CULTURA

IL NANDO DI PIAZZA CAVOUR

Marina Rota

Completo blu gessato, fazzoletto candido al taschino, borsalino calato sulla fronte, baffetti alla Clark Gable.

“Ernesta, chi è il furfante che mi ha rotto il vetro?”  Tenendo fra le mani il pallone rosso responsabile della malefatta, interpello trafelata la portinaia del mio palazzo di piazza Cavour 3, una portinaia sui generis, che suona divinamente il pianoforte e inonda il cortile con le note di Mozart e Puccini. “Oh, no! Turna..è il mio Nando”, mi risponde, indicandomi il ragazzino magro in fuga verso i giardinetti, che si volta per scrutarmi, occhi vivaci sotto un ciuffo impertinente e un’espressione di sfida che tradisce un sorriso divertito. “Ha l’argento vivo: ormai lo conoscono tutti i vigili di Torino! Stia tranquilla, il vetro glielo ripago io…” “Lasciamo stare- rispondo rabbonita, ma un po’ preoccupata, pensando alla mia intervista con Filippo Marinetti da inviare alla rivista letteraria Diorama, rimasta in sospeso-“Che classe fa suo figlio?” ”L’abbiamo iscritto al Conservatorio perché impari a suonare il violino. Chissà se quella testa matta proseguirà…Ha cuore e talento, ma non sopporta nessuna disciplina. Sa, ha l’orecchio assoluto, come Mozart e Beethoven.”” Lo specchio della guardiola mi rimanda il tipico sguardo che illumina le mamme italiane quando parlano del figlio maschio; un sorriso orgoglioso a stento trattenuto dal riserbo sabaudo. Da quel momento presto maggiore attenzione ai suoni che provengono dalla portineria; nel tempo, ai brani di musica classica si alternano sempre più spesso i nuovi ritmi americani di cui Nando si è perdutamente innamorato: provengono di notte dalle gracchianti stazioni radio straniere, dalle corde del suo violino -‘l mërlus, come lo chiama lui-, riecheggiano nelle canzoni che sta componendo con il  suo amico Leo Chiosso, un liceale dai tratti delicati divorato dalla passione per i romanzi hard-boiled americani. Alla sera il Nando inforca la bicicletta con una divisa di fortuna accomodata alla bell’e meglio e va a suonare il violino, il basso e la tromba nelle orchestre del Fortino o dello Stadium, dove in una sera guadagna quanto suo padre, verniciatore, in una settimana. Trascorre qualche anno, e i suoni che inondano il cortile, purtroppo, si interrompono: vengo a sapere da Ernesta che Nando è andato a vivere in Vanchiglia con la moglie Fatima, in un appartamentino dirimpetto a quello di Leo e della sua Caterina. Divorata dalla curiosità, volo una sera verso via Bava 26, un caseggiato anonimo, di quelli che appaiono fanè non appena costruiti; che differenza dall’elegante decoro borghese del palazzo di piazza Cavour! Entrata di soppiatto nel cortile, la mia attenzione è attirata da due figure maschili che dialogando vivacemente fra i rispettivi balconi. “Se lei scopre il tradimento, e addirittura con una sua amica, potrebbe prendere il fucile!” azzarda il primo. “Ahah! – sghignazza Fred, con la sua voce arrochita dalle sigarette-E secondo te una che si chiama Teresa, una casalinga di Casalpusterlengo, dove lo terrebbe il fucile? Nella dispensa?” “E che ci importa, è una canzone, no? Lui accampa le solite scuse, lei non ci casca, imbraccia il fucile e … Bang, bang!“, grida Leo. A questo punto si illumina una finestra e una voce seccata ma in fondo bonaria si leva verso di loro: “Ma alora,la foma sparè stà Teresa, o la foma nen sparè? A l’è ün bot ‘d neuit fieuij, e doman as travaja!” ”Ti it l’has rason, cha scusa tant, Monsu!”, risponde allegramente la voce inconfondibile di Fred, che si rivolge al compare: “Ven a ca mia!”, e i due scompaiono.

”Ma perché non va a sentirlo al Faro? – mi chiede Ernesta, che, divertita dal mio racconto, mi porge un biglietto invito (Stasera al Faro Club, il locale elegante di Torino, ore 21, Fred Buscaglione e i suoi Asternovas)- Ci sarà anche l’altro mio figlio Umberto, che suona il basso!” Entrata al Faro di via San Massimo, il locale più à la page di Torino, scendo la scaletta a mezzaluna, dove gruppetti di ragazze si slacciano furtivamente i primi bottoni della camicetta, adocchiate dai giovanotti che pregustano il momento dei lenti, balli peccaminosi per eccellenza: l’abbraccio, il profumo, forse, complici le luci abbassate, perfino un bacio rubato… Raggiungo il mio tavolino quando già si è levata la voce roca di Fred, che osservo stupita. Completo blu gessato, fazzoletto candido al taschino in stile Humphrey Bogart, borsalino calato sulla fronte, baffetti alla Clark Gable, irresistibile ghigno canagliesco, si mette in posa da duro, dita nel taschino e sigaretta penzolante dalle labbra, mentre una bionda curvilinea dà spettacolo, ancheggiando davanti a lui. Fred agguanta il microfono e con la sua voce gutturale ma intonatissima fa la cronaca del suo sbrigativo abbordaggio al ‘mammifero modello 103’, una di quelle pupe che i giovanotti presenti in sala possono soltanto sognare al cinema, nelle vesti dell’esplosiva Marilyn. Prima, a sorpresa, la bambola si mette in guardia come Rocky Marciano e stende lo sciupafemmine incollandolo “a un lampion” con un potente sinistro; poi, pentita di aver esagerato, preoccupatissima si china su di lui, che finge di essere svenuto, e lo bacia appassionatamente. Gli Asternovas assecondano il gioco di Fred con maestria: ondeggiano, sorridono, si divertono.  Il pianoforte e la tromba si rincorrono freneticamente, lasciando spazio alle alchimie sonore: dai rintocchi notturni delle campane, fino agli orologi a cucù, che sottolineano l’esultanza del casanova per il bacio finale della bionda pentita. Esplode un applauso fragoroso: siamo tutti ipnotizzati da quel personaggio bizzarro e affascinante, e divertiti dall’ironia della scenetta scanzonata, quasi uno sketch cinematografico; siamo tutti toccati da quell’energia musicale, che, come un pulviscolo magico, sembra aver creato una fascinazione collettiva. Dopo vent’anni di gavetta è finalmente esploso, lo so, il successo travolgente per Fred, che adesso sta aspirando una delle sue mille sigarette seduto al pianoforte, e che, nel fermo immagine del suo profilo netto, un po’ malinconico, avvolto dalla nuvola di fumo, non mi è mai apparso così bello. Ma ecco, il mio sogno si tramuta all’improvviso in un incubo, con lo schianto agghiacciante di una Thunderbird rosa lanciata ai cento all’ora contro un autocarro a un incrocio dei Parioli, nelle prime luci del giorno, quando Roma è bella, al suo risveglio. Riapro gli occhi turbata: che cosa resta, di Fred, a cento anni dalla sua nascita? Resta tuttora vivo nella gente il rimpianto di un meraviglioso musicista e chansonnier che ha divertito l’Italia con la sua guasconeria di ‘duro facile alle cotte’; l’ha fatta ballare, l’ha fatta innamorare con Guarda che luna e Love in Portofino, l’ha fatta infine piangere con quella morte crudele e prematura che lo ha inchiodato per sempre ai suoi 38 anni e alla stagione irripetibile di un Paese più povero, ma ricco di speranza nel futuro.