ATTUALITA’

SANTA SOFIA, L’INUTILE SFIDA A UN SIMBOLO PERPETUO

Eugenia Toni

Il ritorno di Santa Sofia a moschea è il tentativo di ricompattare l’elettorato e aumentare il consenso popolare attraverso un importante atto simbolico.

Il Consiglio di Stato turco ha annullato la decisione del 1934 con la quale Ataturk aveva trasformato la Basilica di Santa Sofia in un museo. La decisione della Danistay è il tentativo di recuperare volontà e obiettivo di Maometto II il Conquistatore che, il 29 maggio del 1453, prese la capitale bizantina, Costantinopoli, modificandone la destinazione d’uso in moschea. L’atto di ripristino, il balzo di circa un secolo, ad opera di Recep Tayyp Erdogan, non attenta semplicemente alla laicità della Turchia: è un atto politico che riporta in auge un vecchio cavallo di battaglia caro a nazionalisti e movimenti musulmani più radicali. Il ritorno di Santa Sofia a moschea è il tentativo di ricompattare l’elettorato e aumentare il consenso popolare attraverso un importante atto simbolico. Una scelta che offre un vantaggio politico a costo di un’armonia della convivenza tra cristiani e musulmani. In realtà la riconversione in moschea di Santa Sofia si pone contro gli esempi storici dei califfi più illuminati. Omar, il secondo Califfo dell’Islam, dopo aver conquistato Gerusalemme, scelse di non pregare nel Santo Sepolcro per la preoccupazione che le future generazioni di musulmani usassero questo precedente per la conversione del luogo in una moschea. L’atto di Ataturk, ovvero la laicizzazione del luogo di culto in un museo, è stato impugnato come illegittimo in quanto Santa Sofia era un waqf, un’istituzione pia voluta da Maometto II e che, come tale, non poteva modificare la sua destinazione d’uso nella riduzione a museo voluta da Kemal. La diatriba è a priori, e la decisione della Danistay si potrebbe contestare considerando che il wafq sia stato illegalmente fondato sull’appropriazione di una chiesa, con una modifica non contemplata e vietata dalla Sharia. Il meccanicismo storico e ferraginoso delle trasformazioni legate alla destinazione d’uso non soddisfa la risposta ad una domanda molto semplice: “Perché Santa Sofia suscita un così grande interesse e la sua appropriazione si connota di significati e strumentalizzazioni politiche?” Perché Santa Sofia non è semplicemente un bene culturale, ma un simbolo che racchiude il sistema della Chiesa greco-ortodossa, ancora il più grande faro della cristianità ad Oriente.

Costruita per volere di Giustiniano nel 532 d.C. da Isidoro di Mileto e Antemio di Tralles in soli cinque anni, è un sincretismo architettonico che, attraverso la Siria, trasmette a Costantinopoli il concetto dell’architettura persiana. La cupola di 31 metri di diametro, che dalla navata principale si erge con un’altezza di 55 metri circa, risplendente di oro e luce in eterna memoria del Cristo Trasfigurato. Un asilo sacro di mosaici che sintetizza al suo interno e sublima misticamente il genio greco trasfuso nella liturgia della Parola, esalta la potenza romana nella durezza del porfido ed accende la fede dell’Oriente Cristiano. L’ossessione del possesso di Costantinopoli e Santa Sofia che agitò Maometto II, nel proposito e successo della conquista, hanno sempre morso l’Islam che, nel tentativo di eguagliarla con complessi architettonici di egual misura, ha tentato di impossessarsi di un’identità fortemente restìa alle trasformazioni. Mimar Sinan, il più grande architetto islamico autore della Moschea del Solimano, morì con il grande rimpianto di non essere riuscito a costruire una moschea che reggesse il confronto. Santa Sofia non potrà mai essere concettualmente moschea perché tutto in essa contribuisce a renderla eterna chiesa. La pianta e la prospettiva, l’immagine concettuale e quella visiva, la percezione dello spazio attraverso la sovrapposizione interferente degli archi, il superamento della massa classica e del concetto di parete, la frammentazione dei punti di vista ricondotti all’unità, in una esperienza che non esaurisce il senso dell’enigma e del mistero in una amplificazione della luce che pare autogenerarsi all’interno della costruzione. Santa Sofia è uno spazio qualificato dalla luce, e la mistica della luce, tanto cara alle querelle teologico-religiose a Bisanzio, racchiude il senso di quel Dio cristiano che la riduzione dell’edificio in moschea non potrà eliminare. Attendiamo dunque la prima preghiera islamica e la cerimonia di inaugurazione della moschea prevista il 24 luglio, sotto lo sguardo sfacciatamente dominante della Madonna di Platytera posizionata nel catino absidale, sotto la protezione della Theotokos (Madre di Dio) che abbraccia il mondo.