I LIBRI NEL CUORE
NON SCAMBIARE LA VITA PER UNA CORSA INQUIETA CONTRO IL TEMPO
Paolo Verri
La poesia nella scrittura di Gian Luca Favetto
“Gian Luca”. Non: “Pronto, sono Gian Luca”. Solo il nome, ben articolato, diviso in due parti, una voce squillante che risponde allo 011 5174716. Mi ricordo perfettamente quella prima telefonata con Gian Luca Favetto, poeta, scrittore, giornalista, tennista, giocatore di calcio e di belot, amico. Siamo alla fine del 1991 e lavoro per una piccola casa editrice voluta da Claudia De Benedetti e da Silvio Saffirio, e dopo aver imparato come si fanno i libri, ora siamo alla ricerca di autori per andare in libreria. Pluriverso (così si chiama) ha un logo meraviglioso, un angelo in bicicletta, il massimo della leggerezza e il massimo della fatica, cielo e terra che si congiungono. Claudia è figlia di Camillo ed è assistente in istituzioni di diritto romano con il professor Gian Savino Pene Vidari, Silvio è il fondatore di una delle più importanti, famose e potenti agenzie pubblicitarie d’Italia, la CGSS da poco diventata BGS – Barbella, Gagliardi, Saffirio, contende ad Armando Testa la palma di miglior agenzia tutta italiana, sfida le multinazionali con sede a Milano, ha una sede in corso Galileo Ferraris proprio sotto il monumento a Vittorio Emanuele II. Per loro è un gioco, per me la casa editrice è il futuro, è tutto quello che voglio fare, da sempre. Come primo libro pubblichiamo “La sinagoga degli argenti”, un volume stile Allemandi in arancione, pantone 021, colore dell’ottimismo, carta uso mano, super preziosa. Foto di tutti gli argenti mai visti primi contenuti in una delle più antiche e significative comunità ebraiche italiane, fotografati da due giovani talenti, Alessandro Albert e Paolo Verzone, coppia per anni in giro a cercare volti, qui si esprime al meglio con il banco ottico – oggi Alessandro da poco ha esposto una sua micro personale a Camera, Paolo lavora da anni per Magnum, con sede prima a Parigi poi a Barcellona. Con Paolo ci conosciamo dai tempi del liceo, ci si vedeva d’estate e d’inverno a Bardonecchia. Ma torniamo a Gian Luca. Dopo libri d’arte realizzati su commissione (oltre venti in due anni, in redazione siamo in due, mica in mille, ma si lavora giorno e notte con passione) è il momento di dare personalità alla casa editrice. Convinco Claudia che c’è mercato, ci sono talenti nuovi in giro, e soprattutto manca qualcuno che racconti la nuova Torino che sta per nascere – o per morire. Decidiamo di pubblicare una collana di narrativa e una di saggistica e – non so ancora come, ad anni di distanza – anche Silvio approva di esordire con un titolo collettivo, “Gente di Torino”, ovviamente ispirato a James Joyce. Una Torino cupa in cui brilla una luce interiore nuova, una Torino non più operaia e non ancora glamour, una Torino fatta di teatro sperimentale in periferia, di jazz d’autore in centro e di cinema ovunque. Torino schiacciata da Milano e larvatamente europea, Torino tuttavia mitica, in cui tutti sanno chi è e dove ha vissuto Salgari, le sfide tra Bettega e Pulici si sono appena concluse e ancora si fa al Filadelfia e al Combi a vedere gli allenamenti dei loro epigoni, condottieri indomiti Emiliano Mondonico e Giovanni Trapattoni – ma tutto sembra dominato da un racconto in celluloide. Fra poco sarà il centenario della settima arte e Torino insieme a Lione detiene tra gli altri questo primato, e non lo vuole perdere, anzi da lì a breve deciderà di rilanciare, di dedicare il suo monumento simbolo a contenitore dell’arte novecentesca per eccellenza. Chi scegliere per tenere insieme tutti questi miti? Gian Luca scrive spesso sull’edizione locale di “Repubblica” e qualche giorno prima della nostra telefonata pubblica un articolo proprio su Salgari e Torino. Decido di cominciare da lui, e lo faccio non dall’ufficio, via Garibaldi 5 scala B, ma da casa, corso Regina Margherita 189. Posso usare solo il telefono di mia nonna, quello di mio padre non funziona – non abbiamo pagato la bolletta. Il telefono sta appeso in entrata, grigio topo, con la sua rondella, e per parlare senza essere disturbato, devo stare appoggiato al comò della camera da letto dei nonni, con il pianale in marmo grigio appena vento di bianco, bene attento a non sfiorare il contenitore del Borotalco e a non far cadere un botticino di profumo certo non prezioso ma comunque desiderato. “Gian Luca”. “Pronto, sono Paolo Verri, lavoro per una neonata casa editrice, si chiama Pluriverso”. Sono passati trent’anni e la scrittura di Gian Luca mi affascina sempre di più; scrive con i gesti, come un vero dramaturg – non a caso qualche anno dopo ideò “Canto per Torino” riunendo tutte le compagnie teatrali più rappresentative dell’epoca, e dieci anni dopo per le Olimpiadi “Interferenze tra la città e gli uomini”, forse la prima opera internet d’Italia – scrive con il suono della sua voce – indimenticabili le narrazioni radiofoniche di “Trame”, trasmissione cult su Radio Due. Ma Gian Luca nasce, è e resta soprattutto un poeta. Nella mia libreria tra gli oltre venti suoi libri, il primo e l’ultimo sono dedicati al lavoro di una parola quasi eterna. Da “L’ultima meraviglia” (Genesi, 1990) a “Attraverso persone e cose. Il racconto della poesia” (ADD, 2020), la scelta di campo è netta. Gian Luca guarda la vita con gli occhi di chi ne cerca sempre le tracce di infinito. Negli anni della nostra più stretta collaborazione, nulla per me era più bello di salire in casa da lui, in via Carlo Alberto 31, e osservare (mentre andava in cucinino a mettere su un the al gelsomino con cui scaldarci) tutte le decine di fogli A4, A5, fogli di quaderno strappati, scontrini scarabocchiati, taccuini moleskine di ogni dimensione, libri squinternati e sottolineati, due macchine per scrivere di diverse dimensioni e uso, una più residente ed una portatile, quasi come quelle che usava Brodskij, una con inchiostro verde per la poesia scritta in russo e una con inchiostro rosso per la prosa scritta in inglese (o viceversa?). “Scopro l’azzardo urgente della vita/ la mappa nei tuoi occhi rubo con le dita” sono due versi del 1986 che ho segnato subito e che mi accompagnano da quasi tutta la mia esistenza di lettore. Da quelle prime prove alle più recenti mappe e mappamondi pubblicate per Interlinea, la vita da individuale diventa collettiva, in Gian Luca l’uno a uno giovanile si fa molteplice che parla a molteplice, la giovanile paura della morte si trasforma in coraggiosa attraversata della vita sempre in cerca di nuovi compagni.
La poesia non si esaurisce nella forma metrica, e si fa racconto, la misura ideale della sua scrittura, quella in cui la ricerca del significato trova il passo giusto per farsi memoria nella mente di chi lo ascolta. Quasi tutto Gian Luca è da leggere ad alta voce. D’altronde, non può essere diversamente per chi scrive quasi sempre in piedi, viaggiando, ipercinetico. Anche da giocatore di calcio, portiere di talento, compagno di squadra attento e ardimentoso, erede di Castellini più che di Terraneo, Gian Luca non sta mai fermo. Come sua difesa, con Marco Mathieu e Giampaolo Simi abbiamo sentito le sue urla feroci, i suoi tacchetti contro il palo, i suoi rinvii precisi con le braccia che si allargano come ali di fenicottero e il pallone che arriva volando sulla fascia dove sta Peri, Alessandro Perissinotto, oppure Remmi, Enrico Remmert. Una nazionale di calcio della fantasia, non a caso allenata da Paolo Sollier, per metà torinese e per metà romana, una nazionale delle due capitali con qualche sparuta ma salutare goccia di Toscana. I suoi racconti di sport vincono premi e si fanno cronaca; come i maestri Brera e Arpino il calcio se la gioca con il ciclismo, il primo è sport di città, il secondo è la grande provincia italiana, è la scoperta che in ogni angolo del Belpaese c’è davvero LA poesia. Se dovessi consigliare un romanzo? Vi direi “Il giorno perduto”, un esperimento che solo Gian Luca poteva accettare – e vincere. Trent’anni dopo la tragedia dell’Heysel, Gian Luca racconta con Anthony Cartwright la storia di due gruppi di amici, uno proveniente da Liverpool e uno da Torino, l’avvicinamento allo stadio, la passione per il pallone: “A volte c’è il destino, non la storia – non una storia che conduca al destino. Il destino direttamente si occupa di te, occupa te. Ti prende in bocca e salpa”. 39 morti. 600 feriti. Un giorno di battaglia in un’epoca di pace apparente. Scritto in due lingue e diventato un unico, intenso racconto del viaggio verso e dentro lo stadio, questo romanzo è un inno all’amicizia tra uomini, un sentimento bellissimo che ha radici mitiche e che sembra segnare piuttosto la narrativa al femminile che quella maschile. Non esistono ancora saggi lunghi e dettagliati su chi ha scritto tra la fine del Novecento e questo primo esordio di terzo millennio a Torino e dintorni. A partire da Gian Luca Favetto, ci proveremo: è lui che chiede di mettere a dimora le nostre radici, dai racconti di “Se vedi il futuro digli di non venire” alla più recente e importante attività di narratore delle comunità. E’ quanto sta facendo con il Teatro Pubblico Ligure e con il progetto Atlante del Gran Khan (dedicato evidentemente alle città invisibili di Italo Calvino): a Sori (Genova), Enna e Tirana ha ricostruito le storie delle rispettive città dai racconti di chi le abita, si è fatto amplificatore di parole, sguardi, intersezioni tra spazi e respiri. Se gli riesce così bene è perché lui, le sue radici non le ha mai abbandonate, anzi con cura, come un giardiniere che ogni anno rimette al riparo i limoni in citroniera, e poi li fa uscire al sole della prima bella stagione, è sempre andato e tornato dalla sua Val Chiusella. Residente a Rueglio, nel più profondo del Canavese, dove il Piemonte si fa Svizzera e la lingua è un tedesco addolcito da qualche passaggio francese, Gian Luca – profondamente e sanamente torinese – sa che ogni suo viaggio parte e torna lì. Quello dei suoi nonni e quello dei suoi nipoti, quando nasceranno. In “Attraverso persone e cose”, libro da non sprecare in una lettura veloce ma da centellinare come uno stock di rum Caroni appena ritrovato in un angolo di Guyana. Un libro profumato, in cui ogni capitolo è a sua volta un libro, e ogni paragrafo una indagine al cuore della poesia. Di cento storie che vi potrete lentamente, appassionatamente sorseggiare, ve ne consiglio in particolare due: quelle contenute nel capitolo “La stanza” in cui Gian Luca racconta la storia della sua famiglia attraverso la scoperta che sua figlia Caroline fa delle lettere della nonna e del papà di Gian Luca: un percorso che collega il Vietnam alla Val Chiusella e il nostro poeta ad Ai Wei Wei… il secondo e ultimo consiglio va al capitolo numero 8, in cui scopriamo che “tutti i poeti sono un po’ marinai”. Se amate alla follia Lerici e Portovenere, e se forse sapete che la definizione “Il golfo dei poeti” risale al 1910 e alla penna pungente di Sem Benelli, l’autore della “Cena delle beffe, uno dei più grandi successi del teatro italiano del primo Novecento, poi film epocale di Camerini con il primo nudo non censurato della storia del cinema italiano, certo non conoscete la storia del poeta ruegliese Pietro Corzetto Vignot, inventore di un straordinario batiscafo che lo portò alla fama prima e alla rovina poi. Amico di Fogazzaro, De Amicis e Gozzano, è definito il più importante poeta del tempo insieme a Carducci. Leggetela, questa storia di mare, di terra, di amori, di fughe, di caratteri tipografici e di rilievi altimetrici. Leggetela, se potete, andando con il libro di Gian Luca al mare, imparando a memoria tre versi di Pindaro: “Ottima è l’acqua: più d’ogni ricchezza grande / magnanima risplende / come di notte una fiamma”. Corzetto muore di polmonite, in corpo acqua salata, proprio cent’anni fa, il 22 febbraio 2021. Il suo batiscafo aveva dovuto smontarlo e in riva alla Palmaria e venderlo a pezzi mentre leggeva una lettera di Mistral che salutava il suo talento. Gian Luca in questo viaggio al centro della poesia ci ricorda che secondo Braudel questa è la definizione di cultura: “ È IL MODO DI CRESCERE, VIVERE, AMARE, SPOSARSI, PENSARE, CREDERE, RIDERE, NUTRIRSI, VESTIRSI, COMPORTARSI, COSTRUIRE CASE, DISEGNARE CITTÀ, È SAPERE STARE DI FRONTE ALL’ETERNITA’, NON SCAMBIARE LA VITA PER UNA CORSA INQUIETA CONTRO IL TEMPO” (le maiuscole sono mie). Questa, per Gian Luca, è anche la definizione della poesia. Buona lettura.
PS Da quella prima telefonata di trent’anni fa nacque proprio Gente di Torino, quattro racconti accompagnati da quattro serie di fotografie: Gian Luca scrisse “Al cinema come al mare”, e lavorò con Giorgia Fiorio; Gabriele Romagnoli “Grazie ragazza, ti amerò fino alla fine del mondo” con Paolo Verzone, Monica Bardi “Il dono del silenzio” con Giampiero Soffietti, Andrea Canobbio “L’ordine e la simmetria” con Giancarlo Tovo. Formidabili quegli anni!