EMOZIONI

ELOGIO ALL’INTOLLERANZA

Walter Comello

Gli intolleranti agli intolleranti sono da isolare.

Dovremmo rivendicare nel nome della tolleranza il diritto a non tollerare gli intolleranti. Se estendiamo una tolleranza illimitata anche nei confronti di chi è intollerante, se non siamo preparati a difendere una società tollerante contro l’assalto degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con loro – Karl Popper –

La pazienza è una virtù, ma fino a che punto? Riguarda colui che è disposto a moderazione o rassegnata sopportazione. Forse ci è stata insegnata come Green Pass per andare in Paradiso e prima ancora per non perdere l’amore del papà e della mamma che pretendono di avere dei bravi bambini senza sapere come educarli alla vita e a difendere sé stessi e i valori in cui si crede. Valori che non hanno la necessità di essere universali, ma sono nostri e tanto basta per pretenderne il rispetto. Nostri come Noi, un confine identificativo sacro e per questo inviolabile. La pazienza si dice essere una virtù cristiana e forse per questo ci sono sempre meno cristiani e più intolleranti. Se ne fa cultura dotta, per far parte del mondo dei migliori, ma se ne pagano le conseguenze, fragili, nei confronti dell’intolleranza di altri. Passività nei confronti di parole e azioni a cui non si è abituati, educati a rispondere. Una planata di valori, una ignobile paura, una devastante perdita di autostima, una irreversibile tendenza, una vergognosa resa all’ipocrisia o all’ignoranza. L’altra guancia la si deve porgere solo per avere una carezza. La tolleranza è malessere, sopportazione, obbligo, incoerenza, malattia, violenza prima autoindotta e poi subita dall’esterno. Non ha un perché, se non si fa propria una morale impropria ed imposta. È sbagliata per principio. Non si deve chiedere alla gente la tolleranza, ma la condivisione. Chi condivide rispetta, non ha bisogno di eserciti di verificatori e sanzionatori. La condivisione deve essere il principio di un’identità, di una comunità che non necessita più della tolleranza e non esistono più gli intolleranti. Allora la si esige quando non si hanno gli strumenti o le ragioni della condivisione.  Si arriva a pretenderla, si è intolleranti nei confronti di coloro che sono intolleranti nei confronti dell’intolleranza. Un tema matematicamente paradossale dove una proposizione è eventualmente dimostrata e logicamente coerente, ma lontana dall’intuizione. Gli intolleranti agli intolleranti sono da isolare, li si punisce, li si esclude, li si giudica, li si vuol far sentire in errore, si pazienta nei loro confronti perché non ancora illuminati, anacronistici di fronte ad un mondo che corre via veloce. Voltaire diceva che la tolleranza non ha mai provocato una guerra civile, l’intolleranza ha coperto la terra di massacri … tra i più tolleranti, si dovrebbe aggiungere. La guerra si evita per la diplomazia che evidenzia interessi reciproci a non farla, ma solo dopo averla accettata come possibile, per quanto estrema soluzione.  L’intolleranza evita il fuori controllo, consente la fuoriuscita delle proprie peggiori emozioni e del proprio legittimo sentire prima che questo si trasformi in rabbia.

Al vulcano attivo non si chiede di sopportare ulteriormente la crescente pressione, ma si consente alla pressione interna di fuoriuscire attraverso a perforazioni lungo il cono prima che salti il tappo e l’eruzione sia devastante. L’intolleranza è censurata da un minestrone di diritti, a fronte dei quali va bene qualsiasi cosa, ma spesso il buon gusto, “del minestrone”, è altra cosa. I diritti lievitano come le torte e le pizze in forno, tutti fanno l’ordinazione senza leggere il menù e pretendono un celere servizio. La violenza per alcuni è un diritto da esercitare e per altri è un diritto esserne difesi, ma probabilmente, in entrambi i casi, non dovrebbe avere né sesso né colore.  E i doveri? Parola scomparsa, derubricata dal dizionario se non per rafforzare la frustrazione di chi “deve” essere tollerante nei confronti di chi i propri doveri e la tolleranza non sa neppure dove stiano di casa. La tolleranza è un valore nei confronti di chi rispetta prima di pretendere di essere rispettato, di chi ha senso di responsabilità nei confronti dei propri errori, di chi sa chiedere scusa, di chi ha buon senso, di chi è corretto, di chi è sportivo nella vita. Per questo non abbiamo bisogno di essere uguali. John Kennedy scriveva che se non siamo in grado di porre fine alle differenze, alla fine non possiamo aiutare a rendere il mondo sicuro di tollerare le diversità. Invece, se forse non siamo in grado di insegnare al mondo le differenze, certo non lo renderemo capace di accettare le diversità. L’uguaglianza è una fumosa fantastica invenzione di un prestigiatore che ha ideato una parola per incantare il pubblico e domarlo alla sua suggestione. L’uguaglianza non esiste, è un concetto scientificamente inesatto, inventato, strumentalizzato. Si è diversi per genetica, cultura, storia, razza, colore, sesso e mille altre cose. In un mondo di diversi si dovrebbe parlare di somiglianze ed esaltare i valori, la bellezza, l’utilità della diversità, a partire dalla versatilità genetica che consente alle specie viventi di superare le pandemie senza vaccini. Un tempo e altrove ci si serve di Dio per convincere la gente ad abbassare la testa, ad inginocchiarsi e indurre la tolleranza alla vita al di fuori della chiesa. Ora la parola di Dio è mediatica e i suoi ministri sono gli attori sul palco. D’altronde un quotidiano esercizio alla sopportazione induce a tollerare nel tempo ogni cosa. Ci deve essere un piano Marziano per conquistare la terra dopo aver insegnato ai suoi abitanti la straordinaria eleganza della tolleranza. Vocazione della stoica, ma anche corrotta Atene più che della passionale Sparta. Quando Zanone di Cizio in quella città impartiva le sue lezioni nel 300 A.C. esaltava il coraggio di affrontare il dolore e il disagio, ma non quale assurda passività all’ingiustizia. Poi la rinuncia ai beni terreni per giungere alla saggezza dello spirito nel controllo delle passioni non prevedeva la rinuncia a queste, ma il determinarne con precisa volontà l’espressione. Che la passione riempia i vuoti deprimenti nella mente degli uomini, anche quelli che una inopportuna tolleranza contribuisce a creare. La passione rende l’uomo virtuoso, capace del suo eroico cammino per sconfiggere prima le sue umane debolezze e poi il nulla che avanza e da quel giorno passare, come direbbe Joseph Campbell, da un mondo ordinario ad un mondo straordinario.