ATTUALITA’
RISCALDAMENTO GLOBALE, RIFLESSIONI OLTRE LA BANALITA’
Salvatore Vullo
E così un problema scientifico è diventato un tema politico.
Sul tema dei cambiamenti climatici, da una trentina d’anni bombardati da continui allarmismi e scenari catastrofisti, credo siamo rimasti un po’ annichiliti, frastornati, un po’ scettici, ma alla fine svagati e remissivi sulle cause individuate e sulle azioni conseguenziali decise dalle organizzazioni internazionali, UE e stati europei. Talmente svagati che non ci siamo accorti che nell’aprile scorso tali organismi hanno approvato l’intesa (legge sul clima) sulle emissioni di CO2 (anidride carbonica), ovvero di ridurle del 55% entro il 2030 e di arrivare alle emissioni zero entro il 2050. E su questa nuova crociata in prima fila c’è l’Unione Europea che, da mosca cocchiera, sta già approvando il relativo programma (il Green Deal). Ciò significa che è stata definitivamente addossata alla concentrazione di anidride carbonica la responsabilità dei cambiamenti climatici e quindi avallata la natura antropogenica del riscaldamento globale (Antropogenic Global Warmig – AGW), ovvero causato dall’uomo e dalle sue attività. Questo vuol dire mettere subito al bando tutte le attività economiche e produttive legate ai combustili fossili (petrolio, carbone, ecc.), che comunque dovranno essere drasticamente ridotte e cessare definitivamente entro il 2050. Sostituite da cosiddette “energie sostenibili”, dalle quali, paradossalmente, vogliono anche escludere l’energia nucleare. Insomma, a sentire la grancassa mediatica si prospetta un futuro da nuovo paradiso e che comunque salverà la terra dalla distruzione in atto, che sta diventando irreversibile; la cultura del piagnisteo e delle geremiadi dilaga, tutto si carica di retorica e ideologia, sostenuto da tanti intellettuali che sulla lotta ai cambiamenti climatici ci hanno costruito la loro fama e fortune: Greta e il “Gretismo”, le ONG dell’ONU, il Papa, tutti i movimenti ambientalisti, le varie formazioni post comuniste e di sinistra che hanno accantonato le loro ideologie sconfitte dalla storia e dalla ragione e si rifondano e vivono col buonismo e il moralismo, ergendosi a difensori del pianeta contro gli inquinatori, i profittatori, gli sfruttatori; e diventa tutto un pastone unico; i cambiamenti climatici come motrice di un convoglio sul quale aggregare i carri di tutte le altre grandi questioni: la lotta alla povertà, le carestie, le siccità, le grandi migrazioni, e persino le pandemie, sui quali si sono lanciati i partiti progressisti occidentali; insomma, un nuovo ordine mondiale sul quale l’ONU aumenterebbe il proprio potere e influenza. Un grande contesto per il trionfo del catastrofismo, del pauperismo, per ritornare al mito del “buon selvaggio” di Rousseau, con il suo “Contratto sociale” (ne abbiamo avuto esempio in Italia con il boom del Grillismo). Del resto ha fatto scuola, e cresce nei consensi, Serge Latouche con la sua teoria della “Decrescita felice” e che ora ha pubblicato “Come reincantare il mondo”, altre mazzate contro il dio denaro, l’economia di mercato, il progresso. Ma si immagina anche che in questa crociata-kermesse ci siano anche i settori del capitalismo “illuminato” che intanto già lucrano sulle nuove energie verdi, rinnovabili, sostenibili, e si preparano al nuovo grande business del Green Deal. Ma, come dice il proverbio, “Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni”. E queste buone intenzioni rischiano di mandare alla catastrofe gran parte dell’economia, che si regge appunto sulle energie fossili; inoltre queste buone intenzioni di salvare la terra, con i suddetti drastici provvedimenti, sono adottati dai paesi occidentali, più avanzati, (i Paesi della UE producono solo il 10% delle emissioni), che già da tempo adottano, in ogni campo economico e sociale, buone pratiche ecologiche e rispettose dell’ambiente; mentre, non hanno firmato la legge sul clima, e se ne guardano bene dal farlo, i paesi più “inquinatori” in assoluto, come la Cina, l’India, il Brasile, la Russia, ecc. che costituiscono la maggioranza del problema. Peraltro, l’Italia, che si è posta all’avanguardia sul progetto AGW, baloccandosi con pale eoliche e pannelli solari che stanno deturpando il territorio, è lo Stato più vulnerabile come autonomia energetica, che viene in gran parte importata dall’estero, fornita da quei paesi come la Francia con le centrali nucleari (ne ha 59); e l’Italia, è l’unica grande nazione UE che ha rinunciato alle centrali nucleari, chiudendo quasi 40 anni fa le due che aveva (in un modo insensato e in maniera irreversibile perché considerato come un argomento tabù); mentre la UE conta 128 centrali nucleari ( ne ha una persino la Slovenia, a pochi chilometri da Gorizia; e ne ha 10 la Svizzera). Tornando alla intesa sulla nuova legge sul clima, oltre a queste considerazioni e motivazioni, altre forti interrogativi e perplessità sorgono per come sono andate le cose nella fase iniziale della questione. A cominciare dal fatto che sul clima della terra agiscono una serie di fenomeni fisici e per molti di questi, magari ben individuati e caratterizzati in laboratorio, non si conoscono le reali incidenze sul clima, le cui dinamiche, scientificamente, sono caratterizzate da forti incertezze.
Storicamente quella del clima è stata una questione scientifica, ma solo negli ultimi 150 anni che si dispone di osservazioni e rilevamenti dati scientifici; per esempio solo dal 1850 si dispone di rilevazioni di dati della TGM (Temperatura globale media di superficie) e che tali dati risultano sempre più attendibili quanto più ci avviciniamo ai nostri giorni. Negli ultimi trent’anni, la questione del clima e dei suoi cambiamenti è stato sempre più enfatizzato, soprattutto dai mass media che vivono di catastrofismo e che esaltano ogni evento calamitoso naturale (ogni temporale o burrasca viene definito “bomba d’acqua”). E così da problema scientifico è diventato un tema politico fatto proprio dall’ONU (che ha istituito l’IPCC) e che della lotta ai cambiamenti climatici ne ha fatto un cavallo di battaglia, così come gli USA con il suo vice presidente Al Gore, l’UE e così via. E quasi come un dogma, è stata accettata la connessione tra le emissioni antropiche di CO2, l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera e l’aumento della TGM. Da qui, il protocollo di Kyoto del 1997, l’accordo internazionale di Parigi del 2015 e la succitata legge sul clima del 2021 che ha deciso la riduzione e la cessazione delle emissioni di CO2 entro il 2050. E’ stata una avanzata veloce e trionfante, politica e mediatica, che non ha lasciato spazio alle critiche e alle diverse posizioni scientifiche, che via via sono sempre state messe in condizioni di minoranze silenziose, additati come eretici e persino definiti negazionisti (mi aveva colpito un articolo su “La Stampa” del 2017 in cui il glacialogo Luca Mercalli, uno dei paladini della lotta ai cambiamenti climatici e della tesi antropica, attaccava il giudizio espresso su tali temi dallo scienziato Rodolfo Zichichi definendole “ …sparate negazioniste dell’ultraottuogenario Zichichi …”). E questo episodio è significativo di come le posizioni di molti scienziati, che manifestano perplessità e che sostenevano posizioni diverse da questa deriva conformista sul riscaldamento globale e sulle relative responsabilità antropiche, che già prima stentavano a trovare ascolto e ribalte, hanno sempre meno voce in capitolo e sono in qualche modo intimiditi da questo grande schieramento politico istituzionale e mediatico, che li bolla come eretici, “negazionisti” e i loro studi messi all’indice. Altro importante interrogativo riguarda la scelta della strategia di intervento decisa dai vari accordi internazionali e dalla legge sul clima; nel senso che è stata scelta la strategia della mitigazione (quello di arrivare a emissioni zero di CO2), che avrebbe effetto parziale perché non accettata da tutti i paesi; inoltre essa risulterebbe molto più costosa e avrebbe un impatto rovinoso sullo stato economico produttivo dei paesi che la adotteranno; inoltre avrebbe effetto irrilevante in molti paesi ex terzo mondo, più poveri e depressi, alle prese con processi di desertificazione, siccità, alluvioni, carestie che saranno sempre più accentuati e devastanti per i cambiamenti climatici. Al contrario, tutti questi problemi avrebbero migliori possibilità di soluzione o di contenimento adottando la strategia dell’adattamento: studi, ricerche, soluzioni, interventi per diminuire pericoli e vulnerabilità dei territori e delle popolazioni. Sul grande esempio dell’Olanda e dei Paesi Bassi dove ci sono 500 anni di esperienze efficaci contro l’innalzamento del livello del mare. Cosicchè, invece di piagnucolare sui cambiamenti climatici e le “bombe d’acqua” (che sono diventati un alibi per giustificare inerzie e inefficienze); su questo c’è molto da fare, perché i nostri territori sono troppo urbanizzati, si costruisce e si cementifica dappertutto, si continua a consumare suolo e aree verdi; le montagne e le aree rurali sono abbandonate e dissestate. Tornando alle due strategie: mitigazione o adattamento, è interessante citare una ricerca effettuata nel 2015, dal Copenhagen Consensus Center, sotto forma di analisi costi-benefici dal tra le due strategie; ebbene, è risultata più conveniente la strategia dell’adattamento. Su tali argomenti, mi sono formato queste idee leggendo anche tantissimi articoli; in particolare ho trovato molto interessante e istruttivo il libro “Il clima globale cambia- Quanta colpa ha l’uomo?” scritto da Ernesto Pedrocchi, professore emerito di energetica del politecnico di Milano, pubblicato nel 2019 dalla società editrice Esculapio.