GIORNALISMO

Dall’Omnibus di Longanesi al Mondo di Pannunzio, Vitaliano Brancati e Leonardo Sciascia

Salvatore Vullo

“Così era”, dice ancora Sciascia, “L’Omnibus di Longanesi, e così poi è stato, quasi per diretta filiazione, con più libertà e con rigore di libertà, il Mondo di Pannunzio”.
“Chi non conosce la noia, che si stabilì in Italia nel 1937, manca di una grave esperienza che forse non potrà avere più mai, nemmeno nei suoi discendenti, perché è difficile che si ripetano nel mondo quelle singolari condizioni”. E’ questo l’incipit sublime di un racconto straordinario, emblematico: “La noia nel ‘937” di Vitaliano Brancati, che ci aiuta a capire del fascismo e dei SUOI anni più di tanti libri di storia e di saggi. Nel 1936  Vitaliano Brancati, che vive e lavora a Roma, già scrittore e giornalista famoso, disilluso dal fascismo, comincia a frequentare e diventa amico di personaggi della fronda come Leo Longanesi e Mino Maccari e giornalisti rivoluzionari come Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti; Brancati partecipa e vince un concorso per insegnante negli istituti magistrali e sceglie come sede Caltanissetta: una vistosa distanza fisica e soprattutto politica e culturale da Roma e dal fascismo trionfante da cui Brancati, da tempo, aveva cominciato ad allontanarsi. Ed è a Caltanissetta che ambienta il suo racconto “La noia del ‘937”. A Caltanissetta, in quel 1937,  Leonardo Sciascia è giovane studente che frequenta l’istituto magistrale: non lo ha come insegnante, ma è uno dei pochi studenti che sa che Brancati è uno scrittore; e sa anche che scrive sulla rivista settimanale “Omnibus” di Leo Longanesi. Sciascia, infatti, era forse l’unico studente che acquistava ogni settimana  l’Omnibus, che costava una lira, e per farlo rinunciava ad una serata al cinematografo. “Ma ne valeva la pena”, scriveva Sciascia, perché su Omnibus aveva scoperto Bruno Barilli e Alberto Savinio, gli articoli di Elio Vittorini, i racconti di Caldwell e Saroyan, Dino Buzzati, Alberto Moravia, Eugenio Montale, Arrigo Benedetti, Emilio Cecchi, Corrado Alvaro, Vittorio Gorresio, Indro Montanelli, Mino Maccari, Mario Pannunzio… E Vitaliano Brancati. E su Brancati ecco quello che diceva Sciascia: “Che delizia le lettere di Brancati al direttore … Caro direttore … Ed era come se da quel tessuto di noia che era la nostra vita di ogni giorno, improvvisamente balzasse nel fuoco di una lente, che lo ingrandiva e lo deformava, un particolare della trama, un nodo o una smagliatura. Pensavo: così si deve scrivere, così voglio scrivere!”  E continua ancora Sciascia: “Brancati l’antifascista, il liberale che vedeva negli eccessi ideologici dell’antifascismo, del comunismo, un altro fascismo, l’eterno fascismo degli italiani”. L’Omnibus, dunque, fondato da quel grande personaggio che fu Leo Longanesi, dove scrivevano i migliori giornalisti e intellettuali di quell’epoca, una autentica fucina culturale,  capostipite del settimanale d’informazione italiano; il primo numero uscì il 28 marzo 1937, costava una lira a copia; al suo debutto furono vendute 42.000 copie, nei mesi successivi arrivò a venderne 100.000.

Ma con un direttore e un parterre di redattori e collaboratori come quelli non poteva aver vita lunga sotto il fascismo che, infatti, lo fece chiudere il 2 febbraio 1939, per sempre. E possiamo dedurre che Omnibus e i personaggi eccellenti che vi scrivevano, abbiano avuto una grande influenza nella formazione civile e letteraria di Leonardo Sciascia, così come, riteniamo, di tanti altri personaggi dell’Italia di allora. E Sciascia ne darà rappresentazione e testimonianza nella sua raccolta di saggi dal titolo “Fatti diversi di storia letteraria e civile”, dove parla dell’Omnibus in cui si ritrovarono, anche idealmente, una grossa parte di quella generazione di scrittori nati nel primo decennio del ‘900, i “trentenni”, come Mario Soldati, Dino Buzzati, Alberto Moravia, Elio Vittorini, Cesare Pavese. Quegli scrittori che si riconoscevano nella “liberalità”, nel “non conformismo”, nella opposizione tollerata come interna, ma già esterna; che davano credito alla intelligenza, che si ispiravano alla democrazia. Scrittori che “guardavano altrove” per guardare meglio dentro, che coltivavano l’amore per la libertà. “Così era”, dice ancora Sciascia, “L’Omnibus di Longanesi, e così poi è stato, quasi per diretta filiazione, con più libertà e con rigore di libertà, il Mondo di Pannunzio”. Da Omnibus approdano a il Mondo oltre a Mario Pannunzio,  Mino Maccari, che continua la sua attività di vignettista e disegnatore, Vitaliano Brancati, Alberto Moravia, Indro Montanelli. Ad essi si aggiungono Ennio Flaiano, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, Eugenio Scalfari, Giovanni Spadolini, Marco Pannella e altri. Una grande orchestra, non sempre in sintonia tra loro, anche rissosa, ma sicuramente tra le migliori espressioni dell’Italia civile e culturale del Dopoguerra, che aveva in Benedetto Croce uno dei suoi principali riferimenti e di quella area politica liberaldemocratica e cosiddetta “Laica” (Liberali, Socialisti, Repubblicani, Azionisti, Radicali), che avrebbe potuto-dovuto avere maggiore successo e sarebbe stata una fortuna per l’Italia imbrigliata nelle speculari gabbie ideologiche e confessionali del PCI e della DC. Ma non poteva che finire così, perché quegli uomini, che venivano definiti antipatici,  come annota Vitaliano Brancati nei suoi diari, avevano: “Attività mentale continua, spregiudicata, libera, aggressiva e poetica. E soprattutto fastidiosa per un Paese che vuole dormire il suo secolare sonno conformista e burocratico.”