“Disgraziato è quel paese che ha bisogno di eroi”, diceva Brecht. Sottintendeva che quando una collettività non riesce a funzionare secondo regole proprie, anonime ma efficaci, e deve fare ricorso all’ ‘uomo della provvidenza’ che la risollevi vuol dire che è precipitata nella disgrazia.

Dovremmo rivendicare nel nome della tolleranza il diritto a non tollerare gli intolleranti. Se estendiamo una tolleranza illimitata anche nei confronti di chi è intollerante, se non siamo preparati a difendere una società tollerante contro l’assalto degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con loro – Karl Popper –

In tutta la sua lunga vita di regista, scrittrice, sceneggiatrice e donna Lina Wertmüller non passò mai inosservata. Nemmeno da bambina quando, per il lato allegro e vivace del suo spirito inquieto, forte e ribelle, venne cacciata da ben undici scuole. Lo ripeteva spesso, quasi fosse per lei un vanto, un fiore all’occhiello, una caratteristica tutta sua da tener ben presente ed esternare essendo riuscita a mantenere intatto quel suo spirito indomito iniziale e spontaneo.

Si è conclusa la lunga maratona del Cinema, iniziata ben prima a dir il vero della ufficialità del 27 novembre. Torino è stata la prima capitale della celluloide, dopo che tutto venisse trasferito a Cinecittà, che a dispetto degli studios americani, resta la più bella e spettacolare cittadella della cinematografia del mondo. Venezia, come ho ricordato nel mio articolo precedente, quasi per caso o meglio per i motivi legati alle giuste ambizioni imprenditoriali del conte Volpi di Misurata, diventò un festival importante.

Orgoglio degli italiani in Brasile. È stata una sofferenza. Minuto dopo minuto. Poi, la gioia infinita. L’allegria, il carnevale, il batticuore: il mio Palmeiras, superando, a Montevideo, il Flamengo per 2-1 ai supplementari, ha vinto per il secondo anno consecutivo la Copa Libertadores, che è la Champions League del Sudamerica. E, così, come per incantamento, sono tornato bambino, alla mia infanzia brasiliana, a San Paolo, orgoglioso figlio nipote e pronipote di migranti veneti.

Era piccola tanto da essere soprannominata “passerotto”, non era bella secondo i canoni tradizionali, era ribelle ed inquieta, con due grandi occhi espressivi e troppo spesso tristi, era senza fortuna né sicurezze che le dessero qualche minima certezza, qualche riferimento per vivere. Era figlia della vita, di quella vita di cui ha conosciuto tanti volti, forse troppi e che l’ha ferita, risanata, fatta sperare, ridere e piangere fino a morire.

La trasformazione digitale non ha confini per definizione. Si muove velocemente e in modo trasversale all’agire umano.
Non è né buona né cattiva. Dipende da come la si gestisce e da come la si usa e le parole chiave per interpretarla alla
fine sono quelle che accompagnano da sempre l’umanità nel suo cammino: responsabilità e fiducia.

O più semplicemente Marina Cicogna. Una vita all’insegna dell’eleganza, questo è quello che emerge assistendo ad uno straordinario docufilm firmato da Andrea Bettinetti con il produttore Riccardo Biadene e distribuito da Cinecittà Luce. La storia straordinaria di una donna straordinaria, tutto quello in cui si è cimentata, è stato un successo, come ha ricordato la regista Liliana Cavani.

Siamo (apparentemente) nell’era della copertura globale e in tempo reale, di tutto ciò che accade. La rete e i social sembrano garantire la più grande rivoluzione dell’informazione dai tempi di Gutenberg. Sfioriamo il tasto di Google sullo smartphone e piombiamo immediatamente su ogni argomento desiderato. È tutto lì, davanti a noi, in un attimo.

Nella raccolta curata da Mara Antonaccio “Uguali? No grazie!” molte e tutte interessanti le riflessioni dei vari autori sul femminismo, galassia ampia e costellata da innegabili conquiste, grazie all’impegno e alle rivendicazioni femminili, accanto a perduranti pregiudizi millenari occultati da apparenti mutamenti di costume e di opinioni. Particolarmente opportuna, da parte della curatrice, la storicizzazione del femminismo: le sue fasi, le sue differenze e i suoi specifici caratteri nazionali: il femminismo tradizionale con le sue battaglie per la parità e l’uguaglianza delle opportunità, il post femminismo con la sua carica rivendicativa talvolta rabbiosa e revanchista che ci induce a orientare lo sguardo verso un più fertile concetto di differenza femminile, interpretabile come libertà di esprimere sé stesse, la propria originalità, individuando nel rapporto uomo -donna la differenza che si relaziona: una diversità che accresce visione e potenzialità di entrambi.