EDITORIALE
IL CUORE DEBOLE DELLA CIVILTA’
Guido Barosio
La civiltà occidentale ha da proporre solo modelli pallidi, come pallidi sono i propri leader.
Nel suo ‘Il tramonto dell’Occidente’ (pubblicato in versione definitiva nel 1922) Oswald Spengler sosteneva che le civiltà – come il corpo umano – affrontano quattro fasi: infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia. L’autore segnalava che la civiltà occidentale (come quelle che l’avevano preceduta: babilonese, egiziana, araba…) era entrata già in decadenza nel XIX secolo. Oggi, a cento anni dalla pubblicazione di questo capolavoro, possiamo constatare come il processo si sia sostanzialmente compiuto. E non per conflitti, invasioni o cataclismi, ma per implosione, letargia, avida confusione tra economia e finanza, tra leadership e meritocrazia. I grandi imperi della storia, ma anche le grandi democrazie al loro apice, si sono caratterizzate per l’evidente capacità di selezionare le élite: la Roma di Giulio Cesare, la Francia di Napoleone, l’Inghilterra di Elisabetta I e della Regina Vittoria, gli Stati Uniti di Kennedy. Popoli in marcia verso il futuro e la conquista, sicuri nella propria supremazia. Oggi appare evidente che il mondo occidentale – una realtà post geografica, ma facilmente individuabile – ha prodotto la classe di governanti (ma anche di oppositori) più malinconica e inadeguata da un secolo a questa parte. I raffronti sono persino imbarazzanti, guardando indietro di neanche quarant’anni: il confuso Boris Johnson in luogo di Margaret Thatcher, l’esangue Macron (il cui sguardo sbalordito accoglie allo stesso modo la vittoria nel mondiale di calcio e le vittime del terrorismo) dopo Mitterand e Chirac, Giuseppe Conte nei panni di Giulio Andreotti e Bettino Craxi. Gli Stati Uniti, il cuore dell’impero occidentale, hanno schierato al palo nelle ultime elezioni il quasi ottantenne Biden contro il campione in carica Donald Trump, 74 anni. Un duello tra veterani in quella che fu la più giovane democrazia del mondo: l’anziano politicante, soprannominato ‘Sleepy Joe’s, che si aggiudica la più ambita poltrona del pianeta contro un quasi coetaneo che urla al mondo, con modi da taverna, che lui ha vinto comunque perché il rivale ha trassato (da trassare, che in efficace piemontese vuol dire barare, truccare le carte). Ma questo non basta, perché le elezioni USA ci hanno regalato la sconfitta di un sistema che non sa incoronare un vincitore se non tra mille bizantinismi. In quella che chiamiamo la patria della democrazia occidentale (e qui ci sarebbe molto da scrivere) si vota ancora ‘per posta’, con regole diverse da stato a stato, con conteggi che farebbero impallidire Azzeccagarbugli. Le elezioni finiscono un giorno e si protraggono per altri cinque (forse), senza calcolare le pendenze legali che ci porteranno dritti dritti al 2021, con uno che governa (forse) e l’altro che sbraita. Perché al tempo dei social, quando le mail hanno compiuto 50 anni, la sorte del paese più potente del mondo (forse) è affidata alle lettere, il mezzo di comunicazione che solo Babbo Natale si ostina a preferire. I grandi storici hanno sempre sostenuto che la storia si legge per segnali, che vanno colti e interpretati per anticipare il corso degli eventi. Nella civiltà occidentale il tempo dei segnali è ormai superato dai fatti. L’Europa, intrappolata dal Covid, non offre scenari migliori. Perché il fallimento, nel vecchio continente, parte dall’incapacità di trovare una sintesi tra accoglienza e fermezza, tra comprensione lucida del fenomeno migratorio e necessità di mantenere le basi della propria civiltà.
Da sempre la storia ha visto i popoli in movimento, da sempre il nuovo e il precedente hanno trovato una sintesi, qualche volta brusca e rovente, in altri casi meno. Durante i secoli le popolazioni romane si trasformarono e si arricchirono, evolvendosi profondamente; il Medioevo rimescolò nuovamente le carte; allo stesso modo questo avvenne nell’epoca dei grandi imperi coloniali e subito dopo. Le grandi migrazioni hanno trasformato il volto dei continenti; l’America (settentrionale e meridionale) è solo più abitata da migranti, sovrapposti in ondate successive. Se non si coglie questa filosofia quello che ci sta accadendo è incomprensibile, persino pauroso. Una civiltà che non abbia ‘il cuore debole’ deve governare questo fenomeno, non subirlo. Oggi ci sono già ‘nuovi francesi’, ‘nuovi inglesi’ e ‘nuovi italiani’: a loro dobbiamo dare un modello e chiedere con fermezza che venga rispettato. Accogliere senza la forza di un modello vuol dire trasformare l’immigrazione in invasione. Ma la civiltà occidentale ha da proporre solo modelli pallidi, come pallidi sono i propri leader. Anche la sfida sanitaria del 2020 ha evidenziato questi limiti. Mentre Cina e Giappone, Australia e Nuova Zelanda hanno superato, o stanno superando, l’emergenza, noi siamo ancora fermi al lockdown come unica soluzione, una soluzione vecchia di cinque secoli almeno. I provvedimenti non sembrano mai condivisi, sono fatti per ritocchi, per imbarazzati aggiustamenti, senza visione sanitaria, senza visione economica, di nuovo senza leadership. Tutti parlano, molti sparlano, non ci sono capitani da ascoltare ed i terroristi hanno ripreso ad affilare i coltelli. La fede, che dovrebbe sorreggere, non illumina, perché – forse non ce ne siamo accorti – è stata sostituita da altri paradigmi. Anche in questo caso abbiamo una data di inizio del fenomeno. Era il 2006 quando Rhonda Byrne pubblico ‘The Secret’, Il Segreto, divulgando la cosiddetta ‘legge di attrazione’, secondo la quale ogni essere umano può agire come un magnete all’insegna del mantra ‘chiedi-credi-ricevi’. Il successo planetario dell’opera ha spalancato la porta ad un mondo, oggi affollatissimo, di coach e motivatori che martellano un pubblico di deboli e di insicuri strillando nelle loro orecchie: dai, ce la fai, ce la devi fare, se non ci credi non ce la fai. Più facile che una religione, più inutile che tirare sassi contro la luna. Mentre la fede richiede studio, profondità d’animo, una visione del mondo che non sia solo basata sul principio di causa ed effetto. Ma la velocità è un’altra cosa, così la civiltà occidentale oggi espone versioni Bignami del cattolicesimo, dell’induismo, dell’ebraismo e del buddismo. Tutte semplificazioni per gonzi riconducibili al primigenio ‘The Secret’. Sono certo che i registi del terrorismo islamico – se mai esistono – osservano le adunate dei nostri coach certi che il futuro gli appartiene. Per loro l’Islam è una cosa che non cambia mai, duro e puro, costruito nella sabbia del deserto non teme confronti. Se riprendiamo Spengler comprendiamo che il nostro tramonto non sta per iniziare, forse è già arrivato al suo compimento. Ma la storia è li a dimostrarci che, quando un processo giunge al termine, all’orizzonte una nuova civiltà si appresta ad iniziare un altro percorso. E il rinnovamento sarà brusco, radicale, necessario. Prepariamoci a salvare i nostri tesori (e impariamo a riconoscerli) come fecero i monaci nel medioevo, saranno loro le nostre fondamenta. E’ tempo di metterci in marcia.