La rabbia non cresce esplode, o per lo meno prima è altro. La rabbia è la fine di un imbuto scuro in cui scivolano altri sentimenti che si impastano l’un l’altro e la loro alchimia ha il colore della rabbia.

Talvolta rievoco ancora la mano che mi teneva, vedo una goletta nera attraccata al porto di Sanremo e ricordo le passeggiate serali quando mio padre mi raccontava della Folgore, la snella nave, del Corsaro Nero.

Che il nudo fotografico sia una pratica costante ed abusata lo testimoniano la storia e una semplice ricognizione del WEB. Per farci un’idea di come si sia articolato il discorso nudo in fotografia basta dare uno sguardo a siti ultrapopolari come Instagram, dove si può osservare che i due grandi temi evidenziati dalla storia del nudo in fotografia si rincorrono anche oggi:

Tutto intorno è buio, la fiaccola illumina il pugno sinistro che la regge, l’avambraccio destro è teso, le vene sono gonfie di sangue richiamato in superficie dai muscoli ed il secondo pugno a cui è affidato il compito stringe l’elsa come a fonderla nel palmo della mano. Le dita sono come incollate all’impugnatura, l’adduzione del pollice fa di loro una sol cosa.

Della prima donna di cui mi sono innamorato ricordo solo le trecce bionde e gli occhi azzurri. Avevo credo 10 o 11 anni e lei si chiamava Rebecca Thatcher. Mi preferì Tom Sawyer e le sue Avventure: questa fu l’esperienza primaria del leggere e dell’innamorarsi di un ritratto sconosciuto. Lo scrittore narra, descrive, riassume un personaggio, eppure questo rimane sfocato e la nostra immaginazione è chiamata a completarlo.

C’è una cosa terribile in questo mondo, che molta gente impieghi la stessa passione per essere felice e l’altra metà per impedire agli altri di esserlo. Socrate la definiva l’ulcera dell’anima, ma come questa non ti accorgi del suo insorgere se non quando è tanto grande da essere fuoco e bruciarti intensamente dentro.  

È frequente che chi si trovi a fotografare, commetta un inconsapevole peccato di presunzione: quello di ritenere che lo scatto abbia che fare con la ‘realtà’. La fotografia è assunta da sempre a titolo di verità, circoscritta nel tempo e nel luogo, testimonianza inconfutabile poiché si presume che l’unico intermediario fra essa e l’oggetto fotografato sia un meccanismo inerte: la macchina fotografica. Questo errore si è perpetuato nel tempo.

Ti accorgi di lei all’improvviso, senti lo stomaco che si apre come una voragine in cui precipita il cuore mentre aumenta l’intensità, ma rallenta il tempo dei suoi battiti. Altre volte si manifesta come una presenza crescente, un morso alla base dello stomaco che stringe i denti, crea una progressiva sensazione di dolore e contemporaneamente il ridursi del suo volume che toglie il respiro.

Quando si introduce la parola Anima immediatamente il terreno sotto i nostri piedi si fa scivoloso, fragile come una faglia di dolomia pronta a franare. La parola Anima in Occidente si è guadagnata nei secoli una valenza spirituale, ma non bisogna dimenticare che nelle antiche culture l’anima era pensata come qualcosa di corporeo: il φρήν (diaframma) sede del pensiero e della contemplazione.