La narrazione modifica l’orizzonte, condiziona il percepito, indirizza il sentiment e determina le azioni. I fatti restano tali, ma ci dicono cose differenti innescando reazioni a catena. Una narrazione progettata con cura determina scelte economiche, politiche e culturali, ma anche quotidiane e individuali. E’ sempre stato così, però nel 2020 due fattori hanno accentuato il fenomeno: la comunicazione sul web, invadente e autoreferenziale, e la pandemia, che ha cancellato certezze, incrinato sicurezze, permesso l’abbordaggio dei millenaristi al vascello della globalizzazione. Oggi chi ha in mano la narrazione non solo è ben consapevole delle conseguenze, ma può garantirsi il bottino pieno in poche settimane. Il cittadino metropolitano, fino allo scorso anno al vertice della catena alimentare, è come in carenza di ossigeno, cerca un erogatore che gli somministri informazioni, certezze, sentieri abbordabili anche dove non ci sono, anche quando sa che non ci sono. Ci vuole credere come i topolini sedotti dal pifferaio di Hamelin. Nello scenario odierno la certezza, persino se preoccupante, è meglio del dubbio e gli autori del racconto restano dietro le quinte. Anche questo fa la differenza col passato, quando la narrazione era governata dalla politica e dalla fede, dagli imperatori e dai papi, da governanti come Churchill o come Roosevelt. Stature umane rilevanti, che sapevano mettersi di traverso raccontando il nuovo e rovesciando la storia. La narrazione è un arte ed il giudizio storico non conta, perché in epoca nazista la Germania si adeguò a una narrazione di efficacia devastante. Nel 2020 l’autorevolezza degli statisti è impalpabile, quella della fede mostra il segno del tempo, l’economia rovescia i governi ma non prevede troni e corone. Tutto è liquido, inafferrabile, il potere governa sottotraccia un mondo spaventato. Il territorio ideale per una narrazione che parte dai media mainstream, si gonfia coi social media, si radica nei cittadini metropolitani che si adeguano ai messaggi, se ne fanno portatori, attaccano protervi i pochi riottosi alla corrente. La lettura della pandemia verrà studiata nelle facoltà di comunicazione per i prossimi trent’anni. In questo caso la narrazione – e suoi fini non sono ancora manifesti – ha giocato le sue carte sulla paura. In un susseguirsi di slogan – io resto-a-casa – di colpevolizzazioni e minacce – con il trasgressore del lockdown bollato come bandito – di previsioni prive di ogni base – con gli algoritmi a dettare l’evoluzione (sempre nefasta) del virus – di attese proverbiali per i ‘numeri’ della Protezione Civile alle 18 – col calcolo dei contagi e delle vittimi a scandire le serate, ma provate a pensare se quotidianamente ci fossero snocciolati le cifre dei morti per infarto o dei malati di tumore…ma tant’è – fino alla negazione (o alla messa in dubbio) del progressivo miglioramento. Gli ultimi anatemi raschiano il fondo del barile: ‘allarme focolai!’ (anche se di poche unità) e ‘tutti pronti alla seconda ondata’, iettatoria profezia senza alcuna validità scientifica. Da un attenta lettura di buona parte della stampa osserviamo che se i casi giornalieri aumentano ‘casi in aumento’ occupa la riga di testa, ma se i casi diminuiscono il dato viene sommerso nel testo. Il dato peggiore vince sempre. Se le riflessioni sono a livello internazionale si parla solo dei paesi maggiormente colpiti, gli altri, quelli dove il virus batte in ritirata (come la Francia), sono semplicemente ignorati. La narrazione del timore indotto è molto più forte on line che sugli altri media (carta stampata e TV hanno col tempo mollato la presa) perché la rete amplifica velocemente il messaggio originale attraverso i social. Esistono poi testate web – come il famigerato Ilmeteo.it – dove il gioco della paura si fa talmente manifesto da diventare grottesco. Lascio ai complottisti trarre le facili conclusioni (nella maggior parte dei casi errate) di questo fenomeno. Le ragioni, forse finanziarie, forse politiche, non saranno manifeste prima dell’autunno. Certo è che sul panico si guadagna, perché le scelte economiche partono sempre prima dalla psiche, e solo dopo dal portafogli. E, sempre in economia, per uno che vende (assediato dalla paura e dalla crisi) c’è un altro che compra. Queste narrazioni senza narratore palese si dispiegheranno nel prossimo futuro rispondendo ai bisogni più ancestrali dell’uomo – la leggenda, l’archetipo della fiaba, fino ad arrivare al cantastorie – ma in versione world wide web, il più efficace e rapido mezzo di comunicazione sinora concepito. Qualcuno ci scherza su, come Marc-Uwe Kling nel suo ‘Quality Land’, romanzo sul futuro prossimo, che l’autore propone in due versioni: quella per ottimisti e quella per pessimisti. Anche il National Geographic, per il numero di aprile, in piena pandemia, è stato al gioco. La medesima rivista aveva due copertine: una intitolata ‘Abbiamo salvato il mondo, guida ottimista alla Terra del 2070’, l’altra ‘Abbiamo perso il mondo, guida pessimista alla Terra del 2070. Stesso numero di pagine per i due temi, ma risultati drasticamente opposti. Perché ogni narrazione – è sempre bene tenerlo a mente – contiene potenzialmente il suo antidoto, il suo opposto, il suo paradosso. Perciò al ‘moriremo tutti nella seconda ondata’ può essere contrapposto ‘il virus è in remissione riprendiamoci le nostre vite’, se per qualcuno ‘L’Europa ci soffoca’ per altri ‘L’Europa ci salva’, se quest’autunno dobbiamo prepararci ‘alla più grade crisi economica mai vista’ il contraltare sarà ‘abbiamo le risorse e le energie per la ripresa’. Moriremo di narrazioni contrapposte? Non penso, ma impareremo a diffidarne. E oggi per coltivare lo spirito critico nessuno strumento ci manca, ma forse quello che scarseggia è il tempo di fronte agli oceani di informazioni disaggregate. Come in un racconto di Edgar Allan Poe la verità sta proprio sotto gli occhi, a portata di un clic sullo smartphone, ma è affogata insieme a milioni di dati, faccine sorridenti, commenti strillati, foto esibite, prime pagine di giornali veri, plausibili o farlocchi, scritti da giornalisti certificati, ma anche da faker senza scrupoli. Ci vuole occhio e rapidità di giudizio, perché la narrazione è affascinante, ma lo è come le sirene di Ulisse. Qualche volta occorre farsi legare per scegliere bene e non scegliere subito. Il premio? Capire che anche noi siamo narratori, che i social sono la nostra arma, che gli altri, forse, ci ascoltano. Nel 2020 siamo diventati tutti Media, ancora più di prima. L’io narrante del nuovo millennio può ancora cambiare il corso delle cose.