ATTUALITA’

LA BOLGIA INFERNALE

Eugenia Massari

Per ch’io mi volsi, e vidimi davante

E sotto i piedi un lago che per gelo

Avea di vetro e non d’acqua sembiante…

(Dante, Inferno. Canto XXXII)

Corpi che si ammassano. Gruppi che si accalcano con violenza. Fronti che si accaldano. Parole a malapena udite e solo in virtù tecnologica di microfono.  In sottofondo, urla indistinte e feroci. La diretta dal Parlamento ci regala l’immagine dell’essere umano invasato dall’avidità – i cani che si litigano l’osso -. L’interiore – a malapena compresso – …digrigna i denti?  ‘L fosso in che si paga il fio / a quei che scommettendo acquistan carco. Inferno, nona bolgia, ventottesimo Canto. Dante vi colloca quei che “scommettendo” acquistan carco. Scommettendo, letteralmente dividendo, dilaniando, si meritano questo posto. Sono i seminatori di discordia civile. Non fanno gli interessi della loro terra, della loro città, né vogliono governare. Acquistano potere o benefici personali dividendo e distruggendo la comunità. Ottava bolgia. Qui, in fiamme separate e nascosti alla vista – così come nascoste erano le trame e gli inganni utilizzati in vita – bruciano i consiglieri fraudolenti. Decima bolgia, nono cerchio, i traditori di chi si fida. Ma ecco che, scendendo sempre più in basso, nel paesaggio fisico del viaggio dantesco come nella natura umana, troviamo Antenora. Il troiano Antenore aveva tradito la sua città e immersi nel ghiaccio, costretti ad una posa congelata che li immobilizza con il viso all’insù – l’arroganza, la freddezza o forse l’attitudine dissociativa di chi non vuole voltarsi a comprendere gli effetti delle proprie decisioni? – troviamo i traditori della Patria. Dante era un uomo di mondo. Conosceva a fondo la vita e la politica del suo tempo. Dopo che era stato vietato ai nobili di ricoprire incarichi, se non appartenendo alle corporazioni, si era iscritto a quella dei Medici e Speziali e si era dato all’attività politica. Aveva ottenuto diversi incarichi, fino a ricoprire la carica di Priore. Il conflitto tra bianchi e neri e il modus operandi di Bonifacio VIII, portarono a feroci scontri e a una vera e propria persecuzione dei bianchi. Dante fu condannato al rogo – dopo un tentativo infamante di incriminarlo per baratteria, cioè corruzione – e costretto all’esilio. L’immagine che emergeva della Chiesa nella sua società, era quella di un’istituzione corrotta, ma anche e soprattutto avida e divisoria, che non solo si piegava a servire il potere temporale ma lo bramava.  In tutta l’opera di Dante c’è la consapevolezza dell’unità culturale dell’Italia e dell’identità condivisa –

fattore presente e strutturato già nel mondo antico, addirittura pre-romano, dove un nucleo di popolazioni italiche di allora, venivano ascritte ad unico culturale, linguistico ed etnico -. Allo stesso tempo però, Dante vede nelle élites del tempo e nella politica la spinta divisiva. Se l’Italia è amata, i suoi governanti sono dal poeta odiati e visti come causa del degrado. L’Italia emerge quindi come una preda, un oggetto di conquista. Dove la conquista e la depredazione sono favorite dalla corruzione dei governanti. Usurai, ruffiani e seduttori, adulatori e lusingatori, barattieri – coloro che facevano profitti illeciti dagli incarichi pubblici –, tutte queste figure trovano posto nell’orrifico paesaggio dell’Inferno. Sono figure storiche. Sono figure archetipiche. Sono caratteristiche interiori del carattere umano. Le bolge in cui Dante li colloca sono diverse per conformazione. Si aprono a profondità diverse della spirale discendente dell’Inferno, in base alla gravità delle malefatte. Eppure in tutto il viaggio del poeta, tutte queste caratteristiche e tutti questi caratteri, intesi come personaggi, sono accomunati da un tratto. Il modo in cui sono rappresentati. Sono massa. Spesso informe. Sono corpo che mostra nel gesto agito l’intenzione interiore. Si ammassano, si accalcano, si mordono, continuano ad invidiarsi, si schiacciano quando possono. Gridano, urlano, stridono. Quando congelati, o fermati o isolati, continuano imperterriti nel loro personale delirio. Sono rappresentati come invasati, accecati, incapaci di aprire la coscienza. Ripetono sempre lo stesso gesto. Apporta distruzione, ma lo ripetono. Genera dolore, ma lo ripetono. Continuano ad essere privi di pietà, come lo erano in vita, verso le proprie vittime, anche quando queste vittime erano intere città, intere popolazioni. Continuano, insomma, a rifiutarsi di rispondere di quello che Pasolini definì il selvaggio dolore di essere uomini. Con un’Italia divisa di nuovo in villaggi e borghi, unità territoriali irraggiungibili per Dpcm, con Regioni figlie e Regioni figliastre – paesini di montagna zona rossa e la metropoli italiana per eccellenza, Roma, zona gialla. Del resto Roma ospita i parlamentari e spesso le loro famiglie… -, con capi di Stato regrediti a signorotti usurpatori, con organi di polizia che emanano allure di milizie private medievali, ecco che il semicerchio anfiteatrico del Parlamento ci restituisce in forma visibile il viaggio interiore dei lor signori. La bolgia infernale.