LE INTERVISTE

YVES MONTAND

Beppe Valperga

Lavoravo, andavo al cinema, sognavo, mi piaceva Gary Cooper.

Poco più di trent’anni fa, il 9 novembre 1991 a Seulis, moriva di un malore Yves Montand: stava girando il film “IPS – L’isola dei pachidermi” e aveva appena nuotato nelle acque gelide di un fiume. Giunto a riva, si era improvvisamente sentito male. Aveva settant’anni. Il compianto fu enorme in Francia e all’estero. Mitterand disse “un grande artista entrato nella storia dello spettacolo della nostra epoca”. In Italia La Repubblica titolò “Adieu Montand”. Dunque era doveroso intervistarlo, in quanto Montand è entrato nel mito che, non di rado, può finire come il “corpo santo” di certe processioni che rimane muto e incompreso. Per farlo ho pensato di rivolgermi a un’amica sensitiva, che rimane rigorosamente anonima, così abbiamo cercato di aprire un contatto. Nulla, nessuna risposta. Del resto si sa che Montand era signorilmente riservato. Che fare? Ho proposto all’amica una gita in Toscana, alla ricerca di ispirazioni e delle origini del grandissimo interprete di “Les feuilles mortes”, “Le temps des cerises”, “Chant des partisans”, tanto per citare qualche titolo indimenticabile. Lei ha accettato subito senza esitazioni e così siamo partiti e felicemente giunti a Monsummano in una solare tarda mattinata, freddina ma bella. Ci siamo celermente trasferiti a Montecatini alta, in un accogliente locale e, seduti comodi e con buoni generi di conforto, discorrendo serenamente e ben intenzionati a goderci la gita, dissi “Qui nacque Montand e di qui partì all’età di tre anni”. Come un soffio, in tono sommesso, una voce mi rimbeccò: “Non è vero, avevo due anni, sono partito con tutta la mia famiglia, sono nato a Monsummano alto il 13 ottobre 1921, ma perdono la svista, Beppe, so che hai lavorato anche qui e a Pistoia, possiamo parlare con il tu, so bene che la Toscana ti piace come piaceva a me”. Stupefatto lo guardo, è proprio lui, seduto davanti a me. La mia amica è immobile.

  • Grazie Yves, come fai a sapere di me, non ci siamo mai incontrati, né a Roma né a Parigi.

MONTAND – A parte il fatto che qui è possibile sapere tutto, di recente è arrivato Piero Livi, ci siamo incontrati e, tra l’altro, mi ha parlato di te.

  • Grazie a Piero Livi (regista morto a Roma il 2 settembre 2015). Pensavo fosse un tuo parente, il tuo nome era Ivo Livi.

MONTAND – Mi sono sempre sentito legato a Monsummano anche se non è nei miei ricordi. Ero troppo piccolo quando sono partito dall’Italia, ripeto: avevo due anni.

  • Proprio non hai ricordi?

MONTAND – Quanto raccontavano mio padre e mia madre. Costretti a emigrare a causa delle persecuzioni dei fascisti. Mio padre ha incassato di tutto, le sevizie, le bastonate, fino all’olio di ricino che gli facevano ingoiare a forza. Mio padre Giovanni Livi fu tra i primi iscritti, a Monsummano, dell’appena nato Partito Comunista. Gli squadristi fascisti locali, guidati da suo cognato, come ultima aggressione, gli incendiarono il suo laboratorio di scope, mandandolo in rovina. Decise di emigrare, non poteva restare. Andò a Marsiglia con difficoltà, trovò lavoro in un oleificio. Pochi mesi dopo lo raggiungemmo, noi, la sua famiglia. Tutti insieme.

  • Sei cresciuto a Marsiglia?

MONTAND – Mais oui! Da piccolo giocavo con gli altri bambini in strada, sempre fuori. Mia madre mi chiamava dalla finestra quando dovevo rientrare. Ivo monta, mi gridava, è poi diventato il mio nome d’arte: Yves Montand. Il nome vero. Sognavo l’America, dove avremmo voluto andare, ma il visto non arrivò mai. A undici anni cominciai a lavorare in un pastificio. Operaio, garzone. Intanto crescevo francese.

  • E poi?

MONTAND – A diciassette anni ero alto un metro e ottanta. Poi arrivai a uno e ottantasette. La vita degli emigrati, tanti, non era facile. Lavoravo, andavo al cinema, sognavo, mi piaceva Gary Cooper.

  • Quando è iniziata la tua carriera?

MONTAND – Per conto mio cantavo. Nel 1937 ho partecipato a un concorso nel mio quartiere a Marsiglia facendo le imitazioni di Maurice Chevalier, Charles Trenet e Paperino. Dopo andai a cantare nei bistrot di Marsiglia, mi pagavo le sigarette. Il mio nome d’arte era Yves Montand e con questo nome vinsi il concorso organizzato dalla rivista Artistica. Dai Café Chantant passai al Teatro Odeon e, nel 1939, venni ingaggiato come vedette anglaise per uno spettacolo all’Alcazar, all’epoca un locale di prestigio. Fu un successo.

  • Però arrivò la guerra.

MONTAND – Fermò tutto. Dovetti lavorare per i Chantiers de Provence. Nel 1941 feci una esibizione all’Odeon. Tornai a lavorare nei Chantiers de jeunesse. Nel 1943 un contratto a Parigi. Riprendeva in meglio la carriera.

  • Ma la guerra c’era e c’erano l’occupazione e rastrellamenti…

MONTAND – Parigi era un ottimo posto per nascondersi, mi esibivo a Montmartre e Montparnasse.

  • E hai avuto la fortuna di essere notato da Edith Piaf.

MONTAND – Vero, un incontro importante. Ci siamo amati. Ho cominciato a fare cinema. Con lei, nel film “Etoile sans lumière”, era il 1946.

  • Poi Edith Piaf, la divina, ti ha lasciato.

MONTAND – È andata così.

  • La tua carriera è andata avanti, avevi avuto una grandissima maestra.

MONTAND – Sì, ho fatto molti film, ho cantato bellissime canzoni, ho avuto successo.

  • Nel 1953 hai interpretato “Vite vendute” di Henri Georges Clouzot, un vero capolavoro, un trionfo. Pochi anni prima, nel 1949, avevi incontrato Simone Signoret, vi siete sposati il 22 dicembre 1950, un matrimonio che è durato fino al 1985 quando casco d’oro è morta.

MONTAND – Sì.

  • Un grande amore, non hai mai divorziato.

MONTAND – Sì.

  • Questo non ti ha impedito di avere rapporti anche importanti, come con Marylin Monroe, tanto per fare un esempio.

MONTAND – Sì.

  • Le cronache parlavano di te come un conquistatore di cuori femminili ovunque, tipo una donna in ogni porto, spargendo il sospetto dell’esistenza di figli illegittimi…

MONTAND – Parole, solo parole. Nel 1987 ho sposato Carole Amiel e nel 1988 è nato mio figlio Valentin.

  • Sei stato un uomo d’amore, di passione, un grande artista e non solo, un uomo di impegno politico, un pacifista e, in totale discrezione, un generoso benefattore. A dirla in breve, ti sei sempre sentito francese, con innegabile stile.

MONTAND – È vero, però negli Stati Uniti mi accadde di firmare un autografo come “il francese di Monsummano”. Ho voluto canzoni con un significato, così anche al cinema. Sono stato tenace, non trascurando le mie origini. E non dimenticarlo: ho cantato Bella ciao. Un successo.

Yves Montand accenna un sorriso, si accende una sigaretta, ci lascia sulle note di “Tu vois, je n’ai pas oublié”.