SOCIETA’

DONNE E UOMINI INSIEME CONTRO LA DISUGUAGLIANZA DI GENERE

Antonella Parigi

Non c’è sviluppo se metà della popolazione non è giustamente valorizzata.

Occuparsi della questione femminile non dovrebbe essere prerogativa delle sole donne, ma essere posto in cima alle priorità dell’agenda politica italiana. Non si tratta, infatti, di una mera rivendicazione di diritti , peraltro sanciti dalla Costituzione, o di una elitaria discussione teorica, ma riguarda la crescita e lo sviluppo del nostro paese nella sua interezza. Non c’è sviluppo se metà della popolazione non è giustamente valorizzata. Non solo ma dati alla mano la crescita dell’occupazione in Italia è anche e soprattutto legata all’incremento del lavoro femminile. E’ notizia di questi giorni che la crisi generata dal Covid ha colpito duramente uomini e donne, ma le donne molto di più: nel solo mese di dicembre 2020 sono stati persi 101 mila posti di lavoro, di cui 98 mila donne. Affrontare dunque il tema femminile significa definire almeno tre aspetti sostanzialmente ad esso collegati: come già abbiamo detto l’aumento dell’occupazione e la crescita del nostro Paese, la delineazione complessiva del modello di società che si intende costruire per le future generazioni e  la conformazione del nostro sistema di welfare.  Visione del futuro, crescita dell’occupazione e infrastruttura sociale devono essere valutati in una prospettiva complessiva ed unitaria, la sola che possa permettere di comprendere come risolvere la questione femminile in Italia sia un’opportunità per tutti. E’ oggi il momento per porre le basi della società del futuro e a questo scopo può essere utile capitalizzare quanto possiamo dire , in modo improprio, di aver imparato dalla situazione emergenziale provocata dal Covid: non esiste benessere individuale, se la nostra comunità non è in buona salute. E’ evidente che la salute fisica è  il primo ingrediente, a cui però se ne aggiungono molti altri come le difficoltà di questo periodo pandemico hanno evidenziato: sanare le esagerate sacche di disuguaglianza, curarsi dell’istruzione delle nuove generazioni, supportare l’accudimento dei bambini e degli anziani, sconfiggere la solitudine delle nostre città, garantire le famiglie che devono seguire non autosufficienti e persone disabili. Queste le necessità di una comunità che riconosca il benessere non come bene individuale ma collettivo. Se dunque aderiamo idealmente ad una politica della cura, che pone al centro del suo fare, le esigenze del cittadino e la sua qualità di vita, immediatamente e conseguentemente questo significa rimodellare il nostro sistema di “welfare”.

Investire in infrastrutture di welfare è sì il primo modo per ristabilire i legami comunitari, oggi ancora più necessari, per mantenere stabilità ed equilibrio all’interno della nostra società , ma significa anche e soprattutto togliere il peso della cura dalle spalle delle donne e liberare energie e risorse fondamentali.  Oggi le donne hanno spesso contratti part-time, precari, irregolari, anche perché devono tenere insieme i compiti di accudimento e sono le prime a doversi sacrificare quando la famiglia incorre in un imprevisto come è stato per esempio la chiusura degli asili o la didattica a distanza durante il COVID. L’ulteriore risultato positivo di questo approccio sarebbe l’aumento dell’occupazione femminile, perché sono per lo più le donne impiegate nelle professioni di cura sanitaria e non solo. Un circolo virtuoso che permetterebbe di raggiungere una società più coesa, un welfare più strutturato e l’aumento dell’occupazione. Sono dunque queste le richieste dei tanti movimenti che in questo momento storico stanno chiedendo alla politica questa sensibilità soprattutto in relazione ai Next Generation Fund. Per il nostro Paese sono una straordinaria occasione e un appuntamento storico per risolvere questioni cruciali che da troppo tempo, pur nell’alternanza di governi di diversa colore, non si sono saputi (o voluti) risolvere e sono diventati squilibri endemici , che limitano fortemente la ripartenza della nostra economia e ci allontanano dai Paesi europei più evoluti: tra questi a pieno titolo va inserita la questione femminile. Con questi obiettivi e con la consapevolezza di un’ occasione storica unica (e forse irripetibile!) che non può e non deve essere sprecata, sono nati movimenti come Il giusto mezzo o Donne per la salvezza: Half of it. Dagli stessi intenti prende avvio Torinocittàperledonne e la rete di città che stanno aderendo al manifesto inziale che si propongono di portare sul piano delle politiche amministrative comunali le stesse istanze che si stanno perseguendo a livello europeo e nazionale. La nascita e il successo di tutti questi movimenti tra le donne e anche tra gli uomini testimonia come si sia creata una diffusa coscienza civile sull’urgenza di impiantare serie politiche per il superamento della diseguaglianza di genere e una consapevolezza della necessità di sciogliere un nodo cruciale, senza la cui soluzione è difficile immaginare una costruttiva ripresa economica e sociale del nostro Paese. Come sempre la politica italiane è in ritardo.

VIAGGI

IL VIAGGIO COME ARTE NECESSARIA

Guido Barosio

Wanderlust significa letteralmente ‘desiderio di vagabondare’, passione irrefrenabile per il viaggio e per tutto ciò che al viaggio si collega.

L’uomo è una specie nomade e questo ha segnato il suo destino. La start up africana lo ha portato, in un percorso di milioni di anni, a spostarsi per strette necessità alimentari attraverso i continenti. Raccoglitore e cacciatore doveva muoversi, solo la scoperta dell’agricoltura, molto più tardi, rese interessante l’insediamento. Ma neppure troppo. Anche dopo la conquista umana del pianeta ogni civiltà meritevole di essere ricordata ha guardato oltre, dando seguito ad un principio fondante: solo i popoli nomadi sono portatori di novità, energie, saperi e cultura. Per gli stanziali sconfitte e sottomissioni. I vincitori hanno scritto la storia: macedoni, romani, arabi, gli spagnoli e gli inglesi dei grandi imperi. Le armi sono sempre arrivate dopo l’ossessione per la scoperta: l’uomo, ‘creatura ovunque’ del pianeta, nell’epoca delle grandi esplorazioni ha marciato a ritroso, andando a riacciuffare ciò che aveva abbandonato milioni di anni prima. Necessità e ansia di dominio, ma anche patologia. L’esploratore era sovente un resoluto folle, pronto a mettersi in gioco, vita compresa, con mezzi spesso inadeguati: Colombo come Livingstone, Scott come Umberto Nobile, Pitea come Marco Polo. Persino gli astronauti americani che andarono sulla Luna sfidarono il destino accomodandosi in un capsula grande come una cantina, sotto un razzo enorme, per completare la missione su un traballante baracchino e scendere in landa selenita. A seguire il ritorno a casa compiendo il percorso inverso. Dei pazzi. Ma, oltre al DNA originario, c’è anche una spiegazione clinica, che da quel DNA originario deriva. La patologia ha per nome sindrome di Wanderlust, e significa letteralmente ‘desiderio di vagabondare’, passione irrefrenabile per il viaggio e per tutto ciò che al viaggio si collega: programmazione, desiderio, fuga, irrequietezza, cancellazione di ogni soglia nel rischio, appagamento solo momentaneo e irrefrenabile desiderio di ripartire. Gli studi sono concordi nell’identificare il ‘gene del viaggio’, denominato DRD4 7R, il recettore della dopamina D4 che regola il livello di curiosità e rende sensibili agli stimoli esterni. Il merito della scoperta va diviso tra David Dobbs e Chaunsheng Cheng. Ma la sindrome di Wunderlast era già nota, anche se non ancora classificata, nell’Ottocento. Ci furono casi di viaggiatori compulsivi che abbandonarono lavoro e famiglia all’improvviso. Una volta riacciuffati, dopo qualche settimana di tregua, ripresero la via della fuga, e così più volte, per la costernazione di amici e parenti. Eredi di Colombo e precursori di Armstrong, solo meno celebri. Ma forse l’elemento più interessante degli studi condotti recentemente riguarda il patrimonio genetico della sindrome. Perché il Wunderlast è un tratto più facilmente rintracciabile proprio nelle popolazioni che discendono dagli antichi migranti africani. Siamo quindi fronte ad una forma ereditaria che è scolpita nell’uomo a partire dai primi nomadi: i cacciatori raccoglitori che colonizzarono il pianeta. Per il viaggiatore moderno questa avventura epocale, che ha attraversato la civiltà umana come una lama saracena, si traduce in una ossessione gentile, che pare possa ammaliare circa il 20% dell’umanità.

Sin troppe cose si sono dette e scritte sulla differenza tra turista e viaggiatore. In realtà il turismo è un fenomeno schiettamente imprenditoriale, che sostanzialmente confeziona un prodotto partendo da un bisogno. Il turista abdica all’organizzazione: sceglie, compera e consuma. Il viaggio come una lavatrice, garanzia compresa. Il viaggiatore – debitore e ostaggio consenziente del Wunderlast originario – invece fa per conto suo: immagina, seleziona, mette mano all’itinerario, sceglie quello che gli serve sul mercato (come nei bazar e nei porti oceanici dei secoli scorsi), decide consapevole che può sbagliare (ma in fondo se ne frega) e poi parte come fosse la cosa più bella da fare al mondo. Per tornare torna, ma mai volentieri. Insomma, esercita una forma d’arte necessaria ai suoi bisogni. Il viaggio contemporaneo toglie e aggiunge allo stesso tempo. Anche solo ai tempi di Chatwin si partiva di meno, i tempi erano molto più lunghi ed i costi considerevolmente più alti. Il Wunderlast del XXI secolo il mondo se lo può girare tutto, sovente e a costi modesti, con la rete pronta ad offrire un grande catalogo dell’ovunque. Virus e terroristi, entrambi globali, sono le brutte sorprese in agguato. Imprevedibili, quindi inutile pensarci. Meglio oggi quindi? Anche no. Perché non si può resistere alla seduzione della ‘voyagenostalgie’. In questo momento ho tra le mani la Guide Hachette ‘De Paris a Constantinople’, edizione primi del Novecento, un mito tascabile. Delle 465 pagine solo 225 sono dedicate a Istanbul. Il resto se ne va per il viaggio: Trieste, Vienna, Budapest, Belgrado, Sarajevo Spalato, Ragusa, Atene, Salonicco, Monte Athos, e, dopo la meta principale, estensione dell’itinerario verso Cipro. Durata, un numero imprecisato di mesi. Le guide del tempo non descrivevano la meta, ma il viaggio. E il viaggio era il tempo necessario per raggiungere il luogo, un tempo fatto di soste e di conoscenze, di incontri e di esplorazioni, di tante tappe, previste e non. Le guide di allora erano capolavori di cartografia miniata, di cultura divulgata, di informazioni testate che diventavano patrimonio condiviso. Abbiamo perso per sempre quelle guide e quei viaggi sono morti con loro. Possiamo solo preservarne lo spirito e l’attitudine, comprendendo che l’aereo aiuta ma annulla, che oggi ci si muove per destinazioni senza raggiungerle apprezzando quello che sta in mezzo. Ma il viaggio sarà sempre carovana, astronave e vascello per i Wunderlast più tenaci. Ce lo rammentano i pionieri della Luna, i navigatori oceanici sui gusci di noce ed il piacere per la storia. Ma soprattutto lavora per noi DRD4 7R, quel ‘gene del viaggio’ che ci connette all’Africa vagabonda dei primi misteri. E adesso quando si parte?