ECONOMIA

RIPARTIRE DAL CAPITALE UMANO

Benedetta Cosmi

“Finanziamo le ‘assunzioni strategiche’ anche per i servizi pubblici, che come abbiamo visto, caratterizzano l’ossatura del bene comune”

Nel Paese si sta risvegliando un orgoglio sopito, nei confronti dell’istruzione, della partecipazione alle sorti pubbliche, per il quale lo strumento predisposto, le tasse, non basterebbe, da solo, a scuotere lo stesso sentiment. Dobbiamo ripartire dai soggetti del ‘Capitale umano’, spesso sacrificati nelle manovre di bilancio. Solo ‘il lavoro’ restituirà fiducia alle famiglie. Di conseguenza ai consumatori, e questi alle aziende, e loro ai giovani che inviano il curriculum attualmente senza risposte, e agli altri ragazzi che li guardano, alla ricerca di un orientamento. Quale strada seguire, considerando che nessuna di quelle precedenti sembra salvarsi dal rischio del vicolo cieco? Il calo delle immatricolazioni universitarie non nasconde solo un problema economico nel sostenere le spese, ma a maggior ragione non sono più sostenibili quelle che si sono manifestate non proficue ai fini del futuro dei singoli e della collettività. No, l’iscrizione non spaventerebbe né le banche, né gli studenti, se ‘alla fine del percorso di studi’, le porte non fossero chiuse. È stato il venir meno di una condizione di occupabilità, e soprattutto l’assenza di domanda di competenze, ad aver allentato il rapporto, dopo il 2008. L’editoria docet, i giornali sono stati ingessati dentro i contratti di solidarietà.  Sul capitale umano, formazione, investimento, innovazione, è tornato anche Ferruccio de Bortoli, citando, in un suo articolo, anche l’apprendistato. Oggettivamente, quello di secondo livello non è lo strumento economico più vantaggioso. Bisogna saperlo, bisogna ammetterlo. È già un contratto con una struttura a tempo indeterminato, che è già stato utilizzato da chi prima assumeva. Un caso per tutti, che al mio modo di vedere le cose rappresenta un insuccesso: i revisori contabili, gli ingegneri, profili che non avevano assolutamente problemi a trovare impiego. In più, l’apprendistato richiede l’onere di organizzare la formazione. Se fosse rivolto per creare – ad esempio – operai specializzati avrebbe senso, ma se un’azienda (non solo l’industria) sapesse pagare, avrebbe già assunto, immagino. Il servizio civile è invece un’ambizione di una società più umana, ma non sia mai un ripiego che offende i contratti, le competenze dei giovani, per quello vi sono molte figure professionali che un Paese come il nostro dovrebbe saper valorizzare, cominciando così: pagandole, versando loro i contributi. Se si pensa che i dottorandi, gli assegnisti di ricerca, sono un altro buco nell’avvenire previdenziale, abbiamo una parziale idea delle sabbie mobili su cui stiamo costruendo il futuro. Non vorrei ci trovassimo nel paradosso per cui l’imprenditore ha più capacità di fare gesti di volontariato personale di quanto non abbia la sua azienda voglia di mantenere un vivace capitale umano all’interno dei processi produttivi. Assenza di rinnovi: un terzo di assunzioni rispetto agli espulsi dal mercato del lavoro costano in termini di fiducia. Navigator che non allocano, completano il quadro. Tutta altra cosa la fattispecie di apprendistato di primo livello. Questo sì, legato alle fabbriche e anche all’artigianato.

Segmento che potrebbe portare allo schema del sistema duale, ma servirebbe a favorire la mobilità. Riguarderebbe studenti di scuole superiori. E se la domanda è per esempio in Veneto, ma l’offerta in Sicilia, possiamo immaginare un incontro? Forse sì, sostenendo i costi dell’alloggio, che oggi sono nettamente maggiori rispetto ai costi delle rette. Nel diritto allo studio pesa maggiormente il cosiddetto ‘indotto’. Spesso disorganizzato e senza servizi messi a sistema paese. E del resto abbiamo la più lunga permanenza, nel nucleo familiare, dei giovani, d’Europa. Altrove ci sono anche i sistemi da College che accelerano. Immagino la preoccupazione dei genitori che ci stanno leggendo, e, magari in futuro, anche di chi scrive. Ma solo garantendo stesse condizioni le statistiche hanno valore comparativo, altrimenti cosa si sta misurando? Non è perché costa, la scuola italiana, se si abbandona. Non certo per l’università, una delle più economiche, o per i libri di testo. Costa entrare  – si pensi agli studi ‘pre test’ di medicina – perché chi può ha studiato, e hanno pagato le famiglie, mentre chi non può è tagliato fuori per sempre. E ancora il numero chiuso, il numero di pre iscrizioni, in più città, per aumentare le possibilità. Quando si parla di Diritto allo studio bisogna che ci ricordiamo come è cambiato il mondo rispetto agli anni settanta, altrimenti si propongono medicine non più adatte ai nuovi sintomi della malattia. Costa, viverci vicino, non ci sono agevolazioni. Costa soprattutto quel rimanere incastrati negli stage/master e tagli aziendali. Una proposta su tutte: finanziamo le ‘assunzioni strategiche’, anche per i servizi pubblici, che, come abbiamo visto, caratterizzano l’ossatura del bene comune. Le donazioni o beneficienze perché non devono essere utilizzabili per pagare il capitale umano? Si può ristrutturare il Colosseo, ma non si può sostenere la busta paga del custode, magari social, che ne garantisce una estensione degli orari? Lo stipendio dei bibliotecari? I compensi degli artisti e di tutte le altre importanti figure del mondo del lavoro che rendono unico un teatro? E ce ne siamo accorti, durante la permanenza a casa, di quanto ci mancasse vivere insieme a loro gli spettacoli culturali. Figure professionali che hanno pagato, senza tutele, molti di loro, un costo altissimo durante l’emergenza. Più brevemente, le borse sembrano vuote senza i portafogli per ‘le assunzioni’. Serve più personale, a cominciare dai servizi per il welfare d’infanzia. L’appello lanciato da più parti in queste settimane, se portasse somme dei privati in questa area e servizi capillari, diffusi, normalizzerebbe anche il restante mondo del lavoro, facilitando l’assunzione delle donne, di giovani. Libereremmo energie, l’alta disoccupazione nelle materie umanistiche si assottiglierebbe, e l’Università non apparirebbe più il parcheggio di capitale umano, come i capolavori invisibili relegati nei sotterranei dei musei. Il patrimonio culturale segreto.