DAL MONDO
ÉDITH PIAF, LA RIBELLE TALENTUOSA
Patrizia Foresto
Anticipatrice per natura, è stata una di quelle persone che sanno precorrere i tempi.
Era piccola tanto da essere soprannominata “passerotto”, non era bella secondo i canoni tradizionali, era ribelle ed inquieta, con due grandi occhi espressivi e troppo spesso tristi, era senza fortuna né sicurezze che le dessero qualche minima certezza, qualche riferimento per vivere. Era figlia della vita, di quella vita di cui ha conosciuto tanti volti, forse troppi e che l’ha ferita, risanata, fatta sperare, ridere e piangere fino a morire. Era vera, passionale, umana, talentuosa, generosa, istintiva, appassionata. Conosceva il dolore, conosceva l’amore ed il bisogno di possederlo e donarlo oltre ogni tormento, oltre ogni inganno, tanto da cantare questi due volti della vita, il dolore e l’amore, così diversi ma così vicini in tutte le sfumature possibili con quella sua voce benedetta, una voce capace di mille colori ed altrettante sfumature, in grado di incarnare ogni sentimento, ogni stato d’animo, ogni condizione umana e materializzarli in musica. Era Édith Piaf, l’autentica voce della Francia. Parigina, nata nel 1915, visse un’infanzia disincantata, lei piccola e denutrita, gracile, cieca dalla nascita ed incredibilmente miracolata, girovaga senza stabile dimora accanto ad un padre contorsionista vagabondo ed alcolizzato, ad una nonna maitresse di un bordello in Normandia, ad una madre berbera circense, figlia della strada che pare l’abbia partorita proprio su un anonimo marciapiede parigino in un freddo mattino di dicembre con l’aiuto di un poliziotto di passaggio, i famosi flic francesi, particolare questo dal vago sapore di leggenda. Questi i suoi esordi che la resero fragile e forte al contempo, proprio come quei giovani fiori del deserto ben radicati in terra ma sbattuti dal vento fino a perdere i petali ma non per questo meno belli. Un quadro certamente poco promettente quello che si trovò a vivere quella piccola bimba, al secolo Édith Giovanna Gassion, in quella sua infanzia di miseria nel quartiere multietnico parigino di Belleville, ai margini di una esistenza povera di tutto, d’amore e di risorse. E sarà proprio la strada, quella che accolse e per prima conobbe il suo respiro iniziale, a raccogliere e custodire anche le sue prime melodie popolari, rimbalzandole sugli austeri muri dei boulevard e delle piazze della metropoli francese, quella stessa strada tante volte percorsa e vissuta con suo padre e la sua esistenza disperata. Iniziò a cantare alla vita, alle speranze adolescenziali comuni a tutte le sue coetanee già nel sottoscala del bordello della nonna, dove trascorreva ore ed ore estraniandosi da ciò che la circondava, grazie al suo innato talento che fu il suo fedele compagno di vita e che l’accompagnò fino alla fine, unico a non averla mai tradita, il canto. Proprio quell’inclinazione sviluppata in un luogo così poco idoneo ad una bambina, un buio, mal aerato ed inospitale sottoscala, con le facili risate e l’odore pungente di sigaro provenienti ad ogni ora dai piani superiori, fu la sua unica e vera fonte di gioia sincera, fu la sua vita. Fu anche la sua ricerca costante, il suo modo elettivo di esprimere tutta la sua ricchezza interiore, ciò che la portò al grande e meritato successo, un dono che la vita le elargì copiosamente e che fu la sua grande forza. Anticipatrice per natura, è stata una di quelle persone che sanno precorrere i tempi, talento di pochi, con quella sua innata capacità di cantare le emozioni più vere e disperate ma anche quelle più dolci e struggenti, emozioni cui si mescolava quel senso di inquieta ribellione che animerà, anni dopo, i giovani intellettuali e gli artisti della “ rive gauche “ dell’accogliente Parigi, città dei diritti dell’uomo, cui aderirono nomi illustri quali Camus, Sartre, Simone de Beauvoir, Juliette Greco, Vadim per citarne alcuni. Il 1935 segna il suo debutto in uno dei locali parigini con cabaret che la accolsero, la applaudirono, la conobbero.
Salì sul palco con un abito di maglia nero che sarà il suo colore preferito, una scelta che fa pensare alle difficoltà ed ai dolori vissuti, elementi costanti nella sua vita che comunque non riuscirono mai a sconfiggere il suo sorriso, né a spegnere il suo carattere estroverso e sensibile. E quell’abito nero, quasi un simbolo, la accompagnò su tutti i palcoscenici dei più grandi teatri e locali del mondo quando divenne famosa e raccolse consensi ed applausi, passando dalle monetine di strada, ai grandi cachets dell’artista affermata, cantante ed anche attrice. Una scelta quella del nero che nasceva dalla sua ferma convinzione che la forza di questo colore senza fronzoli né paillettes mettesse ancor più in risalto la purezza della sua voce. Si tratta proprio di quell’abito che rivisitato diventerà uno dei must della moda femminile, il tubino nero tanto amato da donne, stilisti, attrici, una fra tutte l’indimenticabile Audrey Hepburn con il suo famoso Givenchy indossato nel film “Colazione da Tiffany”. Ai suoi esordi Édith Piaf visse il dolore per la morte del suo pigmalione, un ricco impresario la cui fine violenta la vide annoverata nella lista dei sospettati, oltre al lutto per la grave perdita della figlia, frutto di un amore adolescenziale. Erano gli anni forti della costruzione della sua carriera, dei suoi memorabili incontri lavorativi e dei suoi tanti amori. Ma tra i tanti uno in particolare fu il più grande della sua vita, il suo terzo marito, il più famoso pugile di Francia del momento, di origine algerina, Marcel Cerdan, morto in un incidente aereo mentre stava per raggiungerla in America a seguito della sua insistenza ad averlo accanto. Da questo dolore lacerante, da questo senso di colpa non si riprenderà mai e segnerà l’inizio del suo declino, anche a seguito dell’uso di droghe e farmaci pesanti che ne mineranno la salute già precaria, assunti in quantità eccessiva per calmare il dolore della perdita del suo grande amore. Fu amica e méntore di grandi nomi della musica francese, che aiutò a salire la scala del successo, da Yves Montand, con cui visse una storia sentimentale, a Georges Moustaki, a Gilbert Bécaud, a Charles Aznavour che fu per lei anche consigliere, autista, segretario ma mai amante, sempre in una perfetta sintonia umana ed artistica, in un sodalizio durato tutta la vita. La Piaf è stata la più famosa ed amata cantante francese di tutti i tempi, con tante canzoni indimenticabili, uniche, inarrivabili se non attraverso la sua voce. Chi non ricorda “Milord”, “Non, je ne regrette rien “, un vero inno alla vita e quel suo famosissimo capolavoro che l’ha resa immortale, lei che sapeva riempire il palcoscenico con la sua sola esile presenza. È “La vie en rose,” quel colore delicato e tenue di cui non fu mai tinta la sua esistenza vissuta a toni forti, ma che le portò una giusta fama planetaria, consacrandola come mito della musica francese di sempre. Scomparsa nel 1963 a soli quarantotto anni, riposa indimenticata ed indimenticabile al Père Lachaise, il noto cimitero parigino accanto a tanti grandi personaggi di Francia. “È stata una donna geniale, inimitabile. È una stella che brucia nella solitudine notturna del cielo della Francia”. Sono le parole per questa donna straordinaria dalla vita altrettanto straordinaria del poeta Jean Cocteau, suo amico fedele e caro che scrisse per lei il suo elogio funebre e che la seguì dopo poche ore, colpito da infarto. A ricordo di questa grande étoile in cielo un asteroide, a lei dedicato, porta il suo nome: 3772 Piaf.