POLITICA
LA SINISTRA E L’ITALIA DEVONO FARE I CONTI CON BETTINO CRAXI
Salvatore Vullo
Ma hanno fretta di inchiodare la bara e seppellire Craxi.
La vita è possibile perché sorretta dalla memoria. La memoria garantisce la permanenza della identità individuale e di gruppo, le radici, le tradizioni; e soprattutto l’effettiva conoscenza del passato che è condizione necessaria per affrontare consapevolmente il presente e costruire il futuro. Ma la cultura della memoria da quella dell’oblio; e la storia è un eterno conflitto tra memoria e “Inquisizione”. Ecco perché di tanti fatti storici abbiamo solo ricordi e non “Memoria”. La memoria è la capacità di dare un posto al ricordo e farlo diventare parte della nostra storia, della nostra identità. Ma questo spesso non accade perché incombono imbarazzi, vergogne, mistificazioni e domina il conformismo. Un lungo elenco di fatti storici della nostra Italia ne sono stati oggetto: dal Risorgimento all’Unità d’Italia, sull’avvento del Fascismo, sulla guerra e la guerra civile seguente; il dopoguerra, gli anni di piombo, del terrorismo. Ma questa sindrome è ancora più grave per la fine della Prima Repubblica (che non è solo Tangentopoli): una grande ferita aperta, tragica, cruenta; una falsa rivoluzione che, in piena democrazia, spazzò via una intera classe dirigente dell’Italia (la migliore che abbia avuto questo Paese), con un furore e violenza che non si verificò neanche nel passaggio dal Fascismo alla Democrazia. La vittima eccellente, il capro espiatorio di questa pseudo rivoluzione mediatica-giudiziaria fu Bettino Craxi (in questi giorni ne ricorre il 23° della morte): un grandioso personaggio, che emerge tra tante tremule figure, che da tempo aveva scatenato i peggiori pruriti moralistici ideologici, facendone un simbolo assoluto del male; intanto per sminuirne la grandezza, con la quale non reggono al confronto, e perché esaltare il male altrui, sguazzarci sopra, serve a distogliere l’attenzione dal proprio male, a renderlo irrilevante o inesistente. Nella sua parabola politica, Craxi è un uragano che irrompe nello sclerotizzato panorama italiano che vive di comode rendite politiche. Diventa segretario del PSI nel 1976, e prende in mano un partito, che dopo la positiva esperienza del primo Centro-Sinistra, si rivela debole, rissoso e subalterno. Craxi comincia l’opera di deideologizzazione del PSI, fortemente permeato da posizioni massimaliste e subalterno al PCI che aveva egemonizzato la sinistra (a quel tempo c’era stato anche il sorpasso sulla DC), ma incapace di proporsi come alternativa al governo del Paese per le sue posizioni fortemente ideologiche, legato ai miti della rivoluzione e delle utopie “sessantottine”, legato al blocco comunista dell’URSS e dei Paesi dell’Est Europa. Un PCI sostanzialmente anticapitalista, refrattario al socialismo democratico e riformista, e che vagheggia su fumose “terze vie”, “Eurocomunismo”, con posizioni politiche sostanzialmente “moralistiche”, “pauperistiche”, “giustizialiste”. Craxi vuol fare del PSI il partito guida di una sinistra moderna, laica, riformista, liberale, innovatrice, consapevole della sua azione di governo nella collaborazione-competizione con la DC e nell’incalzare il PCI nella sua evo0luzione politica per costruire una sinistra moderna e riformista che possa diventare maggioranza e proporsi per il governo del Paese. E Craxi lo fa recuperando gli antichi valori del socialismo tricolore e umanitario, con i suoi personaggi come Garibaldi, Cesare Battisti, De Amicis, Carlo Rosselli, Ignazio Silone; nel congresso di Palermo del 1981, per la prima volta in un congresso socialista, l’Inno di Mameli inaugura l’apertura dei lavori e risuona assieme all’Inno dei Lavoratori. Craxi rinsalda i rapporti con gli altri leader socialisti europei e segue molto le vicende internazionali con un ruolo importante come vice presidente dell’Internazionale Socialista affiancando il presidente Willy Brandt. In tale ambito è forte l’attività di Craxi a sostegno del Dissenso e delle opposizioni nei regimi comunisti e contro varie dittature nel mondo. Con Craxi, in quegli anni, per la prima volta a sinistra, si comincia a parlare di meriti e bisogni, di economia e di mercato, di professioni, e delle qualità e peculiarità dell’Italia espresse nella tecnica, nelle arti, nella scienza, nella cultura, nella bellezza ambientale e paesaggistica, nella moda, nell’agroalimentare, insomma, tutto quello che verrà definito “Il Made in Italy”. Tali elementi sono quelli di una sinistra di governo a cui Craxi darà forte impulso negli anni in cui sarà alla guida del governo (1983- 1987). Quelli del Governo Craxi sono gli anni in cui l’Italia esce dal clima cupo e sanguinario degli anni di piombo, e che segnano l’evoluzione economica e sociale dell’Italia che entra tra i 7 Grandi del Mondo (il G7) e che sorpassa la Gran Bretagna: l’Italia che abbatte l’inflazione a due cifre, che vince il referendum contro il taglio della contingenza; Sigonella, Il nuovo Concordato Stato Chiesa; un governo che promuove, che dà fiducia e sostegno alla creatività, inventiva, genialità, capacità tecniche e umane del lavoro italiano espresso da centinaia di migliaia di imprenditori, artigiani, commercianti, agricoltori. Se ci pensiamo, questi sono gli anni di un altro boom economico (dopo quello degli anni ’60), l’Italia cresce e cresce il PIL, e questo lo sottolineo perché ancora adesso c’è qualche mistificatore che incolpa Craxi anche del debito pubblico accumulato. Ma il debito pubblico dal 1946 al 1992 è stato di 795 miliardi di euro, più o meno costante negli anni; dal 1992 al 1994 è aumentato di altri 200 miliardi e dal 1994 al 2011 è arrivato a 1931 miliardi (quasi raddoppiato rispetto ai primi 48 anni, e in più bisogna aggiungere che dal 1994 al 2011 ci sono state le cosiddette privatizzazioni, banche, Telecom, partecipazioni statali, insomma abbiamo svenduto i gioielli di famiglia, quindi siamo più poveri e con un boom del debito pubblico). Ma ritornando al furore giustizialista dei primi anni ’90, che distrusse la prima Repubblica, che chirurgicamente colpì tanti, Craxi e Socialisti in primis, e salvaguardò altri (come il PCI), paradossalmente si verificò dopo il crollo del comunismo nell’URSS e Paesi dell’Est; e fu basato sul Finanziamento illecito o irregolare ai partiti, tutti i partiti, compreso il PCI che riceveva anche milioni di rubli dai comunisti sovietici (un problema tuttora vivo irrisolto, come dimostrano una serie di casi che hanno colpito la Margherita, la Lega, alcune fondazioni politiche come quella di Renzi, ecc..).
Craxi, nel suo famoso discorso alla Camera del 3 luglio 1992, sul finanziamento irregolare, aveva affermato che esso riguardava tutti i partiti, che serviva a far funzionare la politica, e nessuno si alzò a smentire, e disse anche che la soluzione non poteva che essere politica, pena la disgregazione e l’avventura (come avvenne), e propose la soluzione con una nuova legge che regolasse il finanziamento dei partiti. Perché non c’erano ladri, non c’era malaffare, c’era il funzionamento della politica, con finanziamenti irregolari (problema tuttora irrisolto). Ma il PCI-PDS, in continuità con la linea berlingueriana della “questione morale” e della “diversità comunista”, aveva da tempo scelto “l’opzione giudiziaria”, come riferì il dirigente comunista Gerardo Chiaromonte a Craxi, nel novembre del 1991. Tangentopoli nacque e dilagò in continuità con quella linea politica, che per il PCI fu anche una scorciatoia per “non fare i conti con la storia” neanche dopo il crollo del comunismo. Una scelta che salvaguardava il PCI-PDS, faceva fuori gli altri partiti, soprattutto il PSI, usurpandone la rappresentatività politica, e diventando il dominus della seconda Repubblica. Nel contempo iniziano i mesi cupi, grevi, violenti del “manipulitismo”, i comitati di salute pubblica a caccia degli untori, come Craxi, il suo quasi linciaggio davanti l’hotel Raphael, quel 30 aprile del 1993, diventa, tra i tanti, uno dei più ignobili e simbolo, come la Colonna Infame del Manzoni, dell’orrore del manipulitismo e di squadrismo; per non parlare della caccia terroristica mediatica e giudiziaria, che costringe Craxi ad andare nella sua residenza in Tunisia, mi sono immaginato pensando a quella frase di Malcom nel “Macbeth” di Shakespeare, quando apprende che suo padre il re di Scozia è stato assassinato: “Non è un furto sottrarsi da questo posto dove non esiste più spazio per la pietà (e per la Giustizia)”, e fugge dalla Scozia. Ma hanno fretta di inchiodare la bara e seppellire Craxi, infatti da lì a poco, nell’autunno del 1993 inizia il processo Enimont: il padre di tutti i processi, centinaia di imputati, tra cui tutti i segretari del pentapartito, ma c’è anche Umberto Bossi; un processo così che avrebbe chiesto anni, si conclude in 6 mesi, (neanche nei regimi sovietici) nell’aprile del 1994, con una condanna di tutti, ovviamente quella più alta a Bettino Craxi (contumace), proprio per impedirgli di potersi ricandidare alle elezioni politiche che si terranno il mese successivo ( quelle elezioni che saranno una batosta per la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto. Da allora, Craxi si fa 6 anni di esilio in Tunisia, una pena vissuta tra profonde umiliazioni, sofferenze, privazioni, e con una serie di malattie che nel giro di alcuni anni lo portarono alla morte. Sappiamo come è andata la seconda repubblica, nata con una classe politica residuale (e impunita), quindi debole e subalterna specie nei confronti del potere giudiziario, ma anche nei confronti di altre lobby e corporazioni, economiche, finanziarie, mediatiche, per non parlare degli organismi internazionali ed europee. E ne vediamo il continuo prezzo che ne paghiamo. E vediamo anche come si è ridotta male la sinistra, smarrita e senza identità, debole e subalterna, che insegue tutte le farfalle movimentiste. Ma sa, e non vuole ammetterlo, che non può che ripartire da quella esperienza di Craxi e del suo socialismo democratico, riformista, liberale, da quella cultura di governo. Infine, nel merito delle inchieste e processi “mani pulite”, ricordiamo, in punta di Diritto, che nel 1993, in piena tangentopoli che mieteva vittime e arrotava vite umane, uscì un rapporto della “Federazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo” (FIDH) sull’esercizio della Giustizia in Italia, che ovviamente passò totalmente inosservato. In esso si denunciava che la carcerazione preventiva di un gran numero di indiziati, molti dei quali personaggi celebri, ufficialmente motivata dalla preoccupazione per un possibile inquinamento delle prove, ha in realtà lo scopo di esercitare delle pressioni per ottenere confessioni di colpevolezza o denunce di complici o di correità. Questa pratica appare in contraddizione con il disposto dell’art. 275 del nuovo codice penale che indica la “Detenzione preventiva” “come una misura coercitiva di natura eccezionale”, e appare in contraddizione con i testi internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo. Essa solleva inoltre il delicato problema della confessione come mezzo di prova giudiziaria”. Il rapporto, così continuava: “Gli eccessi constatati nell’applicazione delle inchieste sulla corruzione sono anche più preoccupanti perché sembrano sottratti a qualsiasi tipo di controllo. Infatti la maggior parte dei ricorsi al tribunale della libertà sono stati rigettati. Ma essi sono ancor più confortati e protetti da una certa opinione pubblica, la cosiddetta piazza, sempre pronta ad invocare gogne e forche e a plaudire sempre su quello che fanno i magistrati inquirenti, che così diventano personaggi protagonisti al riparo da qualsiasi critica pubblica”. Queste stesse parole della FIDH, erano state poi riprese ed espresse dal Procuratore Generale della Cassazione. E ricordiamo ancora le critiche e condanne espresse nel 2002 dalla Corte di Giustizia Europea su alcuni processi che avevano condannato Craxi, proprio perché era stato violato il diritto ad un equo processo per uno degli aspetti stabiliti dalla convenzione europea. E ulteriore conforto, a questo quadro, è venuto, nei mesi scorsi, con le rivelazioni del magistrato Guido Salvini, GIP del tribunale di Milano, già GIP ai tempi di mani pulite; il magistrato Salvini rivela che in quel 1992, nel tribunale di Milano le regole per l’assegnazione dei fascicoli venivano sistematicamente aggirati, cioè facendo in modo che le richieste di arresto del Pool mani pulite venissero sempre assegnate a un unico giudice: il famoso GIP Italo Ghitti che, non a caso, accoglieva sempre e rapidamente tutte le richieste di arresto dei PM. E già, a quell’epoca, le osservazioni e denunce di Guido Salvini non vennero prese in considerazione, nulla si mosse, nessun giornale ne parlò. Nel seguito il capo dei GIP venne promosso a procuratore generale e il famoso Italo Ghitti venne eletto al CSM. Mi chiedo se tutto questo potrebbe persino invalidare tutti i processi di Mani pulite.