POLITICA

L’AMERICA MAI COSI’ BRUTTA

Guido Barosio

L’America terra di contrasti ha sempre proposto azioni e reazioni parimenti intense, c’era il dramma ma c’è sempre stato l’antidoto

La notte del primo dibattito elettorale a stelle e strisce ci ha proposto due signori non più giovani nell’azzuffarsi di fronte al mondo intero. Se le sono date di santa ragione, Trump e Biden, ma non come in quello scintillante duello che si sarebbe meritata la più ricca ed influente democrazia del mondo. Abbiamo assistito ad una lite da ballatoio, a una querelle da parcheggio in periferia. Ad osservarli abbassando il volume (esercizio in alcuni momenti salvifico), il giudizio estetico scendeva come una mannaia. Il rissoso proprietario di uno stazzonato saloon, con tanto di capelli improbabili (mai troppo commentati, un vero attentato a generazioni di onesti parrucchieri), smorfiava il suo volto minaccioso. Di fronte l’impenetrabilità di Biden sembrava il frutto di lifting e cerone somministrati con grande generosità, lo sguardo perso nel vuoto, la consapevolezza solo apparente di trovarsi in quel luogo. I contenuti del confronto hanno alternato frasi mandate a memoria (forse vergate da altrettanto improbabili spin doctor) a battutacce da marciapiede, tutto banalizzato, tutto prevedibile, persino noioso. E allora pensi che purtroppo l’America che hai tanto amato non c’è più, che il Covid li azzanna perché sono diventati incapaci, che Cina e Russia li prendono in giro senza che neanche se ne accorgano. L’America che hai tanto amato aveva Kennedy, Clinton, Obama, persino Reagan, che in confronto a Trump sembra il principe di Edinburgo. Poi – ma stanno invecchiando tutti o sono morti – ti vengono in mente Springsteen, Mohamed Alì, Bob Dylan, gli astronauti che sono andati sulla Luna, Hemingway, Philiph Roth, e l’elenco potrebbe essere infinito. Ci sono poche nazioni che ho amato come gli USA, dall’imprinting dei western adolescenziali ai tanti viaggi fatti e goduti. Ma in questa surreale notte a stelle e strisce ho temuto, temuto per davvero, che qualcosa sia finito per sempre. L’America terra di contrasti ha sempre proposto azioni e reazioni parimenti intense, c’era il dramma ma c’è sempre stato l’antidoto. Si sapeva sempre da che parte stare, contro chi stare. C’era, più di ogni altra cosa, il senso del grande. Laggiù accadevano le cose che contano e il mondo, dopo, comunque dopo, imparava. Questo per oltre un secolo. Questo, particolarmente, dagli Anni Venti del XX secolo in avanti. Oggi, invece, arriva il ‘brutto’ e poco o nulla si oppone. Ma, ed è ancora più raggelante, arriva il banale, l’avanspettacolo di terz’ordine.

Sono banali e scadenti anche i ‘vilain’, mentre la nazione vive rigurgiti di razzismo preoccupanti, mentre l’epidemia paralizza le attività e si contano più morti che per la guerra in Vietnam, mentre l’Europa non guarda più a sinistra della cartina geografica per cercare protezione o almeno conforto, mentre negli scenari mediorientali se la giocano altri: la Russia, la Turchia, il terrorismo islamico, persino qualche stato europeo come la Francia. Mi viene da pensare che in questi primi vent’anni del millennio, gli USA non sono stati un nemico interessante neppure per i terroristi, che, dopo, l’11 settembre, hanno trovato più attraenti altre mete. Da queste elezioni americane possiamo attenderci solo il peggio, indipendentemente da chi vincerà. Ed è paradossale. Anche se penso che il mummificato Biden – il peggiore candidato democratico da quando si vota – non possa proprio farcela. Un signore che sembra pronto per portare il cane a fare la passeggiata non può competere contro un bullo di periferia. Uno di quelli che, quando sa di poter perdere, ti piazza una bella testata senza farsi tanti problemi. Mi sono addormentato male e mi sono svegliato malissimo. Però, forse, è solo un brutto vento ostinato e cattivo. Forse è solo un problema generazionale. Forse i giovani americani che scriveranno il futuro sono già nati, ora sono ancora troppo giovani, ma arriveranno anche se non li vediamo. E allora ci sarà di nuovo il rock, ci sarà di nuovo un presidente autorevole ed elegante che ci farà sognare, e magari non lo ammazzeranno, e magari al prossimo giro vincerà lui. E quella bandiera così bella che sembra concepita da un pittore, ma che è nata 250 anni fa, tornerà ad essere un simbolo che offre grandi emozioni. Perché l’abbiamo vista dietro Kennedy a Berlino, sulle spalle di Carl Lewis alle Olimpiadi, sventolare nel concerto del Boss a Milano. Ho pensato a tutto questo e ho deciso che il secondo dibattito da saloon sgangherato proprio non me lo vedo. E forse non mi vedo neanche la notte elettorale. Ho musica e film ‘giusti’ per resistere fino al 2024. Perché noi che amiamo l’America sappiamo sognare e sappiamo aspettare. E non indugiano a spegnere il televisore.