SPORT

Quando Arpino trasformò il calcio in letteratura

Darwin Pastorin

E ad Arpino dobbiamo il nostro romanzo più originale e intenso ‘dentro’ il calcio: ‘Azzurro tenebra’ (1977).
Il calcio è tante cose, lo sappiamo: sport popolare, passione e fanatismo, “un elemento fondamentale della cultura contemporanea”, come intuì Thomas Stearns Eliot, nostalgia del dribbling e invasione del marketing, trasmissioni quotidiane, “metafora della vita” (Jean-Paul Sartre) e “recupero settimanale dell’infanzia” (Javier Marías), miseria e nobiltà, prodezza e inganno. Il calcio è anche letteratura: grazie, soprattutto, a Giovanni Arpino, lo scrittore (premio Strega nel 1964 con ‘L’ombra delle colline’) che portò la narrazione del pallone da cronaca di seconda mano a riconosciuta poetica. Accadde nel 1969 quando, sul quotidiano La Stampa, l’autore di ‘La suora giovane’ cominciò ad andare per stadi e tribune stampa, trasformando il football e i suoi protagonisti in puro e folgorante racconto, tra ode e rimprovero, campione e gregario, ferro e polvere. Fu così che, grazie a quel superbo, “impavido indagatore del presente” (come sancì Guido Piovene) ci ritrovammo, noi cronisti, noi ‘bracconieri di tipi e personaggi’, a essere, finalmente, un ‘esercito con una patria’, connotati da rispetto e appartenenza, non più smarriti e sbandati. C’era l’immenso Gianni Brera, è vero: ma il grande Giuàn era un giornalista sportivo a tutti gli effetti, certo il più bravo di tutti, la penna che inventò ‘Rombo di Tuono’ e ‘Abatino’. Ma fu Arpino, scrittore celebrato, a sdoganare, una volta per sempre, la scrittura sportiva, dando continuità alle incursioni sul prato verde delle lettere allo scriba corsaro Pier Paolo Pasolini – “Il gioco del football è un ‘sistema di segni’: è, cioè, una lingua, sia pure non verbale” – e ai versi di Umberto Saba: “Il portiere caduto alla difesa / ultima vana, contro terra cela / la faccia, a non veder l’amata luce. / Il compagno in ginocchio che l’induce, / con parole e con mano, a rilevarsi, / scopre pieni di lacrime i suoi occhi”.

E ad Arpino dobbiamo il nostro romanzo più originale e intenso ‘dentro’ il calcio: ‘Azzurro tenebra’ (1977), ambientato nei giorni della disastrosa spedizione della nazionale italiana ai mondiali in Germania nel ‘74. Mi disse di quella sua opera: “Io mi considero uno scrittore non italiano, che usa la propria lingua sempre meno. Azzurro tenebra è un libro intraducibile”. Non potrò mai dimenticare il Mundial dell’82 in Spagna (ero un giovane inviato speciale di Tuttosport): sul campo l’avventura omerica di Enzo Bearzot e dei suoi ragazzi, in tribuna stampa Giovanni Arpino, Gianni Brera, Mario Soldati e Oreste del Buono a illustrare quei gol, quelle parate, quegli stupori in indimenticabili articoli Sì, aveva ragione Luis Sepúlveda: “Raccontare è resistere”. E Arpino rappresentò narrazione e resistenza, il nostro pane in tavola, la nostra luce bianca. E grazie, caro Arp, per averci fatto conoscere, con Nico Orengo, quell’altro, stupendo picaro della letteratura (anche) calcistica: Osvaldo Soriano: “Sono così le storie di calcio: risate e pianti, pene ed esaltazioni”. Arpino (presente in libreria con ‘Lettere scontrose’, 52 lettere e una risposta, postfazione di Bruno Quaranta, minimum fax) è ancora qui, con il suo sguardo attento, la sua ironia, il suo saper maneggiare gli aggettivi con la stessa abilità di un Borges, a indicarci la strada, a farci da bussola: “Parlar di football è bello e talora di spirito in compagnia, al bar. Scrivere è più ostico, la materia verbale è cruda, l’invenzione metaforica rischia sempre di travisare il gesto agonistico”. Giovanni sapeva come dribblare, con una finta degna di un Garrincha o di un Meroni, la banalità, la frase fatta, il verbo usurato. Sapeva come andare a rete con una frase ficcante, abbagliante, stilisticamente perfetta. Era un autentico fuoriclasse della parola: e noi, umili allievi, eravamo felice di stare all’ombra di quel gigante. E sul nostro taccuino troviamo, in evidenza, uno degli incipit più luminosi della nostra letteratura: “La vita o è stile o è errore”. Non serve aggiungere altro.