SOCIETA’

IL GIOCO È SOLO UN GIOCO?

Valerio Saffirio

Proviamo insieme a divertirci a ricostruire la storia più recente dei giochi fino ad arrivare ad oggi.

Scrivere questo articolo è stato un vero parto e il mio editore lo sa bene. La ragione è che il gioco è un affare serio. Serio e complicato. “Da che parte inizio?”. Questo è stato il problema. Il gioco è un bene ma in alcuni casi, quando diventa ludopatia, diventa un male. Il gioco è divertimento ma anche un business colossale, oggi più che mai. Il gioco è fantasia, ma anche logica, creatività, matematica, filosofia, psicologia. Il gioco rilassa ma impegna il nostro cervello in attività importanti se non fondamentali per la nostra crescita ed evoluzione. Quindi come fare ad affrontare un tema così ampio in poche battute? Accantono l’ansia e parto dall’inizio. Giocare fa parte della nostra vita. Da sempre. Dal Senet dell’antico Egitto (l’antenato del backgammon) al Go cinese, che pare abbia oltre tremila anni e che unisce strategia, filosofia e matematica con un numero di combinazioni pari al numero di particelle stimate in tutto l’universo, al gioco degli scacchi, nato in India intorno al VI secolo d.C. che combina capacità tattiche e strategiche. Da allora il gioco è entrato nelle nostre vite accompagnandoci in ogni momento, da bambini alla fase adulta. Perché il gioco è un bisogno primario, come il bisogno di cibo. Giocare ci aiuta nello sviluppo psicosociale, abilità sostenuta da un complesso meccanismo neurobiologico. Mentre giochiamo produciamo ossitocina, un ormone che aumenta socialità ed empatia, ma anche dopamina, l’ormone della ricompensa. In pratica, il nostro cervello ha bisogno di giocare, per farci sentire meglio, per distrarci, per crescere, per metterci alla prova. La neuroscienza ci dice che giocare fa proprio bene al nostro cervello aiutandolo a sviluppare e stimolare capacità fondamentali, che vanno ben oltre a quelle più intuitive come la creatività, le abilità logiche, il ‘problem solving’. Prova ne è lo sviluppo industriale che, negli ultimi anni, ha accompagnato la nascita di giochi che si sono adattati alla trasformazione tecnologica. Per raccontarvi l’evoluzione del gioco non basterebbe un volume (ma ce ne sono tanti in commercio e alcuni lo fanno in modo appassionante). Proviamo insieme a divertirci a ricostruire la storia più recente dei giochi fino ad arrivare ad oggi. Chi come me è nato negli anni ’60 (sono un baby boomers e ne sono felice) si ricorderà nomi come Lego, Meccano, l’Allegro Chirurgo, Monopoli. E poi ancora il cubo di Rubik (uscito nel lontano 1974), il Gioco degli Identikit, Forza 4 (evoluzione del più semplice Tris), Mastermind per decrittare il messaggio in codice creato dall’avversario, i Mikado Shanghai (tanta, tanta pazienza). Un elenco che potrebbe non finire mai. Poi, ad un certo punto, ci siamo ritrovati a giocare davanti ad uno schermo. Iniziava l’epoca dei videogiochi, giochi elettronici che potevano essere riprodotti su un dispositivo informatico (la storia dei videogiochi ci racconta che il primo computer progettato per giocare in realtà risale al 1952, con OXO, grazie al quale si poteva ingaggiare una partita di tris con uno schermo). Una scia di seduzione che ha iniziato un percorso destinato solo a crescere. È negli anni ’70 che i videogiochi iniziano a dominare il mercato di massa. Atari 2600 vi ricorda qualcosa? I più fortunati che lo possedevano passavano ore davanti allo schermo manovrando un ingombrante joystick impedendone il possesso agli amici (io ero tra quelli) che per ore si limitavano a guardare aspettano il proprio turno. Era l’epoca di Pong, un simulatore di ping-pong in bianco e nero che oggi ci farebbe sorridere. E che dire di Breakout realizzato nel 1976 (bisognava abbattere un muro di mattoncini colorati) o di Space Invaders del 1978 o di Packman (la vorace pallina gialla che mangiava tutto) prodotto dalla Namco nel 1980 o infine Super Mario Bros e Donkey Kong destinati al successo delle prime sale gioco in ogni parte del mondo? È più o meno in quel periodo che i giochi hanno iniziato ad assumere caratteristiche di design nuove, distintive, originali. Per un designer di giochi non era importante quello che accadeva sullo schermo e neanche dietro lo schermo (il codice). Ma ciò che succedeva nella testa del giocatore. Ed è in quegli anni che è avvenuta la grande trasformazione. Grazie a pochi visionari siamo passati da un medium passivo (la televisione) ad un medium attivo: lo schermo dei videogames. Prendete una moneta, infilatela nella fessura e…PRESS START.

Tutto è iniziato a quel punto, molto prima dei computer e dei cellulari. Come in ogni fase dell’evoluzione tecnologica il secondo salto in avanti di questo universo è arrivato nel 1989 quando è nata Nintendo (pensate, all’inizio produceva carte da gioco!). E in men che non si dica dai centri commerciali e dalle sale gioco questo mondo colorato, pervasivo e persuasivo si è spostato nelle nostre case. Nascono le console di gioco. Ed è iniziata la corsa al business, quello vero. Con macchine che oggi appaiono antidiluviane che hanno accelerato il mercato dei computer portatili: per convincere le famiglie americane a giocare Nintendo crea Famicom (poi evoluto nel Nintendo Entertainment System), il computer di famiglia, che funzionava con un sistema di cartucce collegabili alla TV ognuna delle quali aveva dentro un gioco meraviglioso. E negli Stati Uniti nascono le prime figure di uomini e donne pagati per fare da consulenti di gioco ai ragazzi (antesignani degli eGamers attuali). È nata l’industria dei videogiochi. Designers, musicisti (parte fondamentale dei games sono le colonne e gli effetti sonori speciali), programmatori. Da quel momento in poi la corsa è sfrenata. 1994: nasce Play Station. 2001: Xbox (per la prima volta una console nasce negli Stati Uniti e non in Giappone). E infine, negli ultimi 4 anni una nuova rivoluzione: il cloud gaming. Piattaforme di gioco in streaming on line come Fortnite con 350 milioni di account registrati a maggio 2020 o Twitch con 15 milioni di utenti attivi al giorno fino all’ultima arrivata nel 2019 Stadia, il primo servizio di game streaming sviluppato da Google. In queste piattaforme i giochi non vengono riprodotti localmente ma vengono eseguiti su migliaia di server che inviano i dati via internet al nostro computer/smartphone/TV. GAME OVER? No. Secondo le ricerche più recenti a livello globale circa 2.7 miliardi di persone ogni giorno si dedicano a giochi on line (Fonte: Statista) con una crescita intorno al 10% ogni anno. Su una popolazione mondiale di 7.9 miliardi di individui è un dato da tenere in considerazione. Dal punto di vista economico parliamo di un mercato che oggi vale circa 180 miliardi di dollari. Avete letto bene. Il gaming ha ispirato il mondo dell’innovazione tecnologica e, probabilmente, è ancora destinato a trasformarsi. Nel 2020 su Fortnite un DJ americano, Scott Travis, ha tenuto un concerto con circa 13 milioni di utenti che lo hanno visto in diretta. E queste piattaforme ogni giorno si stanno trasformando sempre più in nuovi social media, con persone che tra un gioco e l’altro si informano, leggo notizie, scaricano ricette, fanno acquisti. Se nel 2016 a Rio de Janeiro durante le olimpiadi si è tenuta la prima competizione internazionale di eGames, oggi gli eSports sono ad un passo dal diventare disciplina olimpica. E in ogni parte del mondo ogni settimana ci sono competizioni con in palio premi in denaro favolosi: Tyler Blevins, in arte Ninja, guadagna ogni anno poco meno di 20 milioni di dollari in premi e sponsorizzazioni. Una vera e propria star internazionale. Per non parlare di Felix Kjellberg, in arte PewDiePie, che vanta 4.5 miliardi di visualizzazioni su You Tube, con milioni di persone che pagano solo per vederlo giocare (fa impallidire l’influencer Chiara Ferragni con ‘appena’ 21 milioni di followers). Tiriamo il fiato e qualche conclusione. Innanzitutto sfatiamo un mito: ai videogiochi giocano i più giovani ma anche i diversamente giovani. Le fasce d’età vanno dagli 8 agli 80 anni. Cambiano i giochi ma la passione rimane la stessa. I giochi fanno bene al cervello, ma il gioco (come ogni altra attività umana) deve essere moderato e, nel caso dei più piccoli, sorvegliato e guidato. Il gioco è un’industria: produce reddito e lavoro, ma è anche di continua ispirazione per le comunità creative e per gli innovatori (Bill Gates ha scritto il suo primo programma di software a 13 anni per giocare a tris). Ma alla fine il gioco rivela molto di noi e, in fondo, ci aiuta a vivere. Forse perché la vita è solo un gioco?