EMOZIONI
L’INVIDIA TE LA DEVI MERITARE
Walter Comello
Ho sempre creduto che, per piacermi, dovevo pensare e fare cose giuste
C’è una cosa terribile in questo mondo, che molta gente impieghi la stessa passione per essere felice e l’altra metà per impedire agli altri di esserlo. Socrate la definiva l’ulcera dell’anima, ma come questa non ti accorgi del suo insorgere se non quando è tanto grande da essere fuoco e bruciarti intensamente dentro. Quando ancora non ne hai legittimato la presenza è una emozione inaspettata, muove in modo forte contro i sentimenti di sempre. Ti turba, ma a lei ti inchini, come un servo scaltro difronte ad un padrone da cui presuppone trarre vantaggio. L’invidia ti dà un piacere inaspettato di cui a pensarci bene ti vergogni, ma è un piacere sconosciuto, eccitante, trasgressivo. Va contro la morale e l’etica che hai sempre avuto e forse ti eccita proprio per questo. Essere buoni e corretti a volte appare noioso e in-vedere, guardare di traverso, contro ciò che solitamente non ci si permette, ciò che fuoriesce dall’identità in cui ci si riconosce, è qualcosa di estremamente coinvolgente. L’invidia è quella brutta cosa che ti hanno insegnato a ripudiare, ad allontanare dalla tua anima prima che, come un demone, si impossessi di lei, eppure accettarla ti dà un gran senso di libertà. I demoni hanno tutti la stessa caratteristica, ti seducono proponendoti una qual forma di libertà e proprio quella in cui sei più fragile o più bisognoso. Perché si deve essere così sempre morali, per bene e corretti, quando il mondo non lo è, anzi non perde occasione per mostrarsi ingiusto e faticosamente meritocratico? Se non si ha una cosa a cui si tiene e qualcuno la possiede, disturba, inquieta, la si vorrebbe rubare. Se non posso appropriarmene vorrei che lui non l’avesse, perché non è giusto, perché non se la merita e se la merita mi dà fastidio ancora di più perché mi fa pensare che io non me la sia meritata. Da ora in poi questo maledetto sentimento non me lo voglio più nascondere. Ho sempre creduto che, per piacermi, dovevo pensare e fare cose giuste, ora ho scoperto parti di me che ho occultato da sempre e mi danno un incredibile perverso piacere. Non avevo mai pensato che un pessimo sentimento fosse capace di questo. Mi lascio andare all’invidia e comincio a detestare chi ha più di me, chi ha realizzato ciò che io non ho saputo o potuto realizzare, chi è più ricco, chi ha più potere, chi è più amato, chi è migliore. Nella negazione si afferma se stessi, all’età di due anni il bambino acquisisce consapevolezza di sé distinguendo sé dalla madre, adottando spontaneamente e inconsapevolmente un comportamento oppositivo alle sue richieste. L’invidia può avere allora origine da una pulsione naturale che stimola una competizione territoriale, dove l’evoluzione della specie ne trarrà vantaggio in una selezione che nasce dal conflitto dell’individuo verso il suo simile. L’uomo dovrebbe però riconoscersi in un modello migliore, forse meno istintivo, solo apparentemente più faticoso, ma in realtà più appagante.
La competizione sana, quella che rende migliore l’individuo e la sua specie, trae spunto dai risultati di altri, spendendo tutte le proprie risorse per essere migliore. George Gurdjief scriveva che non ci sono né russi, né americani, ne’ ebrei, ne’ inglesi…, ma solo uomini in cammino per imparare ad essere. Allora cosa si deve invidiare? Il potere che non si è capaci di conquistare, il denaro che non si è capaci di guadagnare, l’amore che non si è capaci di meritare? L’invidia è un sentimento di chi accetta le sue incapacità, smette di pretendere da se stesso, accoglie la seduzione della fragilità di chi pensa di essere inferiore e per questo può confliggere, magari in modo sleale, e costruirsi una morale di rappresentanza. Il merito o il guadagno altrui vengono sempre percepiti come una perdita propria. L’invidioso non ha un Io forte, ben strutturato, ma si appoggia sempre ad un Io gregario. Tutti compiangono il debole, mentre l’invidia te la devi meritare. Leonardo da Vinci a tal proposito diceva che non appena nasce la virtù, nasce contro di lei l’invidia e farà prima il corpo a perdere la sua ombra che la virtù la sua. Poi c’è la mente che va nutrita di emozioni, come la pancia, e se ogni giorno non le dai da mangiare cose buone, lei cerca nutrimento in ciò che trova. Se ogni giorno non la nutri di Eros, la pulsione alla vita, la forza creatrice, lei ricorre a Thanatos la pulsione alla morte, la forza distruttiva che cerca il suo nemico, l’avversario su cui scaricare l’aggressività. Meglio la forza distruttiva verso l’esterno che quella autolesionistica, screditante e depressiva. In fondo l’invidia è uno psicofarmaco naturale che stabilizza l’umore, mantiene sufficiente il livello di autostima, produce energia e soprattutto evita la depressione. Ci sono persone più scaltre, più capaci, più fortunate o semplicemente migliori, per circostanza, per storia, per genetica, per combinazione, per merito. Non si deve invidiare ciò che non si è o non si ha, ma diventare capaci di esserlo, solo di conseguenza di avere. Il risultato deve essere il punto d’arrivo del fare bene e le emozioni per nutrire la mente da questa devono derivare. Esistono vite e mondi diversi, il segreto è capire che nulla è indispensabile, che l’obiettivo nella vita è essere contenti, non per accontentarsi, ma per comprendere le diversità che ne fanno i contenuti. Achille nell’Odissea diceva: “Ti dirò un segreto, una cosa che non insegnano. Gli Dei ci invidiano, ci invidiano perché siamo mortali, perché ogni momento può essere l’ultimo per noi, ogni cosa è più bella per i condannati a morte… E tu non sarai mai più bella di quanto sei ora, questo momento non tornerà…”. Se anche gli dei peccano di invidia, riconosciamo la virtù di quegli uomini che non la conoscono, perché all’impegno personale hanno votato la loro vita, e dell’invidia facciamocene una serena, indifferente ragione.