CULTURA
NEL DUECENTENNALE DELLA POESIA “MARZO 1821”
Salvatore Vullo
Wanderlust significa letteralmente ‘desiderio di vagabondare’, passione irrefrenabile per il viaggio e per tutto ciò che al viaggio si collega.
Marzo 2021. In questi giorni, pensando al mese e all’anno che stiamo vivendo, il mio pensiero è andato subito alla poesia di Alessandro Manzoni “Marzo 1821”. Insomma, ne ricorre il 200°. Appartengo ad una generazione che a scuola apprendeva quasi tutto a memoria: la geografia, con i fiumi, monti, città, la storia, con i suoi grandi avvenimenti, personaggi e date, la matematica, con tabelline e teoremi. E, dulcis in fundo, le poesie. Sono tutte nozioni che io dopo quasi 50 anni ricordo perfettamente. E ogni tanto, mi chiedo come studiano oggi i ragazzi; mi pare che le nuove tendenze didattiche, pedagogiche, egemonizzate da certe ideologie e utopie, hanno un po’ demolito tutto; ha preso piede un relativismo che ci ha portato a orizzonti piatti, banali. Abbasso il nozionismo! Niente più fiumi, città, date storiche, tabelline, poesie imparate a memoria. Ma io dico che sono tutte cose che aiutano ad allenare il ricordo, ad esercitare la logica, ad affinare le capacità analogiche e i sillogismi. Oggi, infatti, trionfa l’insiemismo, il generalismo, che disabituano a ricordare le cose, a distinguere, collocare, riconoscere. E ritorno sulle poesie. Ah, che bellezza le poesie: le amavo, e mi piaceva proprio studiarle, impararle a memoria, e ancor più recitarle. Le ricordo ancora quasi tutte. Avevo avuto anche la fortuna alle medie di avere una bravissima insegnante di lettere, che era anche appassionata delle poesie, che portava a scuola i suoi dischi con le poesie classiche recitate da grandi attori dell’epoca, come Arnoldo Foà, Riccardo Cucciolla, Vittorio Gassman, Nando Gazzolo; dischi che ci faceva ascoltare, e così anche noi, dopo averle ripetutamente ascoltate e imparate a memoria, ci cimentavamo anche nella recitazione. Poesie piccole e grandi che hanno segnato intere generazioni, che ne hanno formato il carattere, la cultura; poesie epiche, come appunto, “Marzo 1821”, e poesie dei grandi sentimenti, come “Al padre”, di Camillo Sbarbaro, “Nonno e nipotino”, di Lina Schwarz, “Oh, Valentino” di Giovanni Pascoli. Poesie che comunque lasciavano tracce, riferimenti, ricordi anche nei ragazzi più svogliati, meno vocati allo studio. Infatti io ricordo che, un po’ per celia, un po’ come espediente per aiutarci nell’apprendimento, io mi ero inventato lo studio delle poesie cantandole sull’aria di canzoni famose; un classico esempio era “San Martino” di Giosuè Carducci, cantata sull’aria di “Quel mazzolin di fiori” in versione accellerata puntata; ed ancora: la nostra “Marzo 1821” recitata e cantata sull’aria di una ballata popolare. E così, siamo ritornati a “Marzo 1821”, una delle tante poesie che avevo imparato a memoria e che era uno dei miei cavalli di battaglia. Questa poesia, anzi “Ode”, magnifica composizione in versi, di cui ricorre, in questo Marzo 2021, il duecentennale, è di Alessandro Manzoni, considerato il più importante scrittore italiano, basti pensare al grandioso romanzo storico “I promessi sposi”, a quel capolavoro che è “La storia della colonna infame”, un testo che dovrebbe essere obbligatorio per chi fa Giurisprudenza e tenuto al capezzale da chi fa il magistrato; ed ancora, alle tragedie, come “L’Adelchi”. Manzoni è anche uno dei nostri “Padri della Patria”. Un grande uomo del suo tempo, che seppe al meglio esprimere gli ideali del Romanticismo del 1800. La grandezza di Manzoni sta nell’aver saputo ben coniugare e amalgamare le idee e i valori dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese, sui quali si formò nella sua giovinezza, agli ideali democratici e liberali, al gusto delle libertà e della giustizia, che il Manzoni seppe esaltare nel suo ritorno al cattolicesimo, al cristianesimo, dove vide la radice genuina dell’animo umano, il principio di vera moralità e di civiltà. Cattolicesimo come rinnovamento spirituale, che riconoscesse la dignità e la santità della persona umana, e quindi fattore evolutivo di fraternità, giustizia, progresso. Manzoni, come uomo del suo tempo, era consapevole che, a proposito di libertà dei popoli, e della sua Italia, che tale libertà può essere conseguita solo con l’unità e con la completa indipendenza dallo straniero.
Manzoni fu, infatti, uno dei più convinti assertori dell’unità e dell’indipendenza dell’Italia; convinzione legata anche alla sua professione di fede cattolica. Manzoni, dunque, fu anche un grande antesignano del nostro Risorgimento. L’ode “Marzo 1821”, rappresenta una delle più importanti e intense liriche dedicate al risorgimento italiano che Manzoni scrisse durante i moti carbonari del 1821, che furono notevoli in Sicilia e in Piemonte; la scrisse quando sembrava che Carlo Alberto, erede del regno di Savoia, sull’onda di tali insurrezioni, con le sue truppe stesse per varcare il Ticino e liberare la Lombardia dall’oppressione austriaca (allora il Ticino era il confine tra lo stato di Savoia e il Lombardo Veneto austriaco), per così segnare l’inizio di un’Italia una, libera e indipendente. Ma, come sappiamo, i moti furono stroncati e Carlo Alberto non si mosse, e l’ode venne pubblicata nel 1848, dal governo provvisorio milanese, dopo le Cinque giornate che caratterizzarono la prima guerra d’indipendenza. L’ode è troppo lunga per riportarla qui intera, e ne propongo alcuni passi emblematici, che possono essere da stimolo per andare a leggere o rileggere “Marzo 1821”.
L’inizio, solenne, simile a una ouvertur Verdiana, come i Vespri Siciliani:
“Soffermati sull’arida sponda ,
volti i guardi al varcato Ticino,
tutti assorti nel novo destino,
certi in cor dell’antica virtù,
han giurato: …”
E, quei versi che ci fanno immaginare l’Italia finalmente libera dallo straniero e unita con quei sentimenti e valori di una moderna nazione:
“ …una gente che libera tutta
O fia serva tra l’Alpe e il mare;
una d’arme, di lingua, d’altare,
di memorie, di sangue e di cor …”
Ed ancora, i moniti rivolti agli occupanti stranieri:
“ O stranieri, nel proprio retaggio
Torna Italia e il suo suolo riprende;
o stranieri, strappate le tende
da una terra che madre non v’è”…”
E, quei versi, espressi da cattolico liberale, che esorta a insorgere e combattere in nome di un Dio che che è amore, ma anche giustizia; ed è anche lotta per la libertà, come affermazione del bene contro il male; come buona e giusta rivendicazione dei popoli oppressi:
“… Dio rigetta la forza straniera …
…chi v’ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell’itale genti?
Chi v’ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che v’udì?
Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele …”
Infine, alcuni versi come esortazioni finali:
“ Cara Italia! Dovunque il dolente
grido uscì del tuo lungo servaggio …
… Per l’Italia si pugna, vincete! …
…O risorta per voi la vedremo
Al convito dei popoli assisa,
o più serva, più vil, più derisa
sotto l’orrida verga starà …”