ATTUALITA’

NON C’E’ PACE PER L’ARMENIA

Patrizia Foresto

Terra antichissima, millenaria e ricca, oggi crocevia di ingenti interessi economici e geopolitici

Non c’è pace per l’Armenia. I conflitti di queste ultime settimane ne sono la conferma. Un padre sui social urla al mondo il suo dolore per la morte di suo figlio diciottenne abbattuto sul fronte. Quel volto giovane e forte è diventato il simbolo dell’Armenia odierna, il simbolo di una guerra che sta urlando un po’di attenzione all’Occidente ed al mondo intero. Il pesantissimo scontro riesploso recentemente tra Azerbaijan e Armenia è a tutti gli effetti antico, con trent’anni di dispute territoriali tra queste due ex repubbliche sovietiche. Si combatte ancora un conflitto irrisolto per la regione montuosa del Nagorno Karabakh, dal 1991 auto riconosciutasi come repubblica, un fazzoletto di terra abitata da armeni cristiani e turchi musulmani ed oggi oggetto di bombardamenti azeri ed attacchi missilistici. Dal 1994 le parti sospesero le ostilità e firmarono l’accordo di Bishkek, ma il cessate il fuoco è spesso violato ed i negoziati senza sbocco. Sforzi attivi per la sospensione delle ostilità oggi sono giunti dalla Russia, da sempre al fianco dell’Armenia, e dalla comunità internazionale, ma nonostante ciò sono stati presi di mira anche numerosi villaggi, insediamenti civili dell’Artsakh, altro nome della repubblica del Nagorno Karabakh, violando così le disposizioni della convenzione internazionale e continuando a non tener conto dell’accordo di cessate il fuoco raggiunto a Mosca. L’Artsakh Defence Army ha reso noto che, a differenza degli attacchi azeri, non puntano il fuoco contro pacifici insediamenti civili, ma soltanto su obiettivi militari per difesa. La guerra che la Turchia e l’Azerbaijan hanno scatenato contro l’Armenia e l’Artsakh e l’alleanza turco-azera, con un attacco senza precedenti con missili, droni, aerei da guerra, artiglieria, truppe e carri armati, hanno l’obbiettivo a quanto pare di occupare completamente il Nagorno Karabakh. Nel processo di negoziazione per quel pezzo di terra gli armeni non accettarono le condizioni azere, cioè la richiesta di rifiutare i propri diritti. E la risposta a questo loro rifiuto fu quella di aprire un conflitto. E’ noto a tutti che il Caucaso meridionale è un corridoio ambito ed importante per gli oleodotti che portano gas naturale e petrolio ai mercati internazionali dal Mar Caspio. Ma facciamo un passo indietro, al passato dell’Armenia, per comprendere meglio il suo presente. Terra antichissima, millenaria e ricca, oggi crocevia di ingenti interessi economici e geopolitici, pare che la natura abbia racchiuso proprio qui, tra le zolle del sottosuolo del Caucaso, alle porte dell’Oriente, i suoi forzieri pregiati. Culla del cristianesimo che per prima abbracciò come religione ufficiale nel 301 d. Cr, nata ai piedi del monte Ararat, l’antica e sacra montagna biblica da cui trae il nome, con un passato d’arte unico e preziosissimo che la guerra sta facendo scomparire.

Piccola eppure ricca fu sempre ambita e contesa già da Romani, Bizantini, Ottomani e Turchi, dai Persiani di Dario I, da Alessandro Magno. Alla fine dell’Ottocento avvenne un primo genocidio armeno ad opera di un sultano ottomano, ma quello più noto risale al 1915 – 16, con la deportazione ed il massacro di circa un milione e mezzo di armeni, anch’esso perpetrato dall’Impero ottomano. Si può dire, senza paura di smentita, che il popolo armeno ha in sé una caratteristica che l’ha sempre accompagnato nei millenni : è la sua straordinaria capacità a non arrendersi, a far fronte, unito, a gravissime difficoltà in ripetuti momenti tragici. Nulla è stato risparmiato a questa gente forte e volitiva, la cui diaspora è sparsa ed operante nel mondo. Incorporata nel 1922 all’Unione Sovietica fu dichiarata indipendente nel 1991 con capitale Yerevan. Oggi su otto milioni di armeni soltanto tre vivono nella loro terra, gli altri formano la diaspora nel mondo. “ Dobbiamo continuare a vivere con onore – ha detto il Primo Ministro dell’Artsakh, Nikol Pashinyan, agli armeni – Avevamo vinto perché credemmo nella vittoria ed oggi, uniti, la rivedremo”. Sono parole forti e coraggiose pronunciate mentre Martuni è diventata oggi la città dei sepolti vivi, sopravvissuti al primo attacco dei missili azeri nel Nagorno Karabakh. Dei seimila abitanti ne sono rimasti meno di quattrocento, molti sono sfollati in Armenia, soprattutto donne e bambini, mentre qui restano solo detriti e distruzione e poche anime, quasi fantasmi, che vivono nelle catacombe mentre gli uomini validi sono stati arruolati. E’ la città dei ricordi. Armen mostra i detriti che furono la casa del suo anziano padre, colpita da un missile undici ore dopo il cessate il fuoco, facendolo saltare in aria sul suo letto. L’Ambasciatrice armena Tsovinar Hambardzumyan a Roma  ribadisce che continueranno a lavorare per trovare una soluzione pacifica al conflitto. Risuona nell’aria una canzone che l’Occidente conobbe nel 1988, ai tempi del gravissimo terremoto che colpì l’Armenia. E’ ‘Pour toi Arménie’, scritta dal famoso chansonnier armeno naturalizzato francese Charles Aznavour, figlio di sopravvissuti al genocidio, che fu anche uomo politico in difesa dei diritti del suo Paese d’origine e che, con la sua dedizione e la sua generosità, contribuì a farlo conoscere nel mondo. Sua fu l’idea di far cantare le note a 90 artisti amici in tutto il mondo ed i proventi andarono interamente alla ricostruzione del suo Paese. Oggi questa canzone torna più che mai attuale. Una speranza, un monito.