POLITICA
FRANCIA, CHE SFIDA CI ATTENDE?
Eva Morletto
La Le Pen, che è solida col suo 20% di intenzioni di voto.
Chi arriverà a determinare la scena politica francese nei prossimi cinque anni? I sondaggi, contro previsioni che fino a un paio di anni fa lo davano per sconfitto a un secondo mandato, mettono sul podio elettorale ancora una volta Emmanuel Macron. C’è da dire che malgrado la crisi annosa dei gilet gialli, i due anni da incubo covid e molteplici scandali, dal finto poliziotto e assistente Alexandre Benalla, alla papessa dei media di gossip Mimi Marchand che nonostante i trascorsi loschi ha preso i suoi agi all’Eliseo capitanando la strategia di comunicazione, nonostante le molteplici tempeste Macron finisce il suo mandato in bellezza. Se si vuole essere molto molto cinici, si potrebbe quasi dire che la guerra in Ucraina gli ha dato una mano. La ragione? Il presidente francese è uno dei pochi ad aver mantenuto un canale diplomatico aperto col nemico n. 1 Putin e la Francia nucleare mette -per ora – al riparo i suoi abitanti dalle bollette impazzite conseguenti alla decretata crisi energetica. Le trattative e le negoziazioni, gli incontri internazionali e le riunioni di crisi hanno anche permesso al Presidente di schivare i confronti diretti con gli altri candidati. Poco o niente « débat » questa volta, e il lessico della République en Marche punta su una nuova terminologia. Il presidente sarebbe occupato con affari importanti, urgenti, c’è la guerra signora mia, mica tempo da perdere nei talk show. E così i nuovi elementi di linguaggio si sprecano: « urgenza », « concretezza » « ruolo presidenziale ». Per quanto riguarda quest’ultimo, in effetti il conflitto che potrebbe aprire la porta a uno scontro bellico mondiale ha reso a Macron fischiato dai gilet gialli una statura presidenziale, uno spessore politico che finora in molti non gli avevano riconosciuto. A sfidare Macron per il secondo turno, molti analisti e sempre i soliti sondaggi danno come sfidante ancora una volta Marine Le Pen, una ipotesi francamente sfiancante, che porterebbe due settimane di dibattito politico prima dell’elezione del presedente centrato sulle solite tematiche care alla destra:
sicurezza, immigrazione. Eppure la Le Pen era partita male in questa nuova maratona presidenziale perché al via aveva trovato un nuovo rivale: Eric Zemmour, editorialista di estrema destra, idolo di CNews, la tv di Bolloré, e coacervo di valori populisti misti a un fondo di razzismo che ancora aleggia nella Francia rurale, nella vieille France di una certa borghesia cattolica e in una limitata ma ben presente fascia popolare che vede i nuovi poveri venuti da fuori come rivali nella corsa all’impiego e agli aiuti sociali. Eppure il « rivale » Zemmour ha avuto un ruolo che in pochi si aspettavano. Con le sue idee estreme e il suo malcelato odio per gli immigrati ha fatto passare Marine Le Pen per una moderata, e ha sdoganato così in maniera più o meno definitiva il Rassemblement National dal peso del suo passato frontista. Zemmour non ha rubato voti alla Le Pen, che è solida col suo 20% di intenzioni di voto, perché se il giornalista provocatore passato alla politica ha potuto attingere al suo bacino elettorale qualche elemento, nuove preferenze al Rassemblement National sono arrivate dagli ex-republicani, gli ex-sarkozisti e ex-fillonisti, non convinti dal ruolo di Valerie Pecresse ai comandi. Rimane l’incognita Melenchon, che sta riuscendo a federare buona parte della sinistra nonostante la frattura con Roussel. I due insieme al primo turno avrebbero potuto archiviare l’ipotesi Le Pen. Nonostante ció Melenchon sta attirando giovani, attivisti, ecologisti consapevoli che frammentare i voti a sinistra consegnerà il Paese ancora una volta al neo-liberismo di Macron o alla destra lepenista per cui l’ecologia conta pressapoco come il proverbiale due di picche. Due -e forse tre coi repubblicani- i grandi probabili sconfitti di questa elezione: i socialisti di Anne Hidalgo -il sindaco di Parigi non riscuote successo in provincia e paga ancora il pegno della caduta libera dei partiti tradizionali dopo la delusione Hollande – e gli ecologisti, e questo è un peccato, visto l’ultimo -allarmante è un eufemismo, bisognerebbe dire piuttosto terrificante – rapporto del GIEC sul clima e sulle emissioni di CO2. Ma purtroppo i verdi arrivano alla presidenziale nel momento peggiore: quello di una crisi energetica che rischia di essere senza precedenti, che vede le energie verdi ancora troppo deboli. Tutti si stanno girando verso le centrali nucleari, venerandole come ancora di salvezza e miraggio di indipendenza energetica. Peccato per i verdi, perché forse, la guerra peggiore, non è quella che stiamo vivendo oggi ma quella che ci attende tra vent’anni.