FILOSOFIA

GLI ANTICHI SPIRITI

Eugenia Massari

Antico era tutto il mondo che precedeva la rivoluzione industriale, moderno quello che la seguiva

L’onde selvagge acquetansi,

Ogni elemento è muto.

Di liete danze artefici,

Ponete fine al pianto;

E voi leggiadri spiriti,

Date principio al canto!

(W. Shakespeare, La Tempesta)

Spiriti antichi erano gli dei. Sia se pensati come veri, sia quando trovavano espressione come simbolo e mnemotecnica a rappresentare nell’esteriore, l’interiore dell’animo umano. Antichi, primigeni sono le divinità dell’Iliade e dell’Odissea, di Esiodo, di Sofocle e di Euripide, degli Inni Orfici. Cosmogonici, come nelle Upaniṣad o nel Mahabharata. Antichi erano gli spiriti degli antenati. Nel mondo antico, il rapporto con l’uomo-ancora-più-antico è un rapporto di appartenenza, di trasmissione da spirito a spirito. Nel misticismo islamico è la silsila, la catena di trasmissione.  Nelle civiltà del passato, si riteneva che non con informazioni e saperi teorici gli uomini si trasmettessero conoscenza e vita. Bensì, nella vicinanza spirituale con il mondo divino, nel rapporto con i propri antenati e, soprattutto, con la vicinanza fisica.  La presenza stessa dei corpi.  Non sono le menti degli uomini, sono i loro spiriti che si uniscono. Recidere questo legame fisico, nelle culture antiche e nelle società cosiddette etniche, significava uccidere lo spirito umano. L’isolamento era la condizione dell’esule o del segregato, tagliato fuori dalla catena della vita.  Nella fioritura delle civiltà è l’antenato a tramandare il mistero della vita e gli strumenti – saperi, memorie, benedizioni, amore, forza – con cui affrontarla.  In tutte le civiltà comparse sulla terra, l’uomo non si è mai sottratto a questa eredità.  Se non, appunto, nei tempi contemporanei. Molti storici saltarono addosso a Jacques Le Goff, quando osò teorizzare un nuovo modello di cronologia.  Nel pensiero del famoso storico e divulgatore francese, che analizzò sistemi produttivi, credenze e organizzazione del tempo nelle società medievali, si fece strada l’idea di dividere tutta la storia dell’umanità in due macro periodi: mondo antico e mondo moderno.  Antico era tutto il mondo che precedeva la rivoluzione industriale, moderno quello che la seguiva. La teoria di Le Goff consisteva nel considerare gli aspetti cognitivi degli individui e delle comunità umane. Un uomo dell’800 sarebbe risultato, a suo dire, molto più simile per sensibilità, impostazione mentale, corporeità ad un antico romano che a un uomo del XX secolo.  Secondo Le Goff, la tecnologia avrebbe reso ontologicamente diverso l’uomo moderno. Cambiando da un lato il suo rapporto con la natura, con l’esistenza, con il tempo. Dall’altro lato, modificando la sua relazione con lo spazio che si apre oltre la materialità dell’essere.  L’oltre-tempo.  L’aldilà, il destino, la dimensione del mistero. In ambiente storiografico la proposta di Le Goff non ebbe molta presa, in virtù di un certo snobismo dovuto ai suoi molti saggi divulgativi, considerati meno impegnati della sola bibliografia scientifica – in cui lo storico non si risparmiava -.

La storiografia voleva continuare ad ignorare  quanto in ambienti sociologici ed economici, si andava teorizzando già dopo la prima Rivoluzione Industriale.  Marx parlava di alienazione per descrivere le condizioni di vita, le identità, i processi cognitivi, il rapporto con la natura dell’uomo impegnato nei cicli produttivi. L’organizzazione del lavoro nelle società industriali aveva apertamente modificato la natura umana. La tensione tra antico e moderno riverbera in tutta la grande poesia e la letteratura europea.  Nell’800 si parla di uomini antichi in contrapposizione a uomini moderni, di spirito dell’antichità e spirito della modernità. Antico e moderno si confrontano e si oppongono nella visione di Pier Paolo Pasolini.  “Io sono una forza del Passato” diceva di sé Pasolini.  “Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli”.   Nel denunciare i rischi di una dittatura moderna – il cui nucleo credeva di ravvisare nella politica degli anni di piombo – Pasolini ne tratteggiava i terribili lineamenti. Sarebbe stata peggiore di Fascismo e Nazismo, perché in grado di agire sul corpo dell’uomo.  Di modellare il suo sistema cognitivo e mutarne la coscienza nel profondo, come mai si era dato nella storia dell’umanità. Dal momento che una dittatura moderna  avrebbe potuto servirsi  della tecnica e usare senza soluzione di continuità, il  potere ipnotico e omologante dei media. Che il poeta identificava allora con la televisione – La voce del poeta, Cerami – .  La stessa estetica della bruttezza – arte, architettura urbanismo -, secondo Pasolini sarebbe stata parte di un processo di impoverimento e di de-umanizzazione dell’uomo moderno – La Forma della Città -. Oggi, superate le estetiche e la profondità degli uomini dallo spirito antico, l’intera umanità non è forse imprigionata in questa estetica della bruttezza? In un grande ribaltamento valoriale, tanto profondo e formale, da ridiscutere l’umano? Emblematica la condivisione da parte di noto partito politico, della Lettera a madre natura. Manifesto transumanista scritto dal pensatore Max More nel 1999. Erede delle ideologie superomistiche che tanto erano state in voga nella Germania d’inizio secolo, e così simile a certi monologhi dei personaggi shakespeariani, colti nel momento della follia. La contemporaneità, sciolta dalla continuità con le grandi civiltà del passato, abbandonati gli antichi spiriti, vuole davvero un mondo in cui l’umano non può sopravvivere?

RISORSE

Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Jacques le Goff – ed. Einaudi

La Forma della Città Pier Paolo Pasolini

Il Mahabharata, Peter Brook

Lettera a madre natura, Max More