GIORNALISMO
Dall’Omnibus di Longanesi al Mondo di Pannunzio, Vitaliano Brancati e Leonardo Sciascia
Salvatore Vullo
“Così era”, dice ancora Sciascia, “L’Omnibus di Longanesi, e così poi è stato, quasi per diretta filiazione, con più libertà e con rigore di libertà, il Mondo di Pannunzio”.
Ma con un direttore e un parterre di redattori e collaboratori come quelli non poteva aver vita lunga sotto il fascismo che, infatti, lo fece chiudere il 2 febbraio 1939, per sempre. E possiamo dedurre che Omnibus e i personaggi eccellenti che vi scrivevano, abbiano avuto una grande influenza nella formazione civile e letteraria di Leonardo Sciascia, così come, riteniamo, di tanti altri personaggi dell’Italia di allora. E Sciascia ne darà rappresentazione e testimonianza nella sua raccolta di saggi dal titolo “Fatti diversi di storia letteraria e civile”, dove parla dell’Omnibus in cui si ritrovarono, anche idealmente, una grossa parte di quella generazione di scrittori nati nel primo decennio del ‘900, i “trentenni”, come Mario Soldati, Dino Buzzati, Alberto Moravia, Elio Vittorini, Cesare Pavese. Quegli scrittori che si riconoscevano nella “liberalità”, nel “non conformismo”, nella opposizione tollerata come interna, ma già esterna; che davano credito alla intelligenza, che si ispiravano alla democrazia. Scrittori che “guardavano altrove” per guardare meglio dentro, che coltivavano l’amore per la libertà. “Così era”, dice ancora Sciascia, “L’Omnibus di Longanesi, e così poi è stato, quasi per diretta filiazione, con più libertà e con rigore di libertà, il Mondo di Pannunzio”. Da Omnibus approdano a il Mondo oltre a Mario Pannunzio, Mino Maccari, che continua la sua attività di vignettista e disegnatore, Vitaliano Brancati, Alberto Moravia, Indro Montanelli. Ad essi si aggiungono Ennio Flaiano, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, Eugenio Scalfari, Giovanni Spadolini, Marco Pannella e altri. Una grande orchestra, non sempre in sintonia tra loro, anche rissosa, ma sicuramente tra le migliori espressioni dell’Italia civile e culturale del Dopoguerra, che aveva in Benedetto Croce uno dei suoi principali riferimenti e di quella area politica liberaldemocratica e cosiddetta “Laica” (Liberali, Socialisti, Repubblicani, Azionisti, Radicali), che avrebbe potuto-dovuto avere maggiore successo e sarebbe stata una fortuna per l’Italia imbrigliata nelle speculari gabbie ideologiche e confessionali del PCI e della DC. Ma non poteva che finire così, perché quegli uomini, che venivano definiti antipatici, come annota Vitaliano Brancati nei suoi diari, avevano: “Attività mentale continua, spregiudicata, libera, aggressiva e poetica. E soprattutto fastidiosa per un Paese che vuole dormire il suo secolare sonno conformista e burocratico.”