LE INTERVISTE

CHIARA SOLDATI, VINO E CULTURA PER IL NOSTRO FUTURO

Maria Luisa Alberico

Lo ricordo da piccolina a Tellaro nel corso dei pranzi di famiglia, straordinari per ricchezza di profumi, cibi e vini genuini, autentici.” 

Nel nome qualche volta si legge una storia, uno stile, una rotta. E Chiara Soldati, nipote  di Mario Soldati, personaggio emblematico della cultura italiana del XX secolo, del proprio nome, e di quanto significa, ne è ben consapevole. Significativamente la sua attività professionale, e il suo impegno civile, l’hanno portata verso i medesimi orizzonti, anche se con attività differenti. Donna del vino a tutto tondo – la sua azienda, La Scolca, ha festeggiato i 100 anni ed è guidata da quattro generazioni dalla medesima famiglia – dal settembre 2019 ha assunto la presidenza del Centro Pannunzio, fondato nel 1968 da Mario Soldati con Pier Franco Quaglieni ed Arrigo Olivetti.

Chiara Soldati, per una famiglia come la Sua, impegnata nel mondo del vino, cosa rappresenta l’eredità di un personaggio che ha insegnato per primo agli italiani ad amare i prodotti del territorio?

L’esperienza della famiglia è particolare: la Scolca fu acquistata come tenuta di caccia e vacanza, la passione per il vino condusse alla volontà di produrlo come consumo personale, in seguito da  hobby divenne opportunità lavorativa. Componenti transgenerazionali nella nostra azienda sono da sempre la passione e la curiosità, che furono i tratti della personalità di Mario Soldati, fautore della corrispondenza territoriale tra cultura, cibo e vino da intendersi non solo come aggregazione conviviale, ma valore che trasmette la storia delle nostre terre e dei suoi protagonisti. Come suggerisce il nostro nome un po’ profetico, siamo guerrieri  e controcorrente, così come Mario fu antesignano nel modo di affrontare cibo e vino. Fu talmente moderno nell’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione, i suoi viaggi e la TV in primo luogo, da non essere appieno compreso. Lo stesso vale per le nostre scelte di cantina ante litteram: i vini bianchi in terra di rossi, spumanti solo da monovitigno  autoctono e scelta di una comunicazione nuova, emozionale, che spazia in un orizzonte culturale ampio e profondo. Scelte nuove e coraggio delle scelte”.

Vino e cultura rappresentano due valori paralleli?

Vino è cultura: il nostro futuro sta alle nostre spalle, non si può prescindere da tutta una tradizione precedente: occorre rispettare e innovare. Del resto quando andiamo a proporre il nostro vino in contesti internazionali non ci poniamo come conquistatori, ma ascoltiamo e comprendiamo il bagaglio culturale delle singole realtà. Questo periodo particolarmente difficile ha messo in evidenza differenze culturali enormi nel modo di affrontare questa calamità. Come hanno reagito i russi? Con  modalità che mettono  in luce il retaggio di ordine, disciplina, la capacità resiliente di superare le problematiche ma anche la sensibilità come nei grandi romanzi di Tolstoj o Dostoevskij; i tedeschi: lucidi ed efficienti; gli anglosassoni hanno dimostrato una attitudine diversa dalla nostra cultura mediterranea o dell’est Europa e sono ricorsi alla scienza, efficienza e rispetto delle regole. Gli italiani sono stati straordinari, reazioni creative, i canti e le musiche sui balconi. Del resto il nostro Paese ha radici antichissime, il nostro Rinascimento, Dante, una tradizione culturale immensa che permette di non appiattirsi,  di avere libertà di opinioni e di crescita e di ricavare il nuovo dal passato. Gian Maria Buccellati, prestigioso orafo, mi confidava che le ispirazioni migliori vengono dal saper vedere con occhi nuovi il passato, l’arte, visitare una mostra è trarre spunto per un nuovo gioiello. Così è per la creazione di una musica, di un libro, e così è per il vino che è sintesi di emozione, di benessere e affonda in una antichissima  tradizione”.

Quei racconti sono ancora attuali? Quali differenze coglie oggi nel mondo della proposta e della comunicazione del vino?

Mario è stato geniale nell’abbinare al racconto le immagini dei produttori, di chi vive la terra coltivando, del vignaiolo che affronta rischi e difficoltà, nel rispetto dell’ambiente, ciò che dà identità. Nei racconti del vino di Soldati c’è il terroir: così come nel vino trentino c’è mineralità, nel vino siciliano il calore, il sole e nei nostri vini, al confine della Liguria, tra colline e mare, la salinità. Mario prediligeva le cantine in cui emergesse la personalità del produttore, il vino artigianale, ossia fatto con arte. Così come nei suoi romanzi scrutava nei personaggi, disegnava come un  affresco gli ambienti, così come nel suo parlare andava in profondità, mai superficiale, assaporando il dettaglio, allo stesso modo assaporava il vino interessando il suo lettore.  L’attualità della sua proposta è aver fatto fare nei suoi libri viaggi straordinari al lettore. Nel mio volume ‘Le parole del vino’, ho considerato il vino  come un messaggio nella bottiglia, comprensibile da tutte le lingue, che  ci racconta di qualcosa che è lontano, ma nel frattempo anche un aggregante, condivisibile anche se non si parla quella lingua. L’efficacia comunicativa è pratica empatica, come ha insegnato Soldati, ed è importante cogliere l’essenza del messaggio. I vini provengono da tutto il mondo, ma in Italia abbiamo un bagaglio di vini autoctoni ciascuno con sfumature e racconti, rappresentano  le nostre origini e la nostra storia. Rendere attuale la tradizione è oggi  la sfida”.

Che ricordo ha Chiara di Mario Soldati?

Lo ricordo da piccolina a Tellaro nel corso dei pranzi di famiglia straordinari per ricchezza di profumi , cibi e vini genuini, autentici.  In incontri ulteriori da adolescente mi colpiva la sua stupefacente energia, la voglia di fare, i progetti e la vitalità contrapposti, negli anni più tardi, ad un fisico non corrispondente a quella volontà di pensiero e progettualità. Ricordo l’occhio sempre vivace di chi voleva fare ed era limitato, animato da una costante voglia di indagare. Il suo augurio, in una delle ultime nostre conversazioni, quello di non essere mai stanca di scoprire, di ricercare, così come augurava nel ‘72 in ‘Vino al vino’ ai cugini di mantenere il cuore artigianale  e la passione, un augurio confermato e rispettato in tutta la nostra produzione”.

Cosa si può fare oggi per valorizzare al meglio la sua figura? Mario Soldati è un nostro contemporaneo?

Uno speciale ringraziamento  personale e della mia famiglia va al professor Quaglieni, interprete de il Mondo di Pannunzio e custode della memoria di Mario. Mario Soldati è figura estremamente moderna. Per valorizzarne l’eredità morale e culturale avevo programmato per lo scorso marzo, prima del blocco delle attività, di proporre nei licei la sua figura e la sua modernità, per non perdere questo patrimonio e rendere avvicinabile ai giovani la sua libertà intellettuale in un mondo in cui prevale il rischio dell’omologazione culturale. Il contradditorio costruttivo  e rispettoso è alla base della libertà, dell’evoluzione culturale e sociale. Oggi vedo con preoccupazione nei miei viaggi all’estero come i giovani vestano, mangino, si divertano, in modo uguale. I giovani devono imparare  il coraggio dei loro pensieri autonomi. Ogni strumento è valido per farli riflettere, per essere contaminati anche dal loro passato, per non essere appunto omologati. lo dico come madre: responsabilizzarli e stimolarli alla curiosità. Occorre investire sui giovani che sono il nostro futuro: famiglia, scuola, istituzioni. Ricordo un altro insegnamento familiare: ogni giorno  è una piccola vita, ogni giorno va  messo a frutto, sapendo usare il tempo,  perché il tempo è il valore che reputo fondamentale”

Quali sono a suo avviso i caratteri distintivi che connotano l’impegno della donna e ne decretano il successo?

In questo periodo di chiusura e di estrema difficoltà per il nostro settore sono soddisfatta di essere stata guida per il mio team ricoprendo il ruolo di ‘traghettatrice’ verso nuove sfide.  Il ruolo della donna e le condizioni che decretano il suo successo sono proprie nella seria preparazione, nell’impegno costante, nella determinazione, ma anche  nella soddisfazione  non autocelebrativa per il lavoro svolto.  E la creatività: ho ideato e creato  in questi mesi un nuovo vino che a livello comunicativo e  gustativo intende rappresentare l’augurio per un nuovo ‘rinascimento’, benessere ed emozione  al di là del tecnicismo”

Quali sono le ragioni di un successo internazionale come il vostro?

Le motivazioni sono da ricercare nelle scelte rigorose di moderne pratiche enologiche , in scelte  ambientali che escludono l’uso di prodotti chimici, nell’applicazione di nuove tecnologie e cura del dettaglio. Mio padre iniziò l’esportazione già negli anni ‘70 puntando su rigore, rispetto del nostro territorio, senza cedere a lusinghe verso impianti di nuove varietà colturali. Ogni generazione ha introdotto qualcosa di nuovo, ma sempre nel rispetto di ciò che c’era prima. Come mia madre sostiene: ‘Grandi vini e grandi annate, ma altrettanto grandi generazioni che hanno saputo cogliere  il passaggio di testimone da conservare, migliorare e  tramandare in vista di nuovi successi’. Negli occhi di mio figlio diciottenne, che rappresenta la quinta generazione, leggo la curiosità di capire e l’umiltà di chi vuole continuare la nostra lunga tradizione”

Cosa significa per Lei essere Presidente del centro Pannunzio?

Sono orgogliosa della carica di presidente del Centro Pannunzio , come seconda donna dopo Alda Croce e come la più giovane presidente. Unitamente alla profonda cultura e alla dedizione del professor Quaglieni allo spirito del Centro, intendo operare nell’attivo scambio culturale. Purtroppo l’obbligata sospensione delle attività ha impedito per il momento di dedicarmi all’attuazione piena del mio programma, che prevede di attivare nuovi contatti in un ambito culturale ampio, per dare senso e attualizzazione al nostro futuro che affonda le radici nello studio del passato. Intendo ricreare l’atmosfera del caffe letterario con presenza di giovani, una dimensione democratica di apertura e coinvolgimento, riprendendo un pensiero alla base della filosofia del Centro Pannunzio: ”in un mondo in cui tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa e nessuno è libero”. Una sfida certamente costante, così come nel mio stile di lavoro e com’è nella tradizione della mia famiglia”