’Italia è destinata a mutare nella sua componente etnica, come già avvenuto in passato (però chi studia ancora la storia?), ma questo deve avvenire in un quadro di riferimento che oggi manca completamente. Soffocato dal match ‘immigrati si contro immigrati no’. E di nuovo ci sfuggono i veri temi: immigrati quando, immigrati quanti, immigrati dove e come. Lo jus soli e lo jus culturae, vere possibili soluzioni, sono finiti nell’armadio. Vogliamo continuare? Lo smart working – soluzione provvisoria e inevitabile durante il lockdown – si è tristemente trasformato in una variante impazzita nel mondo del lavoro. In futuro lavoreremo solo più da casa? Speriamo di no. Il lavoro è confronto e dinamica fisica, è reciproco sguardo negli occhi, è partecipazione vivente e vitale. Dietro lo smart working si è purtroppo annidata una pericolosa tendenza al pelandronismo e al divanismo. E, mentre gli smart worker non rivelano una particolare propensione al ritorno in ufficio, aziende opportuniste e ciniche affilano la scure del tagliatore di teste. E chiediamo con il tema che più ci farà inevitabilmente discutere nei prossimi mesi. Sulle risposte alla pandemia – lasciando da parte considerazioni sanitarie che non mi competono – l’accoglista ha rivelato la propria anima passiva da componente di un gregge mite quanto sottomesso. L’Italia è stata per mesi governata a colpi di DPCM, in più che evidente deroga costituzionale, che ci hanno sottratto progressivamente atomi di libertà. I media mainsteam hanno sovente fatto da cassa di risonanza per provvedimenti e paure, di conseguenza l’accoglista, nella maggior parte dei casi, ha semplicemente ‘accolto’. Il rischio è quello di un autunno disseminato da decretucci e spaventi, sovente non in linea con la reale situazione sanitaria. Che poi nessuno conosce, perché non può conoscerla, ma che, proprio per questo, meriterebbe una visione autorevole e onesta da parte della politica. In altri paesi europei, e parlo per esperienza diretta, avendo viaggiato in un paio di essi, il tema viene affrontato con diversa misura, dalle istituzioni e dai media. Per trovare una notizia sul Covid nei giornali svizzeri sovente si arriva a pagina 20, e anche la stampa francese, nonostante la situazione sia più problematica, affronta l’argomento senza particolare enfasi. La conseguenza di questo mix tra giustizialismo governativo e gestione delle notizie ha partorito un’Italia insicura e allarmata, un’economia al dettaglio in piena crisi, un eccesso di fake news a decorare, aggressive, testate on line che vivono e prosperano sulla paura. Ma anche in questo caso all’azione fa seguito la reazione opposta e contraria: negazionisti senza pudore che mescolano vaccini, 5G e virus con sorprendente audacia, accoglisti privi di qualsiasi senso critico che accusano di negazionismo chiunque avanzi qualche dubbio (assai legittimo) sulle gestione istituzionale dell’epidemia. L’Italia accoglista è una mina vagante nello scenario europeo e affronterà molte delle sue sfide senza ragionare sul senso delle medesime. Avere una cultura non significa solo leggere libri, conoscere i classici e avere solide basi (tutti elementi, peraltro, significativamente minoritari nell’attuale scenario) ma porsi domande, informarsi con tenacia, darsi delle risposte, avere delle visioni e degli obiettivi. L’Italia civile deve partire da questo, deve saper diventare estremista e intransigente su questo, chiedere il meglio dopo averlo individuato. Se sapremo farlo in molti l’autunno 2020 non trascorrerà invano.