SOCIETA’

MORTA UNA RE-PUTAZIONE SE NE FA UN’ALTRA (LA SOCIAL RE-PUTATION)

Valerio Saffirio

Come si dovrà trattare la libertà di parola nella contemporaneità della trasformazione digitale?

Oggi Biden si insedia alla Casa Bianca come nuovo Presidente della nazione ancora oggi più potente al mondo: gli Stati Uniti d’America. Fa una certa impressione soltanto a scriverlo. E il buon Trump fa le valigie (forse). E si beccherà pure il secondo impeachment della sua carriera, unico in tal senso nella storia di quella nazione, per “incitamento all’insurrezione”, a causa delle sue esternazioni veicolate con forza e continuità principalmente sui suoi canali social.  “La libertà d’espressione è sotto assedio come mai prima d’ora” dichiara The Donald amplificando un dibattito in realtà in atto da tempo anche se non con questa enfasi sul tema se sia o meno lecito per i proprietari delle grandi piattaforme social (Facebook, Twitter tra le prime ma in generale tutti i colossi del web) chiudere a piacere i canali degli utenti. E qui il primo tema: come si dovrà trattare la libertà di parola nella contemporaneità della trasformazione digitale? E’ davvero questo che fa paura all’Europa e ai governanti di tutto il mondo (libero) o piuttosto solo ora si stanno accorgendo che il Potere è passato – ormai da tempo – ai Big Tech? Fino a prova contraria si tratta di aziende private che per loro natura si danno le regole che vogliono per raggiungere i loro obiettivi di mercato come qualunque altra società al mondo. Quindi perché cercare di limitarne l’azione? Provate a inviare un articolo ad un quotidiano nazionale qualunque sostenendo che uno dei nostri eccellenti governanti ha sbagliato tutto nell’ultimo periodo. Se non ve lo pubblicano che fate? Vi indignate? Cercate in tutti i modi di farlo chiudere? Alla fine del 2019 l’Unione Europea ha lavorato su un pacchetto di norme – i Digital Services Act – per regolamentare un nuovo mercato unico digitale per i propri interessi economici e per i cosiddetti diritti fondamentali dei cittadini con un iter legislativo che potrebbe durare anni. Se si analizza questo percorso sulla base della legge di mercato (che a mio parere vale sempre) sembrerebbe un’azione più dettata dalla paura di venire sopraffatti da capacità e velocità delle aziende americane rispetto alla lentezza europea (e italiana visto l’andamento pachidermico della nostra agenda digitale). Perché allora non promuovere una vera trasformazione digitale europea in grado di veicolare meglio i concetti di cura delle relazioni, parità dei diritti, di etica e rispetto per per le persone, di sensibilità verso la cultura e la sostenibilità, principi assai cari al vecchio continente? Perché non siamo liberi di ottenere risorse e opportunità come gli imprenditori americani (accesso al credito smart, promozione della cultura dei Venture Capital e dei Business Angels, tassazioni agevolate) ma piuttosto cerchiamo come  soluzione la limitazione alla libera impresa? Tutto questo facendo finta che non esista l’Asia, con una Cina che sta attraversando un periodo di espansione tecnologica di cui solo una minima parte risulta visibile a noi. Cara vecchia ipocrita Europa.

E qui il secondo tema su cui riflettere: il cambiamento epocale del senso generale della Reputazione grazie (o a causa) della trasformazione digitale. La reputazione esprime sia la stima o il favore che si concede a qualcuno sia la stima e la considerazione in cui si è tenuti da altri. “Il modo per ottenere una buona reputazione sta nell’agire per essere ciò che desideri apparire”. La frase non è di Jack Dorsey, CEO di Twitter, ma di Socrate. Ma oggi la reputazione amplificata, esibita e veicolata dai social media, arriva in un millisecondo a condizionare i comportamenti collettivi. E questo vale per imprese, Istituzioni e persone. Quindi Trump ha perso le elezioni americane per la sua pessima reputazione social? In realtà aveva vinto nel 2016 grazie a questa potente macchina di consenso contro ogni previsione. E secondo più di un’agenzia di Reputation Marketing (società che analizzano con algoritmi specifici la reputazione digitale di aziende e persone) Trump era destinato a vincere per la seconda volta la competizione più importante al mondo proprio perché ha usato i social per quello che sono, per come vengono fruiti, per chi li fruisce. Fino a quando non ha esagerato sottostimando proprio uno dei principi su cui ha fondato le sue fortune: la libera impresa. E i proprietari delle piattaforme sotto pressione dei loro investitori lo hanno bannato agendo secondo coscienza individuale diventata velocemente collettiva: prima Twitter (88 m.oni di followers di Trump)poi Facebook (35 m.oni di followers) a seguire Instagram (24 m.oni di followers) fino alle piattaforme Google, Apple e Amazon che hanno escluso all’unisono Parler, social e micro-blogger di estrema destra grande sostenitore del Tycoon. Prima hanno iniziato rimuovendo i suoi post poi hanno chiuso gli account. “Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro.” Sir Charlie Chaplin. Frase memorabile ma desueta. Ciò che gli altri pensano di Trump (di noi in fondo) oggi può fare oscillare Wall Street o assaltare Capitol Hill. Ma quello che va notato e che è successo negli USA è che non è stata una legge federale a far cessare i cinguettii ma i board dei Big Tech. In conclusione? Ognuno la pensi come vuole. Il mondo, così come Il Mondo di Pannunzio, è ancora un posto libero, perlopiù. Un mondo unico, fisico e digitale, dove le relazioni si faranno ancora di persona ma sempre più anche su social media privati. Ne arriveranno di nuovi (le grandi piattaforme di gaming saranno i nuovi social), nuovi governi si formeranno e forse con nuovi clown. La reputazione conterà più della coscienza. Ma avere una buona coscienza sarà sempre la base per una buona reputazione.