CULTURA

BUFALINO, UN MAESTRO DA RICORDARE

Salvatore Vullo

Gesualdo Bufalino diventa un caso letterario, sia per l’età, 61 anni, sia per la sua atipicità di linguaggio e di stile letterario

Gesualdo Bufalino, nato a Comiso il 15 novembre del 1920, insegnante all’istituto magistrale di Vittoria, come scrittore, nasce quasi per caso, suo malgrado, e in tarda età. Infatti, nel 1978 la casa editrice Sellerio pubblica un libro fotografico su Comiso, curato da Gesualdo Bufalino che è anche autore della introduzione al libro. Questi testi di Bufalino suscitano l’attenzione e l’interesse di Elvira Giorgianni Sellerio e di Leonardo Sciascia che collabora con la casa editrice che ha sostenuto fin dalla nascita. Entrambi, infatti, dalla qualità di quei brevi testi, pensano che sicuramente Bufalino abbia qualche romanzo nel cassetto. Bufalino nega di averlo, e intanto propone alla Sellerio la pubblicazione di alcune sue traduzioni di autori francesi che vengono pubblicate. Ma Elvira Sellerio e Sciascia insistono e così nel 1981 viene pubblicato il libro “Diceria dell’untore”, il romanzo a cui Bufalino aveva iniziato a lavorare dal 1950, prolungandosi nei decenni successivi con una serie di riscritture, elaborazioni, revisioni, e comunque senza alcuna intenzione di pubblicarlo. Ma “Diceria dell’untore”, malgrado la riluttanza e diniego dell’autore, viene pubblicato  ed è subito un grande successo letterario, vince anche il premio letterario Campiello del 1981. E così, Gesualdo Bufalino diventa un caso letterario, sia per l’età, 61 anni, sia per la sua atipicità di linguaggio e di stile letterario. Come ricorda Francesca Caputo in una prefazione a “Diceria dell’untore”, nella scrittura di Bufalino domina e trionfa la parola, sempre ricercata, vagheggiata nelle tante variazioni e preziosità che offre la lingua; ma è uno scrivere anche con l’ansia e l’insoddisfazione che lo porta a cambiare, a riscrivere, ad ampliare, a stratificare le parole, le frasi. Insomma, quello di Bufalino è un linguaggio denso di metafore, una scrittura barocca forte e ben strutturata; un linguaggio aulico, che ti trasporta anche musicalmente, che ti trascina teatralmente, che affascina anche per i suoi tanti richiami e citazioni di grandi personaggi storici e letterari. Alberto Savinio stigmatizzava alcuni scrittori che egli definiva “scrittori dalla frase lunga, ma dal pensiero corto”. Certo non è il caso di Bufalino, dove è lungo anche il pensiero. Dunque, nella scrittura di Bufalino è la vita che si trasforma in parole e dalle parole essa viene rappresentata. La vita che nella narrazione prevale anche sulla Storia che passa in secondo piano. E si intuisce che Bufalino, alla storia maggiore, preferisce la storia minore: “… Le pedate furtive della storia minore, quasi sempre più maestra di ogni altra…” , scrive nel suo libro “Museo d’ombre”. Affermazione che fa il pari con quella di Leonardo Sciascia che diceva: “ Forse è a questa storia minima che io debbo l’attenzione che ho sempre avuto per la grande.” E a proposito, in un dialogo con Sciascia pubblicato su L’Espresso del Marzo 1981, Bufalino afferma, tra l’altro, che “Diceria dell’untore” nasce dalla sua esperienza di malato di tubercolosi in un sanatorio di Palermo nei primi anni del dopoguerra, quando la tubercolosi ancora uccideva; e dunque prevale il sentimento della morte, la svalutazione della vita e della storia; la guarigione sentita come colpa e diserzione, il sanatorio come luogo di salvaguardia e di incantesimo. E poi la dimensione religiosa della vita, il riconoscersi invincibilmente cristiano. Elementi questi che rappresentano i sempiterni valori della vita, il senso vero dell’esistenza, che caratterizzeranno le sue numerose opere che seguiranno a “Diceria dell’untore”.

E’ certo che, da quel 1981, nacque e si rafforzò sempre più il legame e l’amicizia tra Sciascia e Bufalino. Con il successo di “Diceria dell’untore” Bufalino diventa un personaggio famoso, peculiare anche per il suo stile di scrittura che ritroveremo nelle sue tante successive opere letterarie. Collabora ad alcuni importanti quotidiani nazionali, e come a voler recuperare il tempo perduto, riprendendo  anche scritti e bozze, sparse, lavora intensamente e già, nel 1982, un anno dopo l’esordio,  pubblica tre opere: “Museo d’ombre”, “L’amaro miele” e “Dizionario dei personaggi di romanzo”. Seguono  “Argo il cieco” nel 1984, e  “Cere perse” nel 1985. Nel 1986 pubblica “L’uomo invaso”; nel 1987 “Il malpensante”; nel 1988 “La luce e il lutto e Saline di Sicilia” e “Le menzogne della notte con cui vince il premio Strega.  Altra grande annata, per Bufalino, è il 1990, quando, tratto dal suo romanzo “Diceria dell’untore”, esce l’omonimo film, alla cui sceneggiatura collabora anche Bufalino; il regista del film è Beppe Cino, con un cast di attori eccellenti: Franco Nero, Fernando Rey, Vanessa Redgrave, Remo Girone, Lucrezia Lante Della Rovere, Dalila Di Lazzaro. Nel 1991 pubblica il romanzo “Qui pro quo”; nel 1994 “Bluff di parole”; nel 1995 “I languori e le furie” e “Quaderni di scuola”. Nel 1996, esce il romanzo “Tommaso e il fotografo cieco ovvero il patatrac”, che viene pubblicato poco prima della sua morte, avvenuta il 14 giugno 1996 in un incidente stradale. Aggiungo che sono tante le altre pubblicazioni e scritti di Bufalino, tra le quali le sue traduzioni di opere di alcuni grandi scrittori francesi. E’ importante anche ricordare che nel 1989 il suo atto unico, “La panchina”, tratto dall’omonimo racconto facente parte del volume “L’uomo invaso”, viene rappresentato allo Stabile di Catania, assieme ad altri due atti unici: “Quando non arrivarono i nostri” di Leonardo Sciascia e “Catarsi” di Vincenzo Consolo, dal comune titolo “Trittico”; iniziativa promossa dall’allora direttore  dello Stabile di Catania, Pippo Baudo, in omaggio a questi tre grandi scrittori siciliani che trionfavano nel panorama letterario italiano e internazionale. Tre grandi scrittori, legati anche da rapporti di amicizia e da tanti valori condivisi; e sono tanti gli incontri tra di loro alla “Noce”, la casa  di famiglia di Sciascia, nella campagna di Racalmuto, che d’estate era un crocevia di personaggi ospiti dell’anfitrione Sciascia. Uno di questi incontri alla Noce, tra Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo, lo descrive emblematicamente Aldo Scimè, nel libro “Gli amici della Noce”, ospite anche lui, assieme a Bufalino e Consolo “…Ospiti della tavola di Leonardo Sciascia, esperto di buona cucina: Un buon piatto- amava dire- è come un buon libro: bisogna saperlo cucinare bene. E Bufalino, di rincalzo, nel professare i suoi gusti di uomo sobrio, spartano, non aveva esitazioni ad ammettere che alla mensa di Leonardo, gustandone le delizie, era stato tentato di tradire i suoi principi di vegetariano e francescano della cucina. E’ evidente, soggiungeva, che si verifica un rapporto inverso tra la prurigine dei cibi, la ricchezza, la succulenza della mensa e la qualità della prosa: tanto è asciutta e rigorosa la prosa di Sciascia, tanto invece è barocca e ricca la sua cucina. A differenza di me, proseguiva Bufalino, : io che amo le parole preziose, mi trovo, forse per una rivincita, a gustare pietanze che somigliano alla mia scrittura.”