SOCIETA’

UGUALI? NO GRAZIE!

Mara Antonaccio

Il femminismo non è di certo morto, si è trasformato.

Sono nata in Italia agli inizi degli infuocati e dirompenti anni ’60, sono una “boomers” di diritto e ho vissuto da bambina prima, e adolescente dopo, l’epopea  del Femminismo moderno. Ricordo le immagini della protesta con cui le femministe americane si liberarono platealmente di reggiseni, tacchi a spillo, corsetti, che consideravano gli strumenti di tortura delle donne, andata in scena ad Atlantic City il 7 settembre del 1968, simbolicamente durante l’elezione di Miss America, manifestazione considerata anti-femminista per eccellenza, che venne mandata sui telegiornali dell’epoca. Chiesi a mia madre piuttosto interdetta, perché tutte quelle signore si fossero tolte la biancheria intima e la sventolassero agitate, cosa che per me allora, oltre ad essere imbarazzante, era alquanto originale e stramba.  Crescendo in quel clima, mi abituai agli slogan che sentivo scandire nei cortei, ad alcuni dei quali partecipai da quattordicenne, al grido di: “tremate, tremate, le streghe son tornate”, oppure i più aggressivi “io sono mia“, “il corpo e mio e lo gestisco io“, “aborto libero gratuito e assistito“, tutti slogan di rottura verso gli stereotipi sulle donne, radicati da tempo immemore. Da quegli anni ’70 il movimento ha scelto un profilo basso, disertando quasi le piazze e resistendo negli atenei, nelle librerie, nei circoli e nei simposi dei sociologi; strutturandosi, passando da movimento chiassoso e quasi naif, con quei simboli del cromosoma X disegnati sulle guance e le mani a rappresentare il triangolo del pube, a movimento con le proprie istituzioni. Questo importante processo di emancipazione e liberazione della donna è divenuto atto di denuncia del sessismo e della cultura patriarcale, e lo ha fatto attraverso lo studio, la teorizzazione del programma, la costruzione di una fitta rete di relazioni internazionali; quindi da fenomeno sociale spontaneo, è divenuto una vera e propria istituzione. Occorre però parlare di quello che il fenomeno è stato nel nostro Paese, delle sue peculiarità; Il femminismo italiano infatti, e non solo negli anni ‘70, ha avuto caratteristiche  diverse rispetto a quello americano o europeo in generale. Le donne italiane hanno posto al centro della battaglia non tanto il riconoscimento del loro ruolo nella sfera pubblica, quanto la relazione tra i due sessi, i temi del corpo, della sessualità, della maternità. Non erano solo interessate alla carriera lavorativa e all’affermazione sociale, ma anche alla vita relazionale e familiare, di vedere riconosciuti i diritti da esseri umani di pari valore, non più di soggetti dipendenti dall’approvazione da parte dell’uomo. Come accadde per il Comunismo italiano, che spesso vedeva accostare il ritratto di Marx con quello di Gesù, da noi è esistito un femminismo più libertario, più aperto, che non si offendeva se le donne stavano volentieri ai fornelli o amavano allevare i figli, piuttosto che lavorare, e non si scandalizzava se le bambine volevano giocare con le Barbie o indossare un abitino di pizzo o se le ragazze mostravano le gambe in minigonna. Una interpretazione diversa rispetto al severo femminismo istituzionale, che urlava contro l’uso delle donne nella pubblicità dei sigillanti per l’edilizia o delle auto e desiderava la sottomissione del genere maschile. Qual è lo stato dell’arte oggi? Il femminismo non è di certo morto, si è trasformato e, se nel secolo scorso ha lottato per l’emancipazione e la parità dei diritti, nel nuovo millennio aspira ad una nuova società, che chiede il riequilibrio della rappresentanza politica e che il concetto di genere sia sempre più ampliato e diversificato.

La presenza delle donne nella vita produttiva, culturale e politica è imprescindibile per costruire un paese moderno, attento alle esigenze e ai diritti di tutti i cittadini, qualunque sia il genere, la razza o la religione. In sintesi ricerca e promuove il riconoscimento della sfera pubblica, essendo quella privata acquisita. Occorre ammettere che la parola femminismo oggi non è molto popolare, stimola sentimenti contraddittori, spesso fa alzare gli occhi al cielo, come se fosse una seccatura, piuttosto che un movimento di emancipazione epocale; le giovani donne di oggi sembrano più impegnate all’utilizzo delle libertà acquisite per osmosi dalle proprie madri, che essere interessate alle lotte che le hanno permesse e garantite. C’è poi chi ritiene il femminismo anni ’70 superato o chi lo vede rappresentato solo nella raggiunta indipendenza economica e lavorativa; personalmente ritengo si possa essere femministe anche senza pagarsi le bollette, è riduttivo riassumere la complessità del fenomeno e di quello che ha rappresentato a vari livelli, con la gestione autonoma del danaro delle donne; non mi sento offesa se un uomo mi corteggia senza sconfinare nella molestia e  non mi inalbero se sento dire che non saremo mai uguali agli uomini, perché siamo così deliziosamente incompatibili; dal punto di vista personale, le uniche cose che ci permettono di passare insieme una fase della vita in tregua non belligerante sono la spinta riproduttiva e l’innamoramento, l’adrenalina ai massimi livelli, scemati quelli, cambia tutto. La parità di genere nella sfera privata ed intima è secondo me impossibile; devono farsene garanti Stato ed Istituzioni, per il riconoscimento dell’eguaglianza lavorativa, di remunerazione e di diritti civili, per il resto è solo teorica, anzi, per me, inutile. L’opinione pubblica però è convinta che l’eguaglianza sia assolutamente possibile e si divide tra chi pensa che ormai il femminismo sia superato e che le donne abbiano raggiunto la parità anche sentimentale, e chi si dichiara femminista, lo fa perché si sente controcorrente rispetto alla vulgata; ed è proprio dalla contrapposizione dei due modi di pensare nasce il post-femminismo. Esso trova il modo di manifestarsi attraverso i Media; dagli anni ‘90 infatti si sono fatti portavoce di un’idea di donna ribelle e fuori dagli schemi, aggressiva e non più interessata solo al riconoscimento della propria autodeterminazione, ma animata da una sorta di “revanche” sociale, che in realtà cerca di ottenere l’evaporazione del genere maschile, non l’uguaglianza. Mi capita spesso di incontrare pletore di donne tra i 40 e i 60 anni, arrabbiate per la prima esperienza matrimoniale o di coppia andata male, che si scatenano con i nuovi malcapitati, facendogli passare brutti momenti e facendoli scappare a gambe levate; sono suscettibili come un nervo scoperto e pretendono non uguaglianza e rispetto, ma vendetta. Davvero vogliamo essere e farci trattare come gli uomini? Siamo sicure che non ci sentiamo migliori di loro a prescindere? Come possiamo credere che due rette divergenti possano divenire parallele? Che dire? Io lascerei le cose come sono, le differenze che si sono prodotte nei millenni sono la nostra vera ricchezza, che noia se fossimo davvero uguali, non ci sarebbe tensione emotiva e quindi crescita personale, lavorativa e sociale. Solo in una cosa dobbiamo ambire a non vivere differenze: la considerazione e il rispetto della propria natura e caratteristica, tutto il resto troverà una naturale collocazione!